Il recente convegno nazionale di Bologna intitolato Disabilità e formazione degli insegnanti specializzati. Stato dell’arte e scenari possibili, cui chi scrive ha partecipato in veste di direttore centrale dell’IRIFOR (l’Istituto di Ricerca, Formazione e Riabilitazione dell’UICI-Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), è stato ricco di riflessioni interessanti, anche se le tensioni attualmente presenti tra i docenti hanno più volte spostato il focus degli interventi in sala sulla contestazione al Disegno di Legge governativo sulla Buona Scuola.
Personalmente avrei voluto sapere dai docenti se oltre a dire di no a qualsiasi riforma e a chiedere, come sempre, l’aumento delle ore di sostegno, avessero delle proposte utili (e quali fossero), per migliorare il loro servizio a sostegno degli alunni con disabilità.
Nell’insieme ho tratto una sensazione: tutti siamo d’accordo che il modello di inclusione, valido come principio, per come si è venuto realizzando e al di là di “isole felici”, abbia dato mediamente modesti risultati sul piano della reale inclusione scolastica e sociale dei disabili.
Gli interventi di Bologna hanno inoltre confermato: che l’impegno economico richiesto è difficilmente sostenibile nel tempo; che l’aumento delle ore di sostegno non è direttamente proporzionale al miglioramento del processo di inclusione; che l’efficacia del modello aumenta con l’aumentare delle competenze generali e specifiche dei docenti curricolari e di sostegno; che il contesto spesso non è inclusivo (anzi , se posso permettermi, lo è meno di quarant’anni fa, quando avviammo i primi inserimenti).
Nessuno ha la verità in tasca, ma credo che per esaminare la “verità effettuale” dei risultati di quarant’anni del processo di inclusione, non si debba partire dalle eccezioni. In tal senso, ho apprezzato moltissimo l’intervento del professor Giuseppe Bagni del CIDI (Centro Iniziativa Democratica Insegnanti), ma quanti sono i docenti di scuola superiore che agiscono come lui? Fossimo all’avvio della sperimentazione dell’inclusione scolastica, il suo potrebbe essere un esempio importante, oggi però, dopo oltre quarant’anni dai primi inserimenti, rischia solo di essere la conferma della bontà di questo principio e la dimostrazione della possibilità di una sua concreta realizzazione, rappresentando tuttavia anche la conferma del fallimento di un sistema che ha inserito i ragazzi con disabilità nella scuola di tutti, ma non è stato capace di elaborare un modello (pur possibile) perché essi potessero essere “inclusi”.
Tutto ciò constatato, viene spontanea una considerazione: la Proposta di Legge 2444 per il miglioramento dell’inclusione scolastica, sostenuta dalle Federazioni FAND e FISH [rispettivamente Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità e Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.], prefigurando la costituzione del ruolo di sostegno, vuole fare uscire questa figura dall’“ambiguità” e dalla “precarietà” del ruolo (i docenti di sostegno, infatti, non fanno parte dell’organico della scuola in cui operano, ma di un organico provinciale) e della funzione (docenti esperti della didattica disciplinare o docenti di supporto al docente della disciplina per l’attuazione di una didattica inclusiva?).
È infatti proprio da questa precarietà e ambiguità che nascono, a mio parere, le considerazioni sui decenti di sostegno come “insegnanti di serie B” e sulla scelta del sostegno quasi mai come scelta definitiva, ma solo come “scelta di ripiego”, in attesa di un ruolo e di una funzione meglio definiti.
Forse quella Proposta non risolverà tutti i problemi, il futuro ce lo dirà, ma una cosa è certa, ovvero che l’attuale situazione non li ha risolti in quarant’anni e allora errare humanum est, perseverare…
Per questo riterrei utile l’avvio di un tavolo tecnico paritetico per un sereno confronto tra i pedagogisti che agiscono “a monte” del processo di inclusione, i dirigenti scolastici che hanno la responsabillità della sua attuazione e ne sono i garanti dei risultati, i docenti che agiscono nel processo e le nostre Federazioni FISH e FAND, che del processo sono “a valle” e ne “verificano” i risultati sulle persone con disabilità.
In ogni caso, voglio ringraziare gli organizzatori del convegno di Bologna per l’occasione di confronto fornita. Solo con il confronto diretto, infatti, si possono comprendere le ragioni dell’altro.