Due donne, due diversità, un incontro magico, le loro esigenze complementari e la voglia di stare in relazione. Sono questi gli elementi da cui è scaturito il progetto di “vicinanza attiva” ideato e realizzato a Modena da Rossana Roli, una donna con disabilità con una vita intensa e piena di impegni. Attraverso tale iniziativa, Rossana e la sua assistente filippina Mari vivono adesso nello stesso condominio, e quest’ultima è riuscita a ricongiungersi con la propria famiglia. Una storia emblematica, che mostra quanta “bellezza” possa generare la pratica dell’accoglienza.
Rossana Roli, 52 anni, vive a Modena, ha una disabilità motoria importante. Questo per gli addetti all’anagrafe. Ma per sé stessa, e per le altre persone, chi è Rossana Roli?
«Sono una signora con una vita intensa, piena di relazioni e con delle responsabilità. Ho una disabilità gravissima, per la quale non riesco a muovere nemmeno le braccia. Muovo appena appena le dita, e ciò mi consente di guidare la carrozzina elettrica e di utilizzare un computer. Eppure la mia vita è piena di impegni. Nel crescere, ho scoperto che ad ogni ostacolo c’è una soluzione. Man mano che la patologia progrediva, e perdevo autonomia, ho imparato a utilizzare gli ausili e a chiedere aiuto sia agli amici, sia alle persone “non propriamente amici” che mi stavano intorno, ma che potevano essermi di supporto per raggiungere tutti gli obiettivi che mi prefiggevo, nella scuola e nel lavoro. Inoltre ho fatto volontariato in tanti settori».
Recentemente lei ha ideato un progetto di “vicinanza attiva” che prevede il coinvolgimento di una signora filippina e della sua famiglia. Ci racconta com’è nata questa idea, in cosa consiste, e com’è riuscita a realizzarla?
«Si può dire che sia stata una risposta a una mia situazione familiare e ai miei bisogni di assistenza, dal momento che io, da un punto di vista pratico, ho bisogno di un supporto continuo. Ci tengo tuttavia a precisare che ho bisogno sì di qualcuno che mi aiuti, ma che il tipo di assistenza di cui necessito lo scelgo personalmente.
Nella mia adolescenza e nella prima fase dell’età adulta ero supportata dalla mia famiglia. Poi i miei genitori hanno iniziato a invecchiare, è venuto a mancare mio padre, che era una colonna portante della famiglia, e mia madre è diventata molto fragile, molto depressa, tanto che in questo momento sono io a dovermi occupare di lei servendomi delle mie assistenti.
Quando, dopo diverse esperienze di assistenza, mi sono resa conto che queste non funzionavano come volevo, ho cercato di pensare a qualcosa di più “familiare”. Però, finché non incontri la persona giusta, con la quale senti empatia, e riesci a instaurare una relazione che vada al di là del rapporto di lavoro, è difficile sentirsi a proprio agio. Io per fortuna ho incontrato Mari, una ragazza splendida, di 35 anni, che viene dalle Filippine. Ci conosciamo da quattro anni e quando l’ho incontrata era qui in Italia da sola. Nel nostro crescere insieme, io ho cercato di sostenerla per il ricongiungimento familiare, aiutandola a portare in Italia la sua famiglia (un marito e due figli), e lei si è resa disponibile a prestarmi assistenza notturna, mentre per il giorno mi servo di due altre assistenti. Non mi piaceva la formula del cosiddetto “badantato”, preferisco far riferimento a diverse persone che lavorano per me e provvedono all’assistenza.
Io sono una persona complessa, con una vita piena, intensa, per far fronte alla quale non può essere sufficiente avere un’unica assistente di riferimento. Per realizzare questo progetto, ho coinvolto l’Unicapi, una cooperativa che provvede con spirito mutualistico e senza fini di lucro alla costruzione e alla gestione di alloggi da assegnare in godimento ai propri soci, la UILDM di Modena (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), di cui faccio parte, e il Comune della mia città. Tutti questi soggetti hanno collaborato e si sono resi disponibili, tanto che, in appena sei mesi, Mari e la sua famiglia sono venuti a vivere nel mio stesso condominio, e possiamo aiutarci a vicenda. Dal canto suo, il Comune mi eroga un contributo che copre due terzi del mio fabbisogno di assistenza.
Ho condiviso la mia idea anche con Miria e Maddia, due mie amiche con una disabilità simile alla mia, che non hanno bisogno di assistenza perché sono entrambe sposate e fanno riferimento ai propri mariti, ma ora sanno che, in caso di emergenza, possono contare su un’ulteriore figura di supporto.
