Oliviero era di quella pasta lì. Montagna. Il resto è noia. «È un fuoco dentro che non smette mai di ardere». Parole di qualche giorno prima che, il 21 agosto scorso, pietre e massi lo portassero giù di 300 metri.
Ma Oliviero era già leggenda. Rischio, sempre. Per un alpinista è così. E Oliviero era un grande, straordinario alpinista.
“L’uomo con le ali”: era vero, quel soprannome. C’era quel particolare: una gamba in meno. Ma, appunto, un particolare. «Andare in montagna non è una sfida all’handicap, ma piuttosto una sperimentazione delle mie possibilità tecniche; se io dicessi che questo è un miracolo ragionerei da disabile, invece la gente deve capire che certe cose le puoi fare indipendentemente dalla tecnologia e dal fatto che ti manchi una gamba o no. Le cose le fai perché le vuoi».
Questo non è un ragionamento legato alla disabilità. Sono parole di uno che la montagna la viveva.
Vivere. Ogni alpinista sa: si può morire. Perché la differenza è in un nulla. Ma va avanti. Non per pazzia. Nessun alpinista è un incosciente. Tutt’altro. «C’è il vuoto, e questo ti attrae. Ma quando tu vedi la possibilità di andare, vai. In quel momento il tempo e il mondo smettono di scorrere, tutto è concentrato sulla montagna, sul movimento che stai facendo. Io non sono un suicida, valuto sempre le mie possibilità. Mente e corpo diventano una cosa sola, il cervello comanda e il corpo esegue».
Era il 5 febbraio 1977. Incidente brutto. «In un istante la mia esistenza viene stravolta, e tutto ciò che ero non lo sarei mai più stato. Dall’ istante in cui ebbi l’incidente stradale che mi causò l’amputazione della gamba sinistra, nulla è stato uguale, ma ciò nonostante, superati i primi comprensibili drammatici momenti, già nell’agosto di quello stesso anno inseguendo i sogni che cullavo sin da ragazzo, ho provato ad inventarmi un modo “diverso” di affrontare la montagna, salendo con le stampelle il Monte Nudo (1.235 metri). Da allora ho scalato quasi mille cime, molte delle quali in Canton Ticino, con difficoltà dal semplice escursionismo all’alpinismo estremo, dimostrando a dispetto di tutto, del mio handicap, dei pregiudizi che mi avrebbero voluto inchiodato al palo, che era possibile perché, l’ho imparato sulla mia pelle, i limiti sono prima nella mente, poi nel corpo».
Stampelle. Spesso lo vedevi salire così. E protesi. Anche quella c’era. Oppure nulla. Mani nude e una gamba. Fantastico. «All’inizio, quando cominciai ad andare in montagna nessuno avrebbe scommesso un soldo su di me. In fin dei conti cos’ero? Un cavallo al palo, un relitto alla fonda. O almeno questo è ciò che generalmente si ritiene dopo una menomazione tipo la mia e anch’io, del resto, “prima” la pensavo un po’ così. È una concezione atavica, profondamente radicata dentro di noi, che è estremamente difficile da rimuovere e presto o tardi torna fuori con prepotenza, soprattutto negli altri che ti guardano, ti compatiscono, ti evitano, perché nell’intimo temono che possa capitare anche a loro e tu sei lì a ricordargli questa grande paura. Momenti duri questi, e troppi non riescono a superare il trauma di ritrovarsi improvvisamente diversi, inferiori. Ma inferiori a chi? Ecco la domanda da porsi. Così, superato il primo impatto, vai alla ricerca di una normalità mai ritrovata e provi con lo sport».
Oliviero era avanti. Altra categoria in tutto. Video, foto, libri, conferenze. Maestro nel comunicare. Ti chiamava e ti diceva: «Ma lo sai cosa ho fatto?» e raccontava. Basta scrivere il suo nome o Uomo con le ali su YouTube e si capisce tutto (i richiami ai suoi film si trovano in un bellissimo ritratto su «VieNormali.it», dal quale sono anche tratte le sue belle parole riprese in questa nota). «Se si vuole ottenere molto bisogna essere disposti a pagare molto, soltanto così è possibile entrare dentro le cose, oltre l’apparenza, fino a viverle, a sentirle come proprie, persi in una dimensione atemporale. È l’infinito che irrompe, pretende il suo spazio e da piccola parte di un mondo a noi esterno, d’un canto ci si ritrova partecipi di un tutto, tanto da poter avvolgere in un unico abbraccio l’universo intero».
Oliviero Bellinzani è stato uno dei più grandi atleti paralimpici che l’Italia abbia mai avuto. Ma questo lo diciamo noi. Poco importa. Oliviero era uno straordinario, immenso alpinista. «E cosa conta alla fin fine, che tutto ciò lo abbia fatto con una sola gamba?».