Già in varie occasioni ci siamo occupati degli ottimi risultati prodotti dalla redazione degli Sportelli Sociali del Comune di Bologna, che gestisce servizi di informazione, comunicazione e documentazione per la rete dei servizi sociali locali e per i cittadini del capoluogo emiliano.
Tra le iniziative più recenti, vi è anche il Catalogo delle riviste italiane su tematiche sociali e sociosanitarie, nel quale vengono segnalate circa 230 testate suddivise in una ventina di diverse tematiche, andando dalla terza età alla disabilità, dal carcere alle dipendenze, dai servizi sociali all’immigrazione, dalla salute al terzo settore, ma considerando anche tematiche “di confine”, come l’ambiente e i consumatori.
Ne parliamo con Andrea Pancaldi, responsabile della redazione bolognese, firma che abbiamo anche spesso il piacere di ospitare sulle nostre pagine. (S.B.)
Innanzitutto vorremmo presentare nel dettaglio ai Lettori che cosa sia esattamente e di cosa si occupi la redazione degli Sportelli Sociali del Comune di Bologna.
«La redazione è nata appunto per gestire il sito degli Sportelli Sociali del Comune di Bologna, che sono la porta di accesso al sistema dei servizi e delle risorse di carattere socioassistenziale del territorio felsineo. In seguito sono stati promossi tre servizi di newsletter per raggiungere e informare i cittadini e gli operatori direttamente “a casa loro”. Con il tempo, poi, si è innescato un processo di trasformazione verso una redazione sociale che supportasse dal punto di vista informativo, comunicativo e documentativo il sistema dei servizi sociali locali e non solo gli sportelli sociali; da questo sono partiti servizi ad hoc per gruppi di lavoro e singoli operatori, interni ed esterni al Comune e altre iniziative, come ad esempio il recente Catalogo delle riviste italiane su tematiche sociali e sociosanitarie.
Si tratta per altro di un processo molto lento per vari motivi. Il primo è che nei servizi pubblici queste funzioni sono ancora ritenute e vissute come “accessorie”, non ancora come strumenti al pari degli altri del lavoro sociale e quindi vengono lasciate all’iniziativa dei singoli o di dirigenti sensibili. Vi è poi una cultura informativa e comunicativa dell’Ente Locale ancora polarizzata tra la comunicazione politica, da una parte, e la comunicazione verso i cittadini stile URP [Ufficio Relazioni con il Pubblico, N.d.R.], dall’altra. Entrambe sono certamente utili e fondamentali, ma forse andrebbero sperimentate anche forme più articolate e trasversali.
C’è quindi il nodo delle competenze digitali dei dipendenti pubblici e degli operatori sociali e delle resistenze culturali che ancora ci sono verso forme compartecipate di informazione e comunicazione, tipo i social network.
Se ci sono pertanto difficoltà sui terreni informativi e comunicativi, queste aumentano verso le pratiche di documentazione, che vengono spesso vissute come “minacciose” perché interrogano prepotentemente la dimensione dell’uso del tempo e della disponibilità al cambiamento di ognuno di noi. “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un’assistente sociale trovi il tempo per leggere e scrivere…”, è stato scritto recentemente nel blog della rivista “Prospettive Sociali e Sanitarie”. Mi pare un’immagine azzeccata».
Ma perché un Catalogo delle riviste?
«La finalità è la medesima per cui produciamo ben tre newsletter periodiche, raggiungere cioè direttamente le persone con le informazioni e non aspettare che accada il contrario. Crediamo infatti che cittadini e operatori più informati abbiano un quadro più preciso, ma anche realistico, dei diritti e dei doveri, ponendo domande più precise e circostanziate, costringendo gli operatori stessi ad essere preparati e aggiornati, tramite la costruzione di una propria rete informativa e documentativa, costruendo e aggiornando proprie capacità progettuali e di risposta, al di là di quelle suggerite dai servizi e dagli sportelli informativi. Questo libera tempo ed energie agli sportelli, per svolgere un lavoro più raffinato e con maggiore continuità sulle situazioni più difficili. Aumenta inoltre le capacità e la voglia di scambio e collaborazione tra i sistemi dei servizi pubblici e le reti territoriali, formali e informali che siano».
