Non è che mi spaventi ancora quando in qualche modo mi fanno notare di essere “diverso” e nemmeno mi illudo più di tanto quando questa mia condizione di disabilità viene sottolineata come “valore aggiunto” o “diversa abilita” e quant’altro questa società si inventa quando le circostanze lo impongono. Qualche volta, però, credo – sbagliando – di essere almeno considerato da tutti gli altri un cittadino come quello che paga le tasse per avere un servizio. Il mio dovere di cittadino, infatti, come tutti gli altri credo di farlo, nonostante tutto. E invece…
Ieri sera, puntuale come uno “spillone nel taschino della camicia”, mentre sto per rientrare a casa, mi arriva la solita “fitta”, una sfida beffarda che provoca con arroganza e dice: «Vediamo se riesci a tornare a casa, e la prossima volta pensaci due volte prima di uscire!». Beffa lanciata direttamente dal mio posto di sosta riservato per disabili, destinatomi da una regolare ordinanza ormai da vent’anni, e da allora regolarmente abusato da qualche “diverso da me”, che pure pretende di essere considerato persona normale.
Stanco di vent’anni di consapevolezze, tiro fuori le solite strategie – stanche anch’esse – per raggiungere casa, a dispetto di tutte le barriere e le soste selvagge ex novo intervenute in quel momento a dar forza allo “spillone” che già aveva fatto egregiamente il suo lavoro poc’anzi.
Arrivo dunque a casa, chiamo il Comando dei Vigili e, come al solito, dentro di me si spinge con forza una punta di lieve mortificazione per essere costretto a chiamare in mio aiuto, quotidianamente, un servizio di tutela che nonostante i suoi sforzi, non riesce a risolvermi il problema.
Mi risponde un piantone che accoglie la mia richiesta con palese disappunto, interpretandola come il frutto di un’“indifferenza egoistica” a danno di quanto di importante realizza il Corpo della Polizia Urbana di Sant’Anastasia [Comune dell’hinterland di Napoli, N.d.R.]: «I vigili sono impegnati in cose molto importanti, ma lei, giustamente, egoisticamente, non lo vorrà nemmeno sapere». Gli chiedo se per caso mi abbia mai conosciuto per potermi giudicare come persona egoista, oppure se sa soltanto che sono disabile e che questo gli basti per darmi la doppia etichetta di “disabile ed egoista”. Risponde che non mi conosce, e quindi forse non sarà vero che io sia egoista, la qual cosa mi solleva; non c’è niente di peggio, infatti, che rischiare di diventare egoista solo perché se ne tocca una bella quantità tutti i giorni!
Così resto in silenzio per interminabili minuti, abbracciato dallo sguardo sconfortato della mia famiglia e con la quale non voglio, egoisticamente, condividere questa amarezza, seppure essa arrivi inevitabilmente di riflesso… purtroppo.
Ordino una pizza al domicilio – evitando di andarci di persona, in pizzeria, perché al ritorno potrei ritrovarci parcheggiato un TIR, nell’indifferenza di tutti gli altri, o anche una costruzione abusiva, chissà… – e fingiamo tutti che non sia successo niente di grave.
Ma nonostante tutto, questa storia, oggi, la voglio raccontare, perché si aiuti a riflettere sull’importanza delle Istituzioni al servizio del cittadino, persino di quello disabile (pensa un po’!), perché le Pubbliche Amministrazioni dedichino maggiori energie alla formazione dei dipendenti investiti di importanti responsabilità e anche perché si pongano le basi per capire che quando un servizio è di “tutti”, non è di “tutti gli altri”, e soprattutto non è gestibile secondo le proprie arbitrarie convinzioni verso i singoli, ma va gestito con atteggiamenti seri e competenti, sulla scorta di quanto dettano normative che vanno rispettate prima ancora di chiederne il rispetto.