Per l’emanazione di un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), il passaggio più delicato politicamente è quello del parere che esprimono le Camere. L’Esecutivo, infatti, rimane delegato da una norma approvata dal Parlamento ad emanare uno schema rispettoso della Legge di riferimento e al contempo in grado di avere un avallo politico. L’attuale maggioranza, quella delle cosiddette “larghe intese”, raccoglie sensibilità diverse sulle questioni relative alle politiche sociali. Diverse e contraddittorie, come testimoniato dal congelamento delle questioni legate all’IMU e all’IVA.
Il parere espresso sullo schema di regolamento ISEE dalle Commissioni Parlamentari congiunte Finanze e Affari Sociali è quindi l’espressione di una difficile composizione tra partiti diversi che sostengono (in modo eterogeneo) la maggioranza e l’opposizione.
Se poi consideriamo che l’ISEE vuole essere lo strumento di determinazione dell’equità per l’accesso ai servizi sociali e sociosanitari, è evidente come si riscontrino visioni diverse su come costruire i valori della scala sociale del Paese.
Apparentemente tutti i gruppi politici di opposizione e di maggioranza si sono schierati a tutela delle persone con disabilità. Nei fatti, tuttavia, non possiamo dimenticarci alcuni elementi di fatto.
1. L’ultimo Governo Berlusconi ha tentato una riforma fiscale e assistenziale basata sull’idea che larga parte delle risorse destinate a servizi fossero equiparabili a sprechi e “falsi invalidi”. Quella riforma cadde, in virtù del fatto che i 20 miliardi che voleva recuperare per garantire l’equilibrio dei conti del bilancio statale in relazione alle richieste della BCE [Banca Centrale Europea, N.d.R.] provenivano in prevalenza dalla rimodulazione restrittiva delle indennità di accompagnamento. Questa prestazione economica sarebbe stata legata per la sua erogazione al reddito. Ciò avrebbe portato inevitabilmente alla cancellazione di una prestazione economica su tre. Altra prestazione sulla quale si sarebbe abbattuto il taglio erano le pensioni di reversibilità, quelle che in prevalenza vanno a donne anziane discriminate nell’accesso al reddito nella loro vita lavorativa.
2. Nella sinistra italiana invece prevale l’idea della costruzione di un sistema di politiche sociali pubblico sulla scorta del cosiddetto “universalismo selettivo”. Una contraddizione in termini, quest’ultima: l’universalismo, infatti, implica la gradualità del prelievo fiscale (chi più ha, più contribuisce) a fronte di servizi uguali per tutti di qualunque fascia sociale facciano parte. Ciò accade per l’anagrafe come per la giustizia, come per la scuola e per la sanità. Un servizio sanitario per le sole persone in condizioni di bisogno economico l’abbiamo già conosciuto all’epoca delle mutue ed è ben presente negli Stati Uniti. È un servizio per fasce sociali, dove i più poveri prendono le prestazioni meno qualificate e in minor misura. In buona sostanza, la selettività realizzata attraverso l’ISEE disegna un sistema di prestazioni sociali equivalente a quello sanitario nordamericano, solo per i più bisognosi dal punto di vista economico. Insomma, si tratta di un universalismo inesistente. La selettività entra in campo nelle politiche sociali per una ragione molto pragmatica: il sistema di servizi sociali si comincia a consolidare quando corruzione, autonomismo dell’irresponsabilità e della frammentazione, sprechi, inutili burocrazie dalle dirigenze castali e del pubblico impiego che premia le inefficienze, pensioni baby e d’oro, si erano già erosi tutta la ricchezza che i Cittadini versano allo Stato che consta di circa il 50% (sommerso incluso) dell’ottavo PIL del Mondo.
Si decide quindi di strutturare servizi sociali residuali per i più poveri: la selettività è così di fatto negazione dell’universalismo. Infatti le famiglie medie affidano i loro figli a nidi privati e i loro anziani a badanti. I numeri sono chiarissimi: spendiamo quasi quanto la Grecia e tra gli ultimi nell’Europa a 27, quindi compresi i Paesi ex cortina di ferro. Lo strumento di selezione non poteva essere la dichiarazione dei redditi poiché ben sappiamo di come sia sistematicamente una documentazione inaffidabile.