Avete in programma la realizzazione di altri cataloghi?
«Ne abbiamo già fatto uno, aggiornato al mese di ottobre dello scorso anno, dedicato alle newsletter, alle rassegne on line dalla stampa quotidiana e alle agenzie stampa sociali, che segnala circa 240 risorse. Ne abbiamo poi in cantiere un altro sui centri di documentazione italiani sempre specializzati su temi sociali; dovrebbero essere circa 250-300 strutture tra grandi e piccole, di associazioni o enti pubblici»
Tornando al Catologo delle riviste, quali testate vi sono comprese?
«Si tratta, come detto, di un Catalogo delle riviste italiane su tematiche sociali e sociosanitarie che contiene le schede informative di circa 230 testate, suddivise secondo 18 tematiche o tipologie di riviste.
Da dire anche che le dizioni Sociale e Sociosanitario vanno intesa in maniera ampia, includendo riviste che si occupano ad esempio di tematiche come l’ambiente e i consumatori, che costituiscono “aree di confine” e di intreccio tra temi, sensibilità, professioni.
Le varie testate sono prodotto da case editrici, da organizzazioni del terzo settore, da Istituti di ricerca, da Ministeri e altri Enti. Sono per lo più diffuse in abbonamento, ma una certa quota, circa una trentina, vengono distribuite gratuitamente».
Quali criteri avete adottato per selezionare le testate?
«Come redazione non avevamo la stessa esperienza e competenza su tutti gli àmbiti, per cui – pur volendo essere il taglio del catalogo divulgativo – su alcune aree, come la salute mentale o la sanità, è probabile che siano necessarie integrazioni e infatti alcune segnalazioni le abbiamo già avute.
Su altre aree la scelta è stata oggettivamente difficile, come ad esempio segnalare le riviste di area ambientale che maggiormente si intrecciavano con le tematiche più prettamente sociali.
In generale abbiamo cercato di dare conto delle esperienze più significative, tralasciando le produzioni più legate a un ruolo informativo “interno” alle organizzazioni che le producono, quelle che hanno un’impronta prettamente promozionale (raccolta fondi, fidelizzazione degli associati e dei donatori) e quelle con una circuitazione prettamente locale.
Sicuramente avremo dimenticato testate utili e significative e ce ne scusiamo fin d’ora con chi le produce ed edita, invitando anzi a segnalarcele per un futuro aggiornamento del catalogo (redazionesportellosociale@comune.bologna.it)».
Esaminando il catalogo, colpisce indubbiamente la coesistenza di testate “storiche” con altre che nascono già con una forte vocazione on line…
«Qui bisogna dire che il panorama delle riviste italiane sociali è in continua evoluzione dalla fine degli Anni Settanta, per lo strutturarsi della cosiddetta società dell’informazione, per il protagonismo affermatosi dei soggetti del terzo settore, per la fase di profonda trasformazione della società e dei sistemi di welfare che queste testate interpretano e a cui contribuiscono.
Molte di esse nascono e altrettante muoiono. Molte si trasformano in relazione al dilagare delle tecnologie e di internet dentro l’incontro/scontro tra carta e digitale. Non ultima influisce la “crisi”, che rende a volte proibitivi i costi di stampa e spedizione e consiglia di optare per versioni unicamente on line delle riviste, con i relativi problemi di fruizione e lettura.
E ancora, è vero che molte testate nascono già con una forte vocazione on line, per cui assistiamo al coesistere di riviste sotto forma di sito internet, che producono come complemento anche uno strumento cartaceo (e spesso anche newsletter), e viceversa riviste da tempo edite in cartaceo, che accompagnano la loro azione anche con prodotti web, come siti, newsletter, pagine facebook, blog, e presenze su altri social media.