La cosa bella di questa storia è che adesso tutta la famiglia di Mari collabora con la mia e ci aiutiamo vicendevolmente; ad esempio, suo marito, se serve, si occupa del giardino, mentre io ricambio ospitando spesso i loro figli, che adoro, e aiutandoli a fare i compiti. Io definisco questa mia esperienza di cittadinanza attiva come un’“adozione reciproca”.
Voglio anche dire che nel realizzare questo progetto, non ho trovato nessuna “porta chiusa”; tutti hanno capito infatti che c’era una complementarietà di interessi, e che questo tipo di soluzione si presta ad essere utilizzato anche in altri casi».
Le notizie delle persone disperate che salpando da Paesi dilaniati dalle guerre e dalla povertà cercano di raggiungere l’Europa, e spesso, invece, “approdano” in fondo al mare, vengono accolte nel nostro Paese con atteggiamenti di segno opposto. C’è chi sottolinea i valori dell’accoglienza, della solidarietà e dell’ospitalità, ma anche chi, senza pudore, esprime ostilità, razzismo e xenofobia. Lei, che vive quotidianamente un’esperienza di convivenza felice con persone immigrate, cosa direbbe a questi ultimi?
«Ci sarebbe da dire un mondo di cose, perché stiamo parlando della vita umana. A un livello personale, ringrazio la vita e la fortuna che Mari sia venuta in Italia. Il nostro è stato un incontro magico. Noi avevamo due debolezze che insieme sono diventate una forza, un po’ come in matematica dove la somma di due segni negativi ne genera uno positivo.
Credo sia indiscutibile che l’umanità debba vivere, il diritto alla vita è un diritto inalienabile di ogni uomo, e se nel proprio Paese un uomo rischia la morte, deve andarsene via, e gli altri Paesi hanno l’obbligo morale di accoglierlo. Non so come, né in che modo, ma so che c’è un obbligo morale di accoglierlo in quanto uomo. Credo che la politica debba risolvere questo problema attraverso la cooperazione, e magari vendendo meno armi ai popoli in conflitto».
Lei gestisce La Bottega delle Idee, un negozio che vende oggettistica artigianale realizzata dai giovani e dagli adulti con disabilità dei centri socio-riabilitativi e socio-occupazionali del Comune di Modena, assieme ai ragazzi della Scuola Bottega. Come si è organizzata per riuscire a svolgere quest’attività?
«Anche quando ho deciso di prendermi l’impegno di gestire questo negozio – come sempre è successo nella mia vita per ogni impegno – ho cercato di procurami delle “braccia in prestito”. Io presto altre cose, le mie capacità, e gli altri mi prestano le braccia. Prima di iniziare quest’attività, ho collaborato per una decina d’anni con un centro di volontariato, e andavo nelle scuole a parlare con i ragazzi adolescenti di disabilità e di diversità. Questa attività mi ha permesso di incontrare molti insegnanti e molti studenti. Quindi ho fatto amicizia con due o tre insegnanti ai quali ho fatto una proposta: considerando i miei numerosi interventi nelle scuole, ho chiesto loro di contraccambiare invogliando gli studenti a fare volontariato. È nata così una collaborazione che coinvolge circa una ventina di ragazzi i quali, su base volontaria, vengono da me e mi supportano nelle diverse attività.
Per me è un impegno straordinario, i ragazzi hanno un approccio molto diverso da quello degli adulti. Questi ultimi, infatti, tendono a voler decidere loro come aiutarmi, mentre i ragazzi hanno bisogno di capire il mio punto di vista. In base alla mia esperienza, gli adulti cercano di “mettersi al mio posto”, di sostituirmi, e questa cosa è molto faticosa, i ragazzi, invece, sono più disponibili a rispettare le mie indicazioni e mi danno un sacco di energia e di positività, cose indispensabili, per me che vivo di relazioni».
Tante idee, tante attività. Esiste anche un “filo rosso” che le tiene insieme?
«Le cose che faccio hanno in comune la voglia di vivere, di stare in relazione, di incontrare gli altri. Stare con gli altri, ascoltarli, “prendere vita”».
Suggeriamo, per approfondire, anche la consultazione della Pagina Facebook della Bottega delle Idee di Modena, il negozio di oggettistica artigianale gestito da Rossana Roli e la visione del filmato intitolato Rossana Roli, una bottega piena di belle idee (3 minuti e 39 secondi; 31 ottobre 2014), nel sito della «Gazzetta di Modena».