Anche la sola prospettiva di non applicare l’ISEE sui servizi propedeutici a costruire l’opportunità di inclusione delle persone viene allontanata. Per le persone con disabilità, attraverso servizi diretti o indiretti, emolumenti inclusi, si garantiscono i diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione ONU e pertanto il riconoscimento del diritto di non essere per sempre adolescenti dipendenti dei propri genitori. Genitori che con molta difficoltà potranno essere garantiti nella loro epoca di vita dalla non autosufficienza da figli con disabilità, interrompendo un ciclo naturale di solidarietà tra generazioni. Persino Paesi che hanno scelto un sistema sanitario e sociale fondato sul mercato assicurativo, come l’Olanda, hanno compensato con interventi pubblici i due determinanti principali di discriminazione all’accesso ai servizi a pagamento: la povertà e la disabilità. Insomma, la selezione attraverso la definizione della compartecipazione alla spesa è di per sé un errore drammatico nel caso delle persone con disabilità.
Ancor di più, poi, se la base di partenza è quella contenuta nell’articolo 5 della cosiddetta “Manovra Salva Italia” (quello approvato nel tempo record di una settimana da entrambi i rami del Parlamento a causa dell’avvitamento dello spread [Legge 214/11, N.d.R.]), dove alcune somme percepite e sin qui esenti si trasformano in reddito: indennità di accompagnamento e comunicazione, rendite INAIL, assistenza indiretta, assegni di cura, prestazioni sociali garantite ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione Italiana: «la Repubblica rimuove gli ostacoli alla piena inclusione della persona umana». L’articolo 5 della Manovra Salva Italia, infatti, pone sullo stesso piano i redditi e i patrimoni, anche se evasi ed elusi, con le somme percepite a titolo assistenziale o per interventi di natura sociale. L’equità è la distruzione delle pari opportunità per i Cittadini con disabilità. All’improvviso una persona con SLA [sclerosi laterale amiotrofica, N.d.R.] che percepisce 2.000 euro al mese per l’assistenza indiretta, e che ne spende anche fino al doppio, seguendo lo spirito dell’articolo 5, è considerato un benestante al pari di un commerciante o di un professionista che sia un evasore fiscale.
Questi due passaggi, il campo di applicazione dell’ISEE e ciò che viene messo a numeratore per conteggiare il reddito, sono i due nodi irrisolti di questo provvedimento. D’altro canto sono questioni che vanno affrontate per via normativa con modifiche all’articolo 5 della “Manovra Salva Italia”. In tal senso, bene ha fatto il Movimento 5 Stelle ad annunciare un’iniziativa parlamentare per cancellare perlomeno il secondo dei due vulnus. Da qui deve ripartire la battaglia delle associazioni delle persone con disabilità e dei familiari, coinvolgendo l’intero Paese in una questione di civiltà e di riconoscimento dei diritti umani delle persone con disabilità.
Allo stesso tempo, lo schema di DPCM – in un percorso partecipato con il viceministro Guerra – aveva già posto argine alle violazioni più evidenti della “Manovra Salva Italia”. Infatti, la FISH [Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.] si è ispirata nell’azione all’idea di far riconoscere chi necessita di servizi, per poter aspirare a uscire di casa, sia fisicamente che simbolicamente, e non essere considerati “ragazzi per sempre”. E quindi:
– non sottoporre a ISEE l’erogazione dell’indennità di accompagnamento, unico strumento certo di universalismo insieme al Servizio Sanitario Nazionale (battaglia vinta);
– distinguere tra anziani e disabili (battaglia vinta);
– reddito individuale (nella sostanza, battaglia vinta);
– compensare interamente emolumenti (indennità, assistenza indiretta e assegno di cura) impropriamente considerati redditi (battaglia vinta);
– garanzia che sia applicato ovunque nel Paese (battaglia parzialmente vinta).