Insomma, si tratta di un panorama molto articolato, dove coesistono strategie più classiche, per chi ha un ruolo tecnico/scientifico e di aggiornamento professionale, e più comunicativamente variegato per quelle testate che hanno un ruolo più di tipo informativo, divulgativo, promozionale, “militante”».
Si può dare anche qualche cifra?
«Sui numeri credo sia realmente impossibile esprimersi; il Rapporto sull’editoria sociale presentato poco più di quattro anni fa anni fa alla prima edizione del Salone dell’Editoria Sociale di Roma, parlava di circa 9.000 testate, ma nell’àmbito di una concezione del sociale amplissima (sindacati, patronati, enti ecclesiali, settore educativo, sportivo, ambientale, culturale, sanitario… non solo, quindi, il sociale classico).
Più dettagliata, invece, appare la rilevazione dell’ISTAT nell’ambito del Censimento Industria, Servizi, Non Profit (edito nel 2014 e basato su dati riferiti al 2011), in cui è presente un’analisi dettagliata delle iniziative di comunicazione del solo settore non profit, riviste comprese. Ma anche qui i dati sono sovrastimati, in quanto l’ISTAT riconduce al non profit anche sindacati, partiti, enti ecclesiali e organizzazioni professionali.
In generale, la produzione di strumenti come riviste e bollettini periodici (cartacei o meno) è infinitamente più ridotta dell’utilizzo di strumenti internet. E in ogni caso, se si considerano anche le testate locali, e quelle di piccole associazioni, credo che si arrivi ad alcune migliaia; se considerassimo poi quelle per cui “vale la pena spendere dei soldi per abbonarsi” o che comunque, pur diffuse gratuitamente, hanno indiscutibili elementi di qualità, credo si possa arrivare a circa 400-500 testate, comprese anche le riviste di taglio molto tecnico e specialistico. Ma è una stima dettata solo dall’esperienza, che, come detto, non è uguale per tutte le aree».
È ancora vivo, come un po’ di tempo fa, il dibattito sui temi delle fonti di informazione e documentazione del sociale?
«Negli ultimi dieci-quindici anni, il boom delle rete e dell’informazione in generale ha spinto più a produrre che a riflettere, insomma più labora e meno ora, per dirla scherzosamente.
Il dibattito, anche se limitato, c’è stato di più negli Anni Ottanta e Novanta, quando questi sistemi nascevano e si sviluppavano. Ad esempio, il CDH dell’AIAS di Bologna [Centro Documentazione Handicap dell’Associazione Italiana Assistenza agli Spastici, N.d.R.] chiamò a raccolta due volte le redazioni delle riviste del settore disabilita. Il Centro Nazionale per il Volontariato di Lucca promosse una Federazione delle Riviste del Volontariato che produsse anche una delle prime esperienze formative in materia, con una Scuola di Giornalismo. E ancora, la FIVOL (Fondazione Italiana per il Volontariato) organizzò un convegno dedicato ai centri di documentazione da cui originò nel tempo anche un tentativo di collegamento nazionale chiamato Rete Nephila, che per alcuni anni collaborò anche con l’AIB (Associazione Italiana Biblioteche) e con l’AIDA (Associazione Italiana per la Documentazione Avanzata).
A Ferrara, nei primi Anni 2000, si tennero tre convegni nazionali su documentazione e volontariato e nacque perfino un consorzio in materia tra biblioteche pubbliche e centri di documentazione. Poi, per molti anni nulla, fino a quando, più recentemente, l’interesse si è riacceso con il già citato Salone dell’Editoria Sociale di Roma, giunto alla sesta edizione, anche se più centrato sul prodotto libro che sulle riviste. In appendice del catalogo da noi realizzato, si trovano comunque molte indicazioni e i link alle cose più interessanti che si sono scritte in materia dalla metà degli Anni Ottanta ad oggi».
Dal generale al particolare: ci sono alcune testate, soprattutto sul fronte divulgativo, da segnalare per la loro particolarità?
