Gentile Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, le scrivo al termine della bella festa conclusiva del centro estivo istituito in favore di anziani e di adulti e minori con disabilità, nella tenuta presidenziale di Castelporziano (Roma).
Sono il presidente di Casa al Plurale, Associazione che riunisce tante case famiglia della Capitale per persone con disabilità e per bambini e adolescenti. Sono esattamente 380 le persone con disabilità ospitate e quasi 1.000 i bambini. Un’Associazione di secondo livello, “plurale” per l’appunto.
Le scrivo invitato dalle sue parole, pronunciate in occasione della festa di Castelporziano e parto proprio da queste. Lei ha detto: «L’indifferenza è tra i mali peggiori. In realtà di disabilità si parla ancora troppo poco e con parole talvolta sbagliate».
Quanto ha ragione! Ce la metterò tutta, in questa mia lettera, nel cercare le parole giuste, rispettose, efficaci, forti. Spero di esserne capace.
Voglio raccontarle, Presidente, due episodi, al termine dei quali le voglio fare una richiesta precisa, appellandomi anch’io, come lei, alla nostra bellissima Costituzione. E vorrei provare a mostrare come tutte le cose che andrò raccontarle siano con essa collegati.
Il primo episodio. Una donna con gravissima disabilità, un autismo “severo”, ha provato a Castelporziano ad avvicinarsi al palco delle autorità, dove era lei. Cinzia non parla, non alza lo sguardo (quando lo fa è una meraviglia, vedesse che occhi e che storie raccontano quegli occhi!). Un addetto alla sicurezza si avvicina. E fa un gesto nuovo, inedito, inatteso. Le parla con garbo, dandole del “lei”. È la prima volta che accade. Trattare le persone più fragili, oramai adulte, come eterni bambini o ragazzi è mancanza di rispetto. Quella persona ha avuto un rispetto assoluto, e le ha detto: «Mi scusi Signora, si potrebbe spostare un poco che dovremmo passare?».
«Signora»? «Scusi»?
Ecco, guardi, le parole sono importanti, e non è per nulla banale sentire un tale rispetto nei confronti di Cinzia. Non basta, ovvio. Ma si parte proprio da lì. Perché “chi parla male, pensa male”. E allora dai piccoli gesti occorre ricostruire le nostre relazioni sociali.
Ringrazi, da parte di Cinzia, quella persona, che ha fatto, per la prima volta, un gesto di accoglienza, con poco.
Le racconto ora il secondo episodio, apparentemente banale, ma che invece ha proprio a che fare con la nostra Costituzione. E con Castelporziano e le sue parole.
Maria Antonietta e Renato hanno 75 e 80 anni. E nello scorso fine settimana, per la prima volta dopo cinquant’anni, sono andati alle terme assieme, da soli. Tre giorni lui e lei.
Sono i genitori di Francesca, una donna di 50 anni, con una grave disabilità. Per la prima volta da soli, marito e moglie. Una luna di miele! Una cosa meravigliosa, ma possibile solo se in tanti la rendiamo tale. Da qualche mese la figlia vive a Casablu, una delle case-famiglia che questa estate si è allietata nella tenuta di Castelporziano. Quei due genitori sanno che la vita finisce. Che la Morte non è un tabù, che bisogna prepararsi molto prima, e che quando si hanno delle responsabilità enormi, queste vanno condivise.
Con chi? Chi è responsabile di Francesca, donna con grave disabilità? Non è una domanda per nulla banale, e sono certo che lei non si sorprenderà se le rispondo che è proprio Lei, Presidente, ad essere “respons-abile”. Certo, non può mica portare al Quirinale Francesca, e con lei le tantissime persone fragili della nostra bella Italia! Per quello ci sta la società civile, il terzo settore, le case famiglia. Ma noi ci siamo per collaborare con le Istituzioni. Non vogliamo una delega, un “pensateci voi” vogliamo un “pensiamoci noi, assieme”, perché ogni risposta deve essere particolare, centrata, appropriata.
Se la mamma e il papà di Francesca, per la prima volta in cinquant’anni si sono affidati a lasciare la loro figlia, vuol dire che è possibile costruire luoghi di vera accoglienza, luoghi nei quali le persone si sentano “a casa” e non in un anonimo istituto. Luoghi piccoli, accoglienti (venga a trovare Francesca in casa famiglia, Presidente!).
Pero… questi luoghi… costano! E chi deve pagare, se non la Comunità? Eccomi al punto e concludo. Mi perdonerà se ricordo le sue stesse parole, per passare dal particolare all’universale: «Ci sentiamo coinvolti, spesso, di fronte a un caso singolo, ma poi non traduciamo questo stato d’animo in scelte concrete e permanenti di carattere generale. Occorre, invece, chiedersi cosa ciascuno di noi singolarmente e cosa la società può fare»
Cosa fare? Molto semplice: una sua comunicazione – lei e i suoi uffici conoscerete sicuramente la modalità più efficace per farla, nel pieno rispetto delle responsabilità di ciascuno – con la quale sollecitare il Comune di Roma e la Regione Lazio a stanziare i fondi necessari per garantire a ciascuna persona quanto necessario per avere una vita dignitosa.
Gli Assessorati competenti di entrambe le Istituzioni stanno lavorando alla loro definizione e la collaborazione con chi le scrive è più che proficua, una vera e bella esperienza di coprogettazione e di collaborazione con le Istruzioni, tale da indurmi a scriverle!. Ma quello che manca… Sono i soldi! Occorre riscrivere le priorità, nell’ordine giusto. E fare in modo che Governo, Regioni e Comuni abbiano le risorse economiche necessarie.
Sarò diretto e concreto. Il Comune di Roma stanzia per le casa famiglia una cifra che in molti casi è meno della metà di quanto servirebbe.
Ecco, dunque, in conclusione: le parole generano pensiero, occorre studiare le risposte giuste alle domande. Studiare tanto. Lo abbiamo fatto. Esiste uno studio serio realizzato in questi anni, dal quale si dimostra quanto dovrebbe costare una casa famiglia.
Lei ha concluso in modo efficace. Richiamo dunque ancora le sue parole: «La nostra Costituzione, all’articolo 3, richiede alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli allo sviluppo della personalità» [la lettera è pubblica, richiamo qui per i lettori il testo cui lei si riferisce: «Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale […]. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana», N.d.A.].
E ancora: «È un’applicazione dei doveri di solidarietà indicati dall’articolo 2 della Costituzione. Nessuno può essere abbandonato di fronte alle difficoltà. La nostra bella Italia se perdesse – o anche soltanto se attenuasse – il senso della solidarietà e del rispetto di ogni persona tradirebbe i suoi valori e la sua storia. Questo non avverrà».
Presidente, serve un suo cenno perché ci siano le risorse economiche necessarie affinché nessuno, come Francesca, sia «abbandonata di fronte alle difficoltà». Senza quelle risorse economiche, tante case famiglia saranno costrette a chiudere, perché così ci è davvero impossibile proseguire.
Ma siamo certi, con lei, che «questo non avverrà»!