Una sperimentazione innovativa, che potrà servire da modello per essere replicata ed estesa ad altre situazioni e territori, permettendo così significativi progressi nella valutazione e nel miglioramento dell’autonomia degli studenti con disturbi dello spettro autistico, al termine del loro percorso formativo dell’obbligo, con una più proficua interazione fra insegnanti, educatori, operatori sul territorio e famiglie.
Sono le indicazioni che emergono dai risultati della sperimentazione denominata Progetto dei 300 giorni e realizzata in 27 scuole dell’Emilia-Romagna, grazie alla collaborazione fra l’Ufficio Scolastico Regionale e la Fondazione Giovanni Agnelli, l’istituto di ricerca torinese impegnato da anni sui temi dell’inclusione scolastica degli allievi con disabilità e BES (Bisogni Educativi Speciali), che ha partecipato in termini di progettazione, co-finanziamento, coordinamento e monitoraggio.
I risultati analitici dell’iniziativa e le raccomandazioni di azioni concrete che se ne possono trarre sono stati presentati nei giorni scorsi in un seminario all’Istituto di Istruzione Superiore Belluzzi-Fioravanti di Bologna.
Nel dettaglio, la sperimentazione – operativamente attiva per circa un anno e mezzo scolastico, dall’aprile del 2013 al maggio del 2014, donde il nome stesso di Progetto dei 300 giorni – ha riguardato 36 ragazzi, nati nel 1996, certificati con disturbi dello spettro autistico, coinvolgendo 54 insegnanti di sostegno, spesso affiancati da almeno un educatore per allievo.
La direzione scientifica è stata affidata a Maurizio Arduino, responsabile del Centro Autismo e Sindrome di Asperger-C.A.S.A. dell’ASL CN 1 (Mondovì, in provincia di Cuneo), che lo ha strutturato e ha elaborato un protocollo valutativo ad hoc, basato sul TTAP (TEACCH Transition Assessment Profile), strumento che fa parte del Programma TEACCH, ispirato a una filosofia di presa in carico globale per tutto l’arco di vita del soggetto con autismo e della sua famiglia.
Il TTAP rende possibile valutare in diverse aree e contesti il ragazzo con autismo durante il percorso scolastico e predisporne il piano di transizione alla vita adulta. Esso prevede – oltre all’osservazione diretta – la raccolta di informazioni (con familiari, insegnanti e operatori) sul funzionamento della persona nella quotidianità (a casa, a scuola, nei contesti occupazionali).
In sostanza, il progetto ha sperimentato un protocollo di valutazione e monitoraggio per verificarne l’usabilità a scuola e la sua replicabilità in altri contesti scolastici. In termini operativi, ha previsto:
a) la messa a punto di un documento di sintesi del curriculum formativo dell’alunno che possa essere condiviso e trasmesso negli anni successivi e agli operatori che seguiranno il soggetto alla fine del suo percorso scolastico;
b) la predisposizione e attuazione di un progetto educativo per incrementare l’autonomia del ragazzo/a in diverse aree (attitudini e comportamenti lavorativi; funzionamento indipendente; attività del tempo libero; comunicazione funzionale; comportamenti interpersonali), monitorandolo con gli strumenti valutativi e i processi predisposti dalla sperimentazione.
Il percorso non ha sostituito per altro quello costruito dalla rete dei servizi in collaborazione con la scuola e la famiglia, ma si è proposto di integrarlo, con un contributo specifico del contesto scolastico.
Divisi in tre gruppi territoriali, i ragazzi, i loro insegnanti e gli educatori sono stati accompagnati e supportati da referenti-supervisori (professionisti esperti in autismo), con specifiche competenze nell’uso di strumenti di valutazione funzionale e di riabilitazione. Circa 23 sono state le ore di sostegno a settimana erogate mediamente agli alunni partecipanti. Nel corso della sperimentazione, gli insegnanti hanno prodotto complessivamente oltre 500 schede di monitoraggio (in media 14,5 a studente, equivalenti a una frequenza di circa una ogni 14 giorni). Nell’àmbito degli obiettivi e delle attività controllate, si sono registrati e valutati circa 1.700 compiti, di cui il 58% giudicati come “riusciti” e il 38% come “emergenti”.
