Scoperta una «firma genetica» del diabete, studiando alcune Malattie Rare

Una ricerca condotta presso l'Università di Catanzaro "Magna Græcia", finanziata anche da Telethon e coordinata da Antonio Brunetti, è un'ottima dimostrazione di come lo studio delle Malattie Rare - ben lungi dal riguardare solo poche persone - può invece avere ricadute molto più ampie, facendo addirittura luce su patologie che colpiscono circa 250 milioni di persone nel mondo, come il diabete mellito di tipo 2. Fino a questa scoperta, infatti, non era mai stato individuato un fattore genetico con un'associazione così forte con tale malattia e il "punto di partenza" lo si è avuto proprio studiando una serie di rare forme genetiche di insulino-resistenza

Il ricercatore Antonio Brunetti, coordinatore dello studio finanziato anche da TelethonDalla ricerca sulle Malattie Rare arriva nuova luce su una delle malattie metaboliche più diffuse nel mondo, il diabete mellito di tipo 2: infatti, il gruppo di ricerca dell’Università di Catanzaro “Magna Græcia”, coordinato da Antonio Brunetti, ha scoperto che in un diabetico su dieci è presente una sorta di “firma genetica” che aumenta di sedici volte il rischio di sviluppare questa malattia, che nel mondo colpisce circa 250 milioni di persone.
Pubblicato sulle pagine del «Journal of American Medical Association» («JAMA»), lo studio è stato finanziato anche da Telethon e ha coinvolto quasi 9.000 pazienti diabetici, di cui 4.000 italiani.

Sono molti anni che Antonio Brunetti studia la resistenza all’insulina, ovvero la ridotta risposta dei tessuti all’azione dell’ormone che controlla i livelli di zucchero nel sangue. Questo fenomeno – tipico delle persone affette da diabete di tipo 2 – si riscontra in modo ancora più accentuato in alcuni individui affetti da rare malattie genetiche come la sindrome di insulino-resistenza e acanthosis nigricans di tipo A, il leprecaunismo e la sindrome di Rabson-Mendenhall. «Queste forme rare – spiega Brunetti – si sono rivelate un ottimo modello sperimentale per lo studio del diabete. Grazie al supporto di Telethon, nel 2005 abbiamo dimostrato come la resistenza all’insulina può dipendere da alterazioni nel gene HMGA1, che contiene le informazioni per una proteina che “accende” il gene per il recettore dell’insulina, la molecola che si affaccia fuori dalla cellula, cattura l’ormone, traduce il suo messaggio e lo trasmette all’interno della cellula stessa».

Scoperta dunque questa alterazione in quattro pazienti affetti da forme rare di insulino-resistenza, Brunetti e collaboratori si sono chiesti se questo difetto potesse essere riscontrato anche nella forma più comune della malattia, per la quale ancora oggi la causa non è ben nota.
Per cercare una correlazione tra la malattia e difetti nel gene HMGA1, i ricercatori calabresi hanno raccolto quindi una casistica molto ampia di pazienti diabetici: 3.278 pazienti italiani, 970 americani e 354 francesi e oltre 4.000 individui sani di controllo. Studiandone il patrimonio genetico, Brunetti e il suo gruppo hanno scoperto come circa il 10% delle persone affette da diabete di tipo 2 presenti varianti funzionali del gene HMGA1. «Questo risultato – sottolinea ancora il ricercatore – ha delle grandi ricadute nella pratica clinica. Fino ad oggi, infatti, non era mai stato individuato un fattore genetico con un’associazione così forte con la malattia. Innanzitutto la presenza di queste varianti potrà servire come indicatore precoce del diabete di tipo 2, specialmente negli individui con familiarità diabetica».

Ma non è tutto: anche la risposta ad eventuali terapie farmacologiche e la progressione della malattia con gli anni possono essere influenzate dalla presenza di questi determinanti genetici. «Questo lavoro – conclude Brunetti – è un ottimo esempio di come lo studio delle Malattie Rare possa avere ricadute molto più ampie e fare luce su patologie che colpiscono invece milioni di persone nel mondo. Il prossimo passo sarà andare a fondo dei meccanismi con cui difetti nel gene HMGA1 rendono l’organismo resistente all’azione dell’insulina, in modo da poter disegnare in futuro terapie specifiche per questo tipo di pazienti diabetici. (Matteo Marchese)

Il diabete mellito è una malattia cronica caratterizzata dalla carenza o dal malfunzionamento dell’insulina, ormone prodotto dal pancreas che consente al glucosio di entrare nelle cellule dell’organismo, dove viene utilizzato come fonte energetica. Se l’insulina è poca o funziona male, il glucosio non entra nelle cellule e si accumula nel sangue.
Mentre nel diabete di tipo 1 l’insulina manca del tutto, nel tipo 2 – la  forma più comune – l’insulina viene prodotta normalmente, ma le cellule dell’organismo non rispondono adeguatamente al segnale ormonale. Se non viene trattato in maniera appropriata, il diabete mellito può determinare la comparsa di tipiche complicanze croniche a carico di occhi, reni, cuore, vasi sanguigni, nervi periferici.
Le cause precise dell’insorgenza del diabete mellito non sono ancora note: ad oggi, però, i ricercatori concordano sul fatto che si tratti di una malattia multifattoriale, dovuta alla concorrenza di fattori genetici, ambientali e comportamentali (obesità, iperalimentazione e vita sedentaria). (M.M.)

Per ulteriori informazioni sulla ricerca coordinata da Antonio Brunetti: ufficiostampa@telethon.it.

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