Concordo in toto con la nota diffusa congiuntamente dal Coordinamento Down Lombardia e della Federazione lombarda LEDHA, di cui si è riferito qualche giorno fa su queste stesse pagine e con la quale le due organizzazioni hanno stigmatizzato senza se e senza ma le recenti espressioni ingiuriose nei confronti delle persone con disabilità, utilizzate dalla consigliera della Regione Lombardia Carmela Rozza, come termine di paragone per criticare alcuni avversari politici.
La cosa ancor più grave e avvilente, però, è che l’uso di un lessico a dir poco inadeguato e lesivo della dignità dei cittadini con disabilità, in Italia, nel 2019, è ancora una pratica molto diffusa in ogni àmbito e settore della società.
Abbiamo una Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, una Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che già da dieci anni è Legge dello Stato Italiano [Legge 18/09, N.d.R.], abbiamo gli impegni politici previsti dai diciassette Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU 2030 e da ultimo, ma non certo ultimo, il Secondo Programma di Azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, e tuttavia, nonostante tutto ciò, concretamente, nel nostro Paese, siamo molto indietro per un’effettiva inclusione sociale delle persone con disabilità, specie a causa dei tanti, troppi pregiudizi e tabù ancora esistenti nei nostri confronti.
Il problema, a mio avviso, è soprattutto culturale. Se infatti si viene educati in linea di principio a considerare le differenze tra le persone, le diversità e le peculiarità di ognuno come la ricchezza stessa di ogni situazione sociale, allo stesso tempo si è abituati in maniera più o meno conscia a viverle concretamente quale un “pericolo”, se non addirittura come una deminutio.
Pertanto, anche in vista delle ormai prossime Elezioni Europee del prossimo mese di maggio, l’occasione mi è propizia per rammentare alla nostra classe politica – spesso desolatamente “smemorata” in materia – che, ai sensi della succitata Convenzione ONU, disabili non si nasce, ma lo si diventa ogniqualvolta la società non ci fornisce i giusti strumenti, le opportune strategie e i servizi efficaci per rimuovere gli ostacoli che ci impediscono di avere una vita autonoma e indipendente e sono causa di discriminazione.
Non siamo noi quelli “sbagliati”, ma è la società a dover essere “riabilitata”, quando emargina, si dimentica di noi, quando ci esclude.
Rimettiamo finalmente al centro di tutto la persona con i suoi diritti e la sua dignità di essere umano “a tutto tondo”, a prescindere dall’età, dalla lingua, dal colore, dalla religione, dal sesso e dall’abilità. Solo così facendo, saremo capaci di riappropriarci della nostra dimensione autentica e cristiana, riuscendo a volgere lo sguardo dal “cortile” dell’indifferenza che rende ciechi e dall’ignoranza, verso nuovi orizzonti di “umanità”.
Consigliere della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi.
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