La sperimentazione, inoltre, ha permesso di mettere in luce alcuni aspetti migliorabili, in particolare per quanto riguarda la formazione (ne serve di più e maggiormente collegata all’utilizzo degli strumenti di lavoro del protocollo) e la necessità di un maggior coinvolgimento di esperti/referenti, famiglie, ASL e del resto della scuola.
Nel complesso, tuttavia, metodo, strumenti e processi della sperimentazione hanno incontrato un ampio e sostanziale favore di insegnanti e famiglie, che li ritengono certamente trasferibili a nuove situazioni. Gli obiettivi individuati grazie all’utilizzo del TTAP e su cui si è successivamente lavorato per incrementare le capacità e le autonomie degli studenti, sono stati infatti valutati come molto significativi e importanti.
In definitiva, gli insegnanti che hanno partecipato alla sperimentazione, consiglierebbero caldamente a un collega con in carico uno studente con disturbi dello spettro autistico, di partecipare a un’esperienza formativa analoga, così come hanno giudicato il TTAP uno strumento valutativo e formativo complessivamente valido.
Buono, infine, è risultato il coinvolgimento dei genitori e degli insegnanti nella condivisione degli obiettivi all’interno del PEI (Piano Educativo Individualizzato).
«Nella nostra Regione – riferisce Stefano Versari, vicedirettore generale dell’Ufficio Scolastico dell’Emilia Romagna – in dodici anni gli alunni disabili nelle scuole statali sono aumentati del 60%, 9 punti di percentuale in più dell’incremento nazionale. I nostri docenti devono quindi essere messi nelle condizioni di conoscere i metodi didattici e le strategie e di saper predisporre e organizzare i materiali in modo da poter insegnare a ciascun ragazzo come lui è in grado di imparare. Per questo bisogna riempire di strumenti adeguati la “cassetta degli attrezzi” di ciascun insegnante fornendo i giusti mezzi di lavoro. Nel processo d’integrazione dei ragazzi con disabilità, la scuola, anche attraverso l’attività di ricerca svolta dalla Fondazione Agnelli, pone le basi per acquisire metodi validati che consentano di verificare le capacità di questi ragazzi, di misurare l’efficacia dell’insegnamento e di individuare e correggere le disfunzionalità e gli errori».
«La Fondazione Agnelli – dichiara il direttore della stessa Andrea Gavosto – ha partecipato alla sperimentazione nell’àmbito del suo impegno ormai pluriennale sugli allievi con disabilità e Bisogni Educativi Speciali, rivolto a dare contributi di ricerca e a diffondere buone pratiche che aumentino l’efficacia dell’azione inclusiva nella scuola italiana, promuovendo sinergie e collaborazioni con gli altri attori (famiglie, servizi, comunità scolastica e locale».
«Analogamente a una sperimentazione che stiamo seguendo in Trentino, volta a verificare l’efficacia di nuove forme di gestione dei BES nelle scuole del primo ciclo, anche in Emilia Romagna – aggiunge Alessandro Monteverdi, che per la Fondazione Agnelli ha seguito e coordinato la progettazione e l’organizzazione dei 300 giorni – abbiamo adottato una prospettiva fondata su strumenti e protocolli scientifici internazionalmente accreditati, unita a un equilibrato utilizzo dell’approccio sperimentale, senza prescindere dalla sostenibilità economica e organizzativa delle nuove pratiche nel contesto italiano».
«Il Progetto dei 300 giorni – conclude Liana Baroni, presidente dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici), organizzazione aderente alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che ha guardato sin dall’inizio con attenzione al progetto – è riuscito a entrare in profondità nelle esigenze degli studenti con autismo, che sono i più problematici. Per loro il bene più prezioso e più difficile da conquistare è l’autonomia nelle attività della vita quotidiana e mentre dai “normodotati” queste abilità vengono apprese facilmente senza insegnamento, per loro sono il frutto di un training paziente, costante e competente, da parte delle persone che vogliono davvero il loro bene: genitori e insegnanti, uniti da un solo intento, che è quello di migliorarne la qualità della vita nel presente e nel futuro». «L’inclusione nella vita adulta dopo la scuola – conclude Baroni – è stato l’obiettivo finale di questa lodevole sperimentazione, che consente un passaggio graduale, fornendo le abilità per convivere con le altre persone negli ambienti normali della vita quotidiana».
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: mgioannini@fga.it.