Approvando di fatto lo schema di DPCM, il Parere delle Commissioni Riunite Finanze e Affari Sociali ha colto ulteriori aspetti segnalati dalla FISH:
– sul tema della validità nazionale del DPCM, cita la Sentenza della Corte Costituzionale 297/12 che di fatto supera lo stesso limite posto all’articolo 2 del provvedimento. Non lo modifica, ma di fatto lo supera, al fine di evitare trattamenti differenziati di territorio in territorio;
– sul tema delle minorazioni plurime concorrenti (quelle dalle quale discende il “raddoppio” dell’indennità di accompagnamento), il Governo è invitato a sforzarsi a trovare forme compensative forfettarie per la doppia indennità percepita in molti casi in condizioni di estrema necessità di sostegni intensivi;
– sul tema dei minori con disabilità, il Governo è invitato a non equiparare trattamenti uguali tra diseguali, ovvero tra minori con o senza disabilità.
Inoltre, il Parere invita il Governo a rendere permanente il tavolo di confronto con le rappresentanze nazionali delle Regioni, dei Comuni, delle parti sociali e delle associazioni delle persone direttamente interessate, al fine di misurare la validità dello strumento e soprattutto dell’applicazione di esso. Avendo incluso altri redditi, infatti, la formula del nuovo ISEE alzerà il numero di esito e, qualora i Comuni e le Regioni non adeguino le loro soglie per l’accesso ai servizi, si rischierà un ulteriore taglio alle prestazioni sociali con molti attuali utenti a spasso.
Ma c’è di più: le autonomie locali che hanno scelto di erogare prestazioni dirette all’emancipazione delle persone con disabilità devono poter essere prese come paradigma e l’ISEE eventualmente usato solo per la costruzione delle priorità nelle graduatorie. Così come è inimmaginabile che le prestazioni sociali per l’inclusione scolastica siano sottoposte a reddito: il diritto allo studio è garantito gratuitamente ed è incomprimibile per ragioni di bilancio (Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale). È evidente che così facendo questo tavolo potrà occuparsi anche degli obiettivi di servizi e quindi dei Livelli Essenziali di Assistenza.
Nell’audizione, infine, delle Commissioni riunite alle parti sociali, è stata apprezzabile la disponibilità della maggioranza ad accogliere i temi segnalati dal movimento associativo delle persone con disabilità e dei loro familiari, ed in particolare dei molti parlamentari del Partito Democratico intervenuti, così come evinto nel Parere poi reso pubblico.
Solo un intervento è stato dissonante: chi ha rivendicato che considerare reddito le prestazioni economiche e i servizi sociali avrebbe finalmente distinto tra le stesse persone con disabilità. Una follia pensare di ritenere un privilegiato chi è riuscito a conquistarsi un pezzettino di libertà e di opportunità di sviluppare la propria personalità, invece di garantirla a tutti. Senza parafrasi: è stata una vergogna ascoltare quelle parole in un’aula parlamentare; sono tanto insultanti e discriminatorie quanto quelle ricevute dal ministro Kyenge per il colore della sua pelle. Se è consentito, più subdole, ma con la stessa radice culturale.
Non solo: basta con la questione delle risorse! Non si può e non si deve considerare povera l’ottava ricchezza del mondo e uno Stato che ne assorbe la metà. Citando il ministro del Tesoro Saccomanni, i soldi ci sono, bisogna decidere dove allocarli. Da qui deve ripartire la battaglia delle associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari: combattere per le risorse, per evitare sprechi per assenza di integrazione tra politiche, per bloccare le scorciatoie di riduzione dei servizi e di accorpamento delle case famiglie in istituzioni totalizzanti e segreganti dove prevale un trattamento inumano tipico dei lager, e per un ISEE davvero equo nei confronti delle persone con disabilità, mobilitando il Paese affinché sappia riconoscere la discriminazione causata da una compartecipazione alla spesa al servizio che consente di alzarsi dal letto, uscire di casa, e provare a produrre un reddito il quale poi concorrerebbe a rendere inesigibile il sevizio stesso provocando la scelta inaccettabile tra assistenza e lavoro, e dall’equiparazione a un reddito di prestazioni sociali e servizi, per di più al pari di ricchezze dichiarate ed evase, promuovendo una Proposta di Legge sulla quale si potranno verificare le disponibilità dei gruppi parlamentari.