«Qui i ragionamenti diventano anche molto soggettivi. In ogni àmbito, infatti, ci sono testate di qualità e che escono da tantissimi anni. Nella disabilità, ad esempio, “HP-Accaparlante”, anche se non ha retto alla lunga la dicotomia tra carta e web, tra informazione e approfondimento, e “SuperAbile”, anche se non abbiamo la riprova degli abbonamenti, essendo diffusa gratuitamente.
Nel settore delle politiche sociali, “Prospettive Sociali e Sanitarie”, “Studi Zancan”, “Welfare Oggi”, “Autonomie locali e servizi sociali” sono tutte di alta qualità, con la rivista dell’IRS (Istituto per la Ricerca Sociale) più attiva nell’affrontare il “nuovo che avanza” [la rivista dell’IRS è “Prospettive Sociali e Sanitarie”, N.d.R.].
Per quanto poi riguarda le dipendenze, “il Delfino” del CEIS (Centro Italiano di Solidarietà don Mario Picchi), per il carcere “Ristretti Orizzonti”, per il rapporto tra Nord e Sud del mondo “Nigrizia” e “Italia Caritas” sul sociale in genere.
Le testate specialistiche di taglio scientifico sono tante e di alta qualità, impossibile fare una classifica, almeno da parte mia. Personalmente sono molto legato a progetti di tipo trasversale, con una sintesi tra più discipline e senza dimenticare un approccio antropologico e di orizzonte culturale. In tal senso “Animazione Sociale” e “Una Città” sono le due che conosco meglio, ma anche ad esempio le due riviste romane “Lo Straniero” e “Gli Asini”.
Ci sono poi esperienze di piccole riviste, alcune magari a vocazione soprattutto locale, che resistono, agli anni e al portafoglio. Cito solo “Madrugada” dell’Associazione Macondo di Pove del Grappa (Vicenza) e “Il Jolly” della UILDM di Bergamo (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).
Io ho anche un po’ di nostalgia di un piccolo segmento di riviste, apparse nella seconda metà degli Anni Novanta e tutte rapidamente cessate, che tentavano di ridefinire soprattutto il rapporto tra politica e società civile. Penso ad esempio ad “Athar”, “Onde Lunghe”, “Costituente di Strada” che ai più non diranno assolutamente nulla, ma che hanno cercato nel loro piccolo di spezzare/evolvere la classica logica cooptativa (quando non consociativa) che esiste tra sociale e politica».
Qualche annotazione in più sullo specifico settore della disabilità?
«La disabilità è l’area del sociale su cui forse c’è stato il maggiore sviluppo informativo, sia per motivi che potremmo definire “storici”, dati dalla presenza già negli Anni Ottanta di realtà come l’AIAS di Bologna, la Comunità di Capodarco, la UILDM Nazionale, ma anche per l’evidenza dell’utilità dell’uso delle tecnologie come ausilio nelle disabilità, anche e soprattutto nel campo della comunicazione, intesa non solo nell’accezione mediatica.
Possiamo dire che nel corso degli ultimi dieci-quindici anni ci sono stati degli “spostamenti”: l’informativo è ormai sulla rete (“Superando”, “SuperAbile”, “Disabili.com”, “HandyLex”…), continua l’approfondimento di tipo scientifico nelle riviste specializzate, soprattutto medico-scientifiche, a periodicità lunga, continua il modello della rivista “associativa” che media un po’ tra informazione, promozione, divulgazione e approfondimento, con alcune testate ben curate e altre più “ruspanti”.
Una considerazione a parte merita poi il mercato scolastico e degli insegnanti di appoggio, in cui spicca la copiosa produzione – circa venti testate – della Erickson, su cui personalmente non ho però elementi di valutazione.
Tempi difficili, infine, per chi sceglie altri orizzonti, soprattutto se vuole campare anche di abbonamenti e decide di non stare solo su web.
Detto in conclusione delle possibili scelte, credo che “Superando”, privilegiando il dibattito e la divulgazione, e concedendo con moderazione alla cultura del “diversamenteabile”, sia lo spazio di maggiore utilità».