La vicenda, ormai, è nota. Una classe di terza media di una scuola di Legnano (Milano) si sta preparando alla gita scolastica. Ma i ragazzi non vogliono che una loro compagna di classe, affetta da autismo, partecipi alla gita con loro. Nessuna delle compagne, infatti, la vuole come compagna di stanza. E così gli insegnanti chiedono ai genitori di tenere a casa la figlia durante i giorni della gita. Scoppia la polemica, prima sui giornali locali, poi su media nazionali. Infine interviene il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, che sospende la visita d’istruzione per tutti.
In questi giorni quotidiani, radio e TV hanno dato spazio a tutte le voci: è stata data la parola agli insegnanti, ai genitori della studentessa esclusa, all’esperto che difende le ragioni della ragazza con disabilità e – infine – a un avvocato che ha difeso le ragioni dei ragazzi. Ineccepibile, da un punto di vista giornalistico. Ma…
Ma se al posto di un gruppo di ragazzi preoccupati di passare una notte nella stessa camera con una compagna con autismo ci fossimo trovati davanti a un gruppo di ragazzi preoccupati di passare una notte nella stessa camera con un compagno straniero («perché siamo a disagio, è diverso da noi, non siamo preparati»), omosessuale («perché potrebbe cercare di baciarci, non siamo preparati»), femmina («perché potrebbe turbare i maschi, non siamo preparati»)?
Ecco, se al posto di una bambina discriminata a causa della sua disabilità si fosse trattato di una bambina discriminata a causa della sua nazionalità, genere o orientamento sessuale le reazioni e la gestione da parte degli organi d’informazione sarebbero state le stesse?
L’avvocato che ha diffuso la lettera dei genitori parla di semplici “problemi di comunicazione” tra la scuola e la famiglia della ragazza. Avrebbe usato gli stessi argomenti se la vittima fosse stata una ragazza omosessuale o di origine straniera? Avremmo avuto la stessa “comprensione”, non tanto per i ragazzi, ma per i loro pensieri e timori sulla disabilità che riflettono inevitabilmente quello degli adulti che li circondano?
Perché possiamo comprendere l’errore dei ragazzi. Quello che non possiamo accettare è che gli adulti non abbiano svolto il proprio ruolo di educatori: avrebbero dovuto rassicurare i ragazzi, aiutarli a superare i loro pre-giudizi. La scelta (a priori) di escludere la ragazza con autismo dalla gita di classe è stata la soluzione più rapida. Una soluzione che rende ancora più evidente la discriminazione.
È una vicenda, questa, che provoca un danno gravissimo: rafforzare i pre-giudizi degli adolescenti nei confronti della loro compagna di classe.
Saremo idealisti e dei pericolosi visionari, ma noi continuiamo il nostro impegno per costruire una società dove sia del tutto normale e ovvio che tutti i bambini e ragazzi con disabilità vadano in gita con i loro compagni – come del resto càpita tutti i giorni nelle scuole italiane – e che mettere in dubbio questa possibilità sia considerata semplicemente un’assurdità. Come in effetti è.
Non c’è semplicemente nessuna buona ragione perché un ragazzo con disabilità non vada a scuola e anche in gita con i suoi compagni a causa della sua disabilità. Punto e a capo.