Alla fine degli anni ’70 il braccio destro inizia a perdere le forze: Piergiorgio vuole esercitare i muscoli per non perderli. Trova uno spunto nella linoleografia. Studia luci e ombre e trovati gli sgorbietti, lavora su rimasugli di linoleum regalatigli dal pavimentista. Volti e nudi femminili, temi mitologici e stupende, delicate, scene in acquitrini esprimono cose che vanno oltre l’arte. Le gru coronate sono simbolo dell’immortalità, dell’oltre la vita terrena. (Mina Welby)
Molti ricordano Piergiorgio Welby, associandolo alla questione del “termine vita” e alla commovente lettera aperta all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel settembre del 2006, nella quale chiedeva di potere ottenere l’eutanasia per l’aggravamento delle condizioni di salute causato da una grave forma di distrofia muscolare, una patologia che ormai non gli permetteva alcun movimento e che ne aveva compromesso definitivamente il precario equilibrio fisico. Immobile, alimentato dal sondino gastrico, attaccato al ventilatore polmonare in una condizione artificiale che per Welby non poteva essere chiamata Vita, in quella lettera ricordava che «noi tutti probabilmente dobbiamo continuamente imparare che morire è anche un processo di apprendimento e non è solo il cadere in uno stato di incoscienza».
Ma Piergiorgio è stato anche altro, soprattutto un intellettuale e un poeta che ha riflettuto e scritto di vita, di morte, esplorando vari settori della comunicazione, come le arti grafiche, pittoriche e la fotografia, attività artistiche che sono state raccolte per la prima volta, nella mostra denominata IrriducibilMente, allestita presso l’Art Forum Würth di Capena (Roma), visitabile fino al 21 gennaio prossimo.
Un titolo appropriato che trasmette forza e movimento, visto che Welby – a prescindere dalla malattia che non permetteva il rigenerarsi delle cellule muscolari morenti – nei suoi quarant’anni di dinamismo intellettuale, aveva superato i limiti del corpo, liberato il suo pensiero attraverso l’arte, ampliato il suo orizzonte concettuale. L’espressione artistica non è stata solo passione, ma una scelta necessaria per combattere la malattia, una forma di resistenza per non permettere alla morte di distruggere la vita.
In una realtà dove tutto si esaurisce in poco tempo, Piergiorgio Welby, a dieci anni dalla sua scomparsa, rappresenta un patrimonio del nostro tempo, una persona che grazie alla sua vitalità ha trasformato la disabilità in ulteriore slancio, sollecitando la società a interrogarsi su questioni etiche, filosofiche e politiche. La sua determinazione nel rivendicare il diritto al rispetto della propria volontà e a non subire accanimenti terapeutici, è una conquista per tutti, un vero capolavoro.
Ad oggi il Parlamento si appresta ad esaminare alcuni testi di legge sull’eutanasia e la Commissione Giustizia sta lavorando sullo sviluppo di una Proposta di Legge per rendere legale il testamento biologico, mentre la vita di Piergiorgio ha ispirato autori teatrali e cinematografici.
Ad esempio, dal libro Ocean Terminal, scritto da Welby e uscito postumo per sua volontà (Castelvecchi, 2009), è stato tratto l’omonimo spettacolo teatrale interpretato e diretto da Emanuele Vezzoli, mentre il documentario-autoritratto Love is All di Francesco Andreotti e Livia Giunti è stato costruito con materiali biografici, quali gli scritti, i dipinti, le testimonianze. Il titolo, tra l’altro, deriva dal tatuaggio che Welby aveva inciso sull’avambraccio fin dagli Anni Settanta.