Il 27 giugno scorso la Corte di Cassazione ha prodotto la Sentenza n. 13252, avente ad oggetto la vicenda di una signora di nazionalità peruviana – e quindi extracomunitaria – la quale aveva ricevuto un provvedimento di espulsione da attuarsi entro un periodo coincidente con un decorso postoperatorio di una certa importanza.
In primo grado il Giudice di Pace di Roma aveva ritenuto corretto il provvedimento in questione, in quanto la donna non aveva inviato alcuna richiesta apposita, non avendo, in effetti, mai richiesto il permesso di soggiorno in Italia. La Cassazione, però, ha ribaltato quel pronunciamento, per le ragioni che qui di seguito verranno esposte.
Come premssa, è necessario fare una breve disamina degli strumenti di cui la persona immigrata può usufruire in caso di necessità di cure mediche. La Legge italiana prevede in tal senso la possibilità di richiedere il permesso di soggiorno per cure mediche, quando lo straniero abbia la necessità di essere sottoposto a una determinata operazione o trattamento terapeutico in Italia. Tale richiesta andrebbe fatta seguendo uno specifico iter previsto dalla Legge stessa (da attivare prima dell’arrivo in Italia), che va dall’esibizione di una dichiarazione della struttura italiana di disponibilità a svolgere la prestazione, al versamento a favore della struttura di almeno il 30% del costo presunto della prestazione sanitaria, a una dichiarazione di ospitalità nel nostro Paese.
Sussiste anche la possibilità che l’esigenza di cure mediche si presenti quando la persona è già in Italia. In tal caso, qualora lo straniero non sia in possesso di un permesso di soggiorno o questo sia scaduto, si applica il cosiddetto “codice STP” (ove STP sta per Straniero Temporaneamente Presente), strumento predisposto al fine di garantire l’assistenza sanitaria anche a favore dei cittadini extracomunitari irregolari.
Vi sono tuttavia dei casi in cui sussistono dubbi sull’obbligatorietà o meno di espellere il cittadino irregolarmente soggiornante in Italia e in questa “zona grigia” può ricondursi anche la fattispecie in oggetto. Essendo infatti già stata operata, la signora destinataria della Sentenza di Cassazione n. 13252 doveva seguire unicamente le cure e le istruzioni legate al decorso postoperatorio, sebbene questo – stando alla Cassazione stessa – fosse molto “rigido” e pertanto fosse da considerarsi tra quelle «prestazioni essenziali per la vita».
Considerando quindi la tutela della salute un bene primario di ogni persona, da garantire in quanto diritto fondamentale dell’uomo, la Suprema Corte, seguendo un orientamento già consolidato nel tempo (tra tutte Cassazione n. 1690/05, fino alla Sentenza a Sezioni Unite n. 14500/13), ha riconosciuto «la garanzia del diritto fondamentale alla salute del cittadino straniero che comunque si trovi nel territorio nazionale, impedendo di conseguenza l’espulsione nei confronti di colui che dall’immediata esecuzione del provvedimento potrebbe subire un irreparabile pregiudizio».
In tal modo è stato annullato il provvedimento di espulsione comminato nei confronti della signora.
Rimangono tuttavia aperte alcune domande, fondamentali per capire quali saranno gli effetti di questa Sentenza, ulteriore conferma dell’orientamento giurisprudenziale che mette in primo piano il diritto alla salute.
In primo luogo l’annullamento dell’ordine di lasciare il territorio non ha comunque come conseguenza il rilascio del permesso di soggiorno in favore dello straniero affetto da patologia grave: per la persona immigrata, infatti, viene semplicemente ripristinata la situazione precedente e quindi la stessa dovrà attivarsi al fine di ottenere il permesso di soggiorno in base alle disposizioni previste dalla normativa vigente.
In secondo luogo la Giurisprudenza sopra riportata ha sempre riguardato situazioni in cui la patologia da cui era affetta la persona irregolarmente soggiornante in Italia era di tipo fisico; sinora, pertanto, appare difficile fare analogie con il caso sopra esposto e la fragilità mentale. Ci si chiede a tal proposito quale potrebbe essere il destino di un clandestino con patologie psichiatriche e quali possano essere gli strumenti per tutelare la persona in questi casi.
In realtà è già nota l’emissione di provvedimenti del Giudice Tutelare volti a conferire all’Amministratore di Sostegno il potere di attivarsi al fine di impugnare il provvedimento di espulsione (si veda ad esempio: Tribunale di Modena – Decreto del 20 luglio 2009 – Giudice Tutelare Stanzani), e tuttavia appare ancora lunga la strada che possa portare a un’equiparazione del diritto alle cure anche per le persone che presentino una fragilità di tipo mentale.