Presentato qualche settimana fa in prima assoluta a Roma, L’aquilone di Claudio di Antonio Centomani è un film che racconta la storia di una famiglia come tante, che si trova ad affrontare una malattia sconosciuta [il nostro giornale ne aveva seguito il progetto sin dalla sua fase embrionale. Se ne legga qui, N.d.R.].
Andrea, infermiere, e Marina, titolare di un’agenzia di casting, hanno un figlio, Claudio, con la passione per gli aquiloni. Un semplice capogiro li preoccupa, li fa stare in guardia. Poi i casi si moltiplicano. E inizia un’odissea alla ricerca delle cause. Gli anni passano, tra medici che non capiscono e risposte che non arrivano. Fino alla diagnosi: atassia di Friedreich*.
L’aquilone di Claudio, però, non è solo una storia, non è solo un film. È un potentissimo strumento di comunicazione sociale che l’AISA (Associazione Italiana per la Lotta alle Sindromi Atassiche) ha messo in campo per portare alla luce una di quelle malattie rare che, in quanto tali, sono poco note. È un film molto particolare, che se da un lato affronta la malattia in modo diretto e chiaro – e in questo senso assolve al suo compito in modo perfetto – dall’altro cerca di alleggerire la tensione della storia con tocchi di favola, di poesia, diremmo di “realismo magico”.
La clochard di Milena Vukotic, il circo, gli aquiloni, sono tutti elementi che portano la realtà in una dimensione ovattata che rende, per quanto possibile, più dolce quella che è una storia molto forte. La natura stessa delle sindromi atassiche – che è quella di una malattia degenerativa – porta la costruzione narrativa del film verso una continua discesa, a differenza dei classici film in cui la malattia, o l’incidente, arrivano, e da lì parte una catarsi e una rinascita.
L’incubo del protagonista, e della sua famiglia, oltre al peggiorare delle condizioni, è soprattutto il non sapere, il restare sospesi verso l’ignoto. E infatti i momenti di serenità arrivano non attraverso la guarigione, ma attraverso la conoscenza e l’accettazione della malattia, e di alcune cure che possono, se non fermare la degenerazione, rallentarla.
«Le sindromi atassiche – spiega Carlo Rossetti, presidente onorario dell’AISA, un concentrato di passione, energia e umanità, incontrato alla prima del film – sono una famiglia di malattie di origine genetica, che hanno come sintomo l’atassia. È un sintomo comune anche alla sclerosi multipla, alle distrofie muscolari, al Parkinson: vuol dire disordine. Dove c’è disordine motorio c’è atassia. La nostra Associazione si occupa principalmente di sindromi atassiche, di origine genetica, quelle che nel 2000 erano 20 tipi isolati e oggi sono 114. Arriveremo a circa 200, man mano che la ricerca andrà avanti. Nel film compare l’atassia di Friedrich, quella che si manifesta in età adolescenziale. Noi ci occupiamo di tutti i tipi di atassia, per cui siamo diventati un’associazione cross-disability [impegnata in diversi tipi di disabilità, N.d.R.]. Malattie come queste portano anche diabete mellito, cecità, sordità, problemi di favella. Che fortunatamente nel mio caso non mi ha colpito».
Proprio il fatto che le atassie siano di così tanti tipi rende il lavoro dell’AISA, e degli studiosi, molto complicato. «Sicuramente è più impegnativo, devi avere specialisti di tutti i tipi», conferma Rossetti. «Per quanto riguarda le atassie, gli specialisti sono gli stessi, a livello medico, mentre a livello psicologico ogni caso va trattato in maniera diversa. Per quanto riguarda l’organizzazione, l’AISA è una “cavalleria leggera”, riusciamo ad attrarre molti specialisti. Nel 2000 abbiamo fondato l’Associazione AISA Sport e proprio il 30 aprile faremo una Festa di Primavera a Castel Gandolfo (Roma), dove ci saranno persone amputate, paraplegiche, autistiche, che grazie allo sport riescono a fare un gran lavoro».
Il film, si diceva, è un grande strumento di comunicazione sociale, perché, per chi si occupa di malattie poco note, non è facile farsi spazio tra le mille istanze in campo oggi. «La comunicazione della disabilità sui mezzi di informazione – sottolinea ancora Rossetti – fa acqua da tutte le parti. Come disse un noto giornalista, “la disabilità non paga, non fa vendere copie, non alza l’audience”. Quindi dobbiamo sempre associarla a un evento. Ci inventiamo anche dei progetti, come Le strade di Adam: siamo cioè andati a visitare tutti i siti archeologici, che non sono visitabili dai disabili, acquistando delle speciali carrozzine da trekking, che servono per portare le persone con disabilità in cima alle montagne. In questo modo riusciamo a creare un evento. Un altro sono i mondiali di paracanoa. In questo modo, ogni volta che si parla dell’evento si parla anche di noi».
«Trovare il proprio spazio – conferma il regista Antono Centomani – è molto complicato. Non è impossibile, noi in qualche modo ci siamo riusciti. Ma quando sei piccolo, è molto difficile farti spazio tra tantissime realtà. Ma noi continueremo a impegnarci fino a che l’opinione pubblica, anche quella dei mass media, darà la possibilità a tutti, piccoli, medi e grandi, di esistere e di farsi riconoscere».
L’aquilone di Claudio è un progetto che parte da molto lontano. «Antonio Centomani – racconta Rossetti – è un volontario dell’AISA da dieci anni. Paolo Zengara di Napoli, uno dei coordinatori delle nostre campagne, gli ha proposto di fare un film. Centomani ha sposato l’idea, ha scritto la sceneggiatura a quattro mani con lui, e sette anni fa è stata premiata al Milano Film Festival, da Pupi Avati ed Ezio Greggio. Poi è stata molto dura trovare i finanziamenti, e finalmente due anni fa il progetto è partito».
«Ho incontrato l’AISA in una manifestazione – ricorda dal canto suo Centomani – e, come dico io, “ci siamo fidanzati”. All’epoca non conoscevo niente dell’Associazione e della patologia, e mi sono chiesto perché. Facendo il regista televisivo di solito hai notizie di malattie di vario tipo, ma l’atassia non la conoscevo. Facevo una trasmissione per un network privato a Sanremo. Ho portato lì alcune di queste persone e da lì è iniziata la nostra opera per far conoscere le atassie, ho curato molti spot sociali. Anche se non è stato facile trovare gli spazi per mandarli in onda».
Così come è facilmente immaginabile, non è stato facile trovare i fondi per produrre questo film. «Quando ho iniziato questa avventura – spiega il regista – avevo tante promesse, che poi sono state disattese. Ma siamo caparbi, non ci arrendiamo. Ho trovato una casa farmaceutica, che non ha nulla a che fare con farmaci per l’atassia, che ha creduto in questo progetto e ci ha dato la possibilità di realizzarlo. L’abbiamo fatto con i fondi della mia casa di produzione, e con una serie di sponsor che ci hanno aiutato».
L’aquilone di Claudio è stato acquistato dalla RAI per la messa in onda televisiva. Ma la produzione è in attesa di risposte per l’uscita in sala, e intanto l’Associazione, dopo la prima di Roma, promuoverà una serie di eventi in cui proietterà il film.
«La sceneggiatura – continua Rossetti – è una storia vera, basata su quella del fratello di Paolo Zengara, e su tanti aneddoti che sono capitati ad altre persone, come me. Da ragazzi, molti dei tratti delle diverse malattie sono comuni».
«La sceneggiatura – aggiunge Centomani – è fatta di vari aneddoti, situazioni che ho vissuto in prima persona e che mi hanno toccato. È una storia che ha un filo unico, ma è la storia di tante famiglie. Agli attori ho chiesto di leggerla e di capire esattamente cosa potessero provare una mamma, un papà, in un momento simile. C’è un paziente, ma c’è un disagio che si ripercuote su tutta la famiglia».
In un cast importante (Irene Ferri e Massimo Poggio, i genitori, Fioretta Mari, Luigi Diberti, Milena Vukotic), spicca il giovane Federico Russo, che è Claudio da adolescente. «È arrivato con me sul set – racconta il regista – e ha capito subito che sarebbe stata un’esperienza importante. Ha studiato sui personaggi, ha voluto incontrare dei coetanei con questi problemi, e ha immediatamente recepito le difficoltà di queste persone. Mi hanno addirittura chiesto se fosse davvero un ragazzo disabile».
In un cinema, quello italiano, che produce ormai solo commedie, e pensa che tutti abbiano solo voglia di ridere, abbiamo chiesto a Centomani quale sarebbe la vittoria per un film come questo. «La vittoria sarebbe andare in sala – ci risponde – ma la vera vittoria sarebbe far sapere al vicino di casa che esistono persone con questa disabilità».
*L’atassia di Friedreich è una malattia neurogenetica rara, grave, altamente invalidante e poco conosciuta, attualmente inguaribile, che colpisce il sistema nervoso centrale, alterando il coordinamento dei movimenti e obbligando i pazienti all’uso della carrozzina.