Crea sempre un certo disagio apprendere notizie come quella del febbraio scorso, riguardante il neonato con sindrome di Down abbandonato da una mamma in Armenia. Si tratta infatti di situazioni che fanno riflettere una volta di più sulle difficoltà dei genitori nell’accogliere un bambino diverso da quello atteso e nella solitudine di servizi, familiari e amici che accompagna spesso una decisione così terribile come quella di un abbandono.
E tuttavia, non crediamo che si possa in alcun modo aiutare un difficile processo di accettazione di un bambino diverso da quello che si era atteso, colpevolizzando la mamma, ma piuttosto creando intorno a noi tutti una società più accogliente per tutti.
Infatti, la scoperta dell’arrivo in famiglia di un bambino con sindrome di Down è un momento difficile, che va accompagnato con solidarietà e comprensione, aiutando i genitori a scoprire chi sia questo “inatteso”, accogliendo il dolore e sostenendo la difficoltà.
Non tutti, del resto, hanno le stesse storie alle spalle, non tutti hanno gli stessi tempi e il percorso di accettazione è lungo e difficile, dal momento che non è certo facile accettare qualcuno di cui a volte si sa solo che “non è un bambino normale” e non chi è. Il bambino atteso e desiderato ha avuto nove mesi per essere sognato e immaginato e adesso non c’è più e il nuovo bambino è lì e ha bisogno di diventare rapidamente il “loro bambino”.
In questo senso diventa fondamentale che anche gli organi d’informazione aiutino questo processo di accettazione, facendo conoscere bambini con sindrome di Down che vanno a scuola e giocano ai giardinetti, giovani e adulti che conquistano la loro autonomia possibile, e anche i pochi – purtroppo – che lavorano e che potrebbero essere molti di più, se si vincessero stereotipi e pregiudizi.
È compito di tutti accogliere un bimbo con sindrome di Down
«L’arrivo in famiglia di un bambino con sindrome di Down – scrive Anna Contardi – è un momento difficile, che va accompagnato con solidarietà e comprensione, aiutando i genitori a scoprire chi sia questo “inatteso”, accogliendo il dolore e sostenendo la difficoltà. Creando, insomma, una società più accogliente per tutti, con precise responsabilità anche da parte degli organi d’informazione»