È da un po’ di tempo che si parla in Sardegna del Progetto Casa Fuentes – Rete Territoriale per l’Autismo, al centro nei giorni scorsi – come riferito in un servizio di «Superando.it» – di un incontro promosso dall’Amministrazione Comunale di Santu Lussurgiu, in collaborazione con l’Associazione Autismo Sardegna. E non è da oggi che esprimiamo perplessità su queste proposte e altre simili.
Le parole pronunciate dal presidente di Autismo Sardegna Graziano Masia, intervistato da «Superando.it», dipingono un quadro straordinario del progetto, rivolto all’acquisizione di competenze e autonomie fino alla piena inclusione sociale, richiamando diritti e convenzioni internazionali.
Tutto molto bello, ma viene difficile capire come una struttura da venti posti, pensata per concentrare l’autismo e le sue difficoltà, possa essere inclusiva e migliorativa della qualità della vita delle persone che intende ospitare. Il nostro scetticismo per questi luoghi che racchiudono un numero elevato di persone con difficoltà simili permane, per il rischio, anche solo potenziale, che si trasformino nel tempo in nuovi “piccoli manicomi”. Il rischio esiste e non possiamo fare finta che non sia cosi.
Nell’intervista citata si accenna a permanenze brevi, all’inserimento successivo in case famiglia e in nuclei ristretti. Di questa parte, però, in quel progetto non vi è traccia; tutta l’attenzione, infatti, si concentra su Casa Fuentes e sui denari (pubblici?) che mancano per portare a compimento l’opera.
Le parole di Masia precipitano poi nella parte in cui sostiene essere deleterio che la famiglia si occupi della riabilitazione del congiunto autistico, rischiando emarginazione e gravi ripercussioni sulla qualità della vita del figlio e di tutta la famiglia.
Questa è un’affermazione divergente dalle indicazioni delle linee guida nazionali e internazionali sui trattamenti per l’autismo, in cui è chiaro ed esplicito il riferimento alla centralità del nucleo familiare e dell’ambiente di vita della persona autistica nel suo percorso riabilitativo.
A vagheggiare un pensiero di tale sostanza, ci pare che si nasconda la tendenza, vetusta ed esausta, di colpevolizzare la famiglia che sceglie di essere attore principale nella vita del proprio figlio con autismo.
È inaccettabile che progetti di questo tipo, con questi presupposti e preconcetti, si affermino come assolutamente necessari a causa della carenza dei servizi di presa in carico.
Servono le alternative, serve la sperimentazione di nuovi progetti per l’abitare, strutturati in piccoli nuclei, senza passare per soluzioni segreganti temporanee che con facilità divengono definitive; servono i servizi per la famiglia tutta e non solo per la persona autistica.
Nessun genitore è più disposto a delegare, nessuno decide per noi, fosse anche un altro genitore.
Con profonda amarezza prendiamo atto che un’associazione come la FISH Sardegna (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) si faccia promotrice di simili prospettive e ci duole constatare il sostegno a una politica lontana da quella della FISH nazionale, almeno per come noi la conosciamo e percepiamo, che si fa portatrice di messaggi importanti contro la segregazione.
Noi siamo famiglie e vogliamo le persone con autismo fuori dai muri che dovrebbero contenerle, le vogliamo protagoniste delle loro scelte e laddove l’autismo si presenta in forma più severa, vogliamo l’assistenza da parte di personale specializzato per la permanenza nel proprio ambiente di vita.
Non siamo “fanatici dell’inclusione”, siamo genitori che non si arrendono al preconcetto che esista una condizione (quella autistica) che non è possibile includere e che ci rende esclusi e perdenti dal principio.
Vogliamo novità, vogliamo idee e proposte, ma che siano davvero inclusive e non rigurgiti di vecchie e nefaste impostazioni che hanno fatto il loro tempo senza dare risposte.
Chiediamo che queste strutture non siano finanziate con soldi pubblici, ma che si apra un lavoro congiunto per individuare nuove strade che ci conducano, finalmente, alla svolta culturale necessaria.
Non ci bastano i fascinosi “acronimi british”, le parole se le porta il vento [il riferimento è agli acronimi RBS-Rights Based Services e LRE-Less Restrictive Environment, usati da Graziano Masia nelle sue risposte all’intervista di «Superando.it», N.d.R.].