Oltre ad avere partecipato in Vaticano alla seconda Conferenza Mondiale su Fede e Sport (Sport at the Service of Humanity), alla presenza di Papa Francesco, tra gli altri impegni che li hanno coinvolti durante la loro recente settimana in Italia, Timoty (Tim) Shriver, presidente di Special Olympics, il movimento internazionale dello sport praticato da persone con disabilità intellettiva, e Loretta Claiborne, atleta americana e vera icona e ambasciatrice del movimento stesso, hanno anche incontrato gli studenti di tre università romane, la Luiss (incontro intitolato The Power of the Sport), la Niccolò Cusano (Sport For Inclusion) e la LUMSA (Sport per l’Umano), accompagnati di volta in volta da Maurizio Romiti , presidente di Special Olympics Italia e durante l’ultimo dei tre appuntamenti anche da Filippo Pieretto e Alessandra Palazzotti, rispettivamente atleta e direttore nazionale di Special Olympics Italia.
In tali occasioni, si è affrontato insieme agli studenti di varie facoltà il tema della disabilità intellettiva che, attraverso lo sport, apre alla conoscenza e all’opportunità di giocare insieme per abbattere barriere e pregiudizi.
In un altro momento, poi, gli ospiti americani hanno preso parte a una partita di calcio a 5 unificato, che ha visto giocare nella stessa squadra persone con e senza disabilità intellettiva, insieme ad Atleti Special Olympics e a volti noti del mondo dello sport, della politica e dello spettacolo.
Infine, Shriver ha promosso l’edizione italiana del suo libro Fully Alive, edito negli Stati Uniti lo scorso anno e ora pubblicato in Italia con il titolo Pienamente vivi, da Itaca.
«Il senso di Pienamente vivi – ha spiegato l’Autore, durante una delle presentazioni del volume – non è quello di dare delle risposte, ma di far porre a voi stessi una domanda: “Cos’è che nella vita vi fa sentire pienamente vivi? Qual è la verità, qual è la storia, qual è l’esperienza perché possiate guardare a voi stessi adesso o nel futuro e dire: Adesso mi sento pienamente vivo”? La mia esperienza nel lavorare, nel vivere a contatto, nel giocare con gli atleti di Special Olympics è stato un modo per iniziare un percorso che mi ha portato ad aprire il mio cuore, la mia anima e a sentirmi più vivo. Una delle prime cose che ho imparato è vedere le cose da una prospettiva diversa. Ad esempio, in occasione di una Cerimonia di Apertura dei Giochi Mondiali Special Olympics, a tutti gli atleti era stata fornita, da uno sponsor, una macchinetta fotografica usa e getta in modo da potere scattare alcune foto come ricordo dell’evento. In cima alle gradinate c’era Bill Clinton, allora Presidente degli Stati Uniti; a un certo punto un fotografo si accorse che un gruppo di atleti stava puntando il Presidente con le macchinette fotografiche, ma queste ultime erano rivolte al contrario. Il fotografo professionista si avvicinò loro, dicendo che se avessero voluto fare una foto al Presidente, avrebbero dovuto girare le macchinette fotografiche. Uno di questi atleti rispose prontamente: “Grazie, ma in realtà se guardi dal mirino al contrario funziona come un cannocchiale e si riesce a vedere bene il Presidente!”. Pertanto, il fotografo, avendo a che fare con persone con una disabilità, aveva dato per scontato che non sapessero usare la macchinetta fotografica…».
«Il messaggio di Special Olympics – ha sottolineato quindi Shriver – è molto semplice ed è quello di guardare oltre, andare oltre la superficie e cercare il cuore, l’anima della persona che c’è di fronte. Quando nacque Special Olympics, nel 1968, gli atleti provenivano quasi interamente da istituti; non avevano mai preso un aereo o un altro mezzo di trasporto, non erano mai stati davanti a un pubblico, non avevano mai fatto una gara e mai vinto nulla. Quando è stato utilizzato per la prima volta il termine “Olimpico”, molte persone pensarono fosse un’assurdità; alle Olimpiadi, infatti, ci si aspetta di vedere i più grandi atleti del mondo, i corpi più forti, le strutture fisiche più potenti. Ai primi Giochi Special Olympics di Chicago, c’erano invece gli esseri umani più dimenticati del pianeta, corpi che venivano giudicati “non idonei”, capacità ritenute “basse”, “deboli”. La definizione di grandezza, in genere, è basata sulla domanda: “Sei il migliore?”. E invece il significato di grandezza sta nel meglio che si può fare. Se ci si impegna e si dà il massimo di quello che si può dare, si è raggiunta la grandezza nei Giochi Special Olympics».
«Uno dei maggiori problemi, delle maggiori sfide che voi giovani vi troverete ad affrontare – ha dichiarato poi il Presidente di Special Olympics, durante l’incontro con gli studenti della LUMSA – sarà quella di superare gli atteggiamenti che escludono le persone, quelli che io definisco “atteggiamenti di distruzione di massa”. I problemi della vostra epoca non saranno quelli relativi allo Stato, alla Nazione, ai confini dell’Europa, alle armi oppure al confronto tra Est ed Ovest, ma un problema di atteggiamento, di paura della differenza. Special Olympics è un movimento di persone con disabilità che non vi chiede di aiutarli, ma chiede di unirvi a loro, per creare una comunità che sia inclusiva, che accetti tutti. Ricordatevi che se vivremo a lungo, tutti noi acquisiremo una disabilità, una situazione che coinvolge quasi un miliardo di persone al mondo».
«Il movimento in Italia – ha concluso – ha bisogno di voi, ha bisogno di persone giovani che credano nell’inclusione, giovani leader che rendano le scuole, i luoghi di lavoro e qualsiasi altro luogo posti inclusivi. Abbiamo bisogno di psicologi che aiutino le persone con disabilità intellettiva e che insegnino loro l’inclusione nella pratica, ma proprio ora abbiamo bisogno di persone disponibili e pronte ad agire e se vi chiedete con chi devo agire, la risposta è con Loretta Claiborne, Filippo Pieretto e tanti altri atleti che sono persone meravigliose e non vedono l’ora di condividere qualcosa con voi».
«Sono nata con una disabilità intellettiva e alcuni problemi alla vista – ha raccontato sempre agli studenti dell’Università LUMSA Loretta Claiborne [se ne legga anche nel box in calce, N.d.R.] -; quando ero in casa con la mia famiglia, eravamo anche a tavola tra di noi, i miei fratelli parlavano e poi quando anch’io volevo parlare mia madre diceva: “Loretta è nel suo mondo”. Nel mio quartiere non ero mai inclusa nelle attività che si svolgevano, tra cui lo sport. Avete sentito dire da Tim Shriver come l’inclusione sia importante attraverso il gioco ed è ancora più importante includere i bambini, non escluderli, perché anche i bambini hanno pregiudizi. Crescendo, le persone mi guardavano come se fossi diversa, anche se io fisicamente ero molto forte; se mi vedeste camminare per strada, non sapreste al primo sguardo che sono una persona con disabilità intellettiva. Ma a questo punto vorrei portarvi indietro al 1968, quando una donna, Eunice Kennedy Shriver [cofondatrice del movimento di Special Olympics, scomparsa l’11 agosto 2009. Se ne legga anche nel box in calce, N.d.R.], diede vita a un programma che oggi è diventato un movimento. Era un momento difficile per gli Stati Uniti. Eunice aveva appena perso il fratello Robert, candidato alle elezioni presidenziali e nello stesso anno venne assassinato anche Martin Luther King. Anche se il nostro Paese stava lottando per i diritti civili, le persone di colore non erano accettate, erano totalmente escluse, ma io sentivo che quello non era il mio problema, che c’era qualcosa di più per me. Ci ho messo molto a capire che il mio problema era la disabilità intellettiva; ho cominciato a vivere con tanta rabbia, sempre con i pugni chiusi. Quattro anni più tardi ho partecipato ai miei primi Giochi Special Olympics, a Los Angeles, ma provavo ancora molta rabbia perché non mi sentivo inclusa; nel momento in cui ho incominciato ad acquisire una maggiore sicurezza in me stessa, ho dato vita anche a un movimento per le donne. In quel tempo venne lanciato un programma nelle scuole superiore per l’atletica e quando mi proposi, mi fu detto che non sarei stata accettata. Quando poi ci sono tornata mi sono resa conto di quanto la situazione fosse cambiata, di quanto l’impegno di una singola persona, come Eunice Kennedy Shriver, potesse fare per creare un cambiamento. Il lavoro di una persona che ha lottato nonostante la società, nonostante il mondo dicesse che una persona come me non potesse stare sui campi da gioco, nelle scuole, nei luoghi pubblici».
«Se mi guardo indietro – ha concluso Claiborne – penso a come è cambiata la mia vita, a quanto può essere importante lo sport come mezzo di inclusione per tutti; quando sono su un campo da gioco a inseguire una palla, non penso a come devo pensare, penso solo ad inseguire la palla, a quanto devo correre. Eunice Kennedy Shriver aveva capito qualcosa che a quel tempo la società ancora stentava a capire: quando si insegna ai bambini lo sport, fin dalle prime fasi della scuola fino ad arrivare all’università, si insegna alle persone ad abbattere le barriere, a includere, a cercare di mostrare al mondo cosa si sa fare superando le proprie difficoltà. Voi, giovani, non potete sapere cosa avrà in serbo il futuro per voi, se avrete vicino persone con disabilità, ma attraverso lo sport potrete imparare delle lezioni utili per la vostra vita. Spero che coglierete questa opportunità nel vostro Paese, comprendendo che tutti noi abbiamo diritto di giocare, di fare sport, di lavorare e di vivere una vita piena; tutti abbiamo qualcosa da offrire a questo mondo attraverso l’inclusione».
«È molto importante parlare agli studenti – ha dichiarato dal canto suo Maurizio Romiti -, persone che si stanno apprestando ad entrare a pieno titolo e con grande entusiasmo nel mondo del lavoro e che rappresentano i leader di domani, quello che il nostro Paese potrà effettivamente mostrare, esporre, essere. Il nostro auspicio è che la sensibilizzazione al tema dell’inclusione possa andare oltre questi incontri, nei momenti di vita, al di fuori dal contesto universitario, affinché ognuno di voi possa essere parte dell’attività sportiva che Special Olympics propone. Un messaggio che vorrei trasmettere è che il condividere esperienze con le persone con disabilità intellettiva rappresenta un momento e un’occasione importante di crescita per ognuno di voi. Loretta Claiborne e Filippo Pieretto sono due esempi straordinari di questa opportunità di crescita; hanno due età diverse, due estrazioni diverse, due diverse personalità, ma in comune hanno raggiunto risultati importanti. Due persone che hanno pari dignità nel dimostrare il proprio valore, le proprie abilità. Per Special Olympics lo sport rappresenta il mezzo di espressione che permette loro di allenarsi, di gareggiare, di battersi per la vittoria con un entusiasmo enorme e tanto più questo entusiasmo è grande, quando possono farlo al fianco di atleti partner, senza disabilità intellettiva, che giocando e vivendo con loro ottengono alla fine anche soddisfazioni maggiori delle stesse persone con disabilità intellettiva, perché si rendono conto che stanno contribuendo a realizzare quella che dovrà essere la realtà di domani».
«Lo sport – ha concluso Filippo Pieretto – mi ha permesso di affrontare nel modo giusto le difficoltà, mi ha dato l’opportunità di crescere. Quando mi sento accolto, valorizzato e sento la fiducia delle persone che mi circondano, riesco a dare il meglio di me nello sport, così come in ogni aspetto della vita di tutti i giorni». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: redazione@specialolympics.it.
Special Olympics ed Eunice Kennedy Shriver
«Si pensava che non potessero seguire le regole, che non potessero comprendere il significato di una gara e che fossero troppo scoordinati per poter gareggiare con successo; ma oggi sappiamo che non è così». Sono parole di Eunice Kennedy Shriver, sorella del presidente degli Stati Uniti John Kennedy e del candidato alla Presidenza Robert, entrambi assassinati negli Anni Sessanta.
L’impegno per le persone con disabilità intellettiva diventò per Eunice una ragione di vita, che traeva una vera fonte di energia da Rosemary, la sorella più piccola, la cui disabilità intellettiva era stata tenuta segreta, fino a quando la stessa Eunice ruppe il silenzio e decise di renderla pubblica.
La rabbia e la grande preoccupazione che nutriva nei confronti dei pregiudizi culturali di cui Rosemary era vittima fecero nascere in lei una sorta di passione rivoluzionaria, che si trasformò in un appello alla mobilitazione. Contattò tutti gli esperti nel campo delle disabilità intellettive, visitò gli istituti dove le persone vivevano, come prigionieri, in condizioni igienico sanitarie precarie; bambini che non interessavano a nessuno, fonte di imbarazzo, dimenticati e tenuti a distanza.
Cominciò così, nel 1962, con l’organizzare attività sportive per persone con disabilità intellettive, nel giardino di casa sua. I partecipanti provenivano proprio da quegli istituti e prima di allora non erano mai stati in una piscina, così come non avevano mai visto un prato, un giardino. Quel “benvenuto” a casa Shriver era un invito ad unirsi al resto del mondo; il modo per farlo era il gioco, attraverso il quale poter apprendere le regole della vita.
Dopo la scomparsa di Eunice, l’11 agosto 2009, a raccogliere la sua eredità è stato il figlio Tim Shriver, oggi presidente di Special Olympics: «La lezione fondamentale – dice- è che lo spirito umano non ha confini. Penso che mia madre si fosse guardata intorno, cercando medici, politici ed esperti, comprendendo che nessuno di questi avrebbe potuto insegnare loro quella lezione, un pallone da calcio invece sì».
Loretta Claiborne
Divenuta simbolo di tutti gli Atleti Special Olympics, è l’incarnazione delle loro lotte e della loro frustrazione, uno dei più importanti ambasciatori del movimento, alla quale, nel 2000, la Walt Disney ha anche dedicato il film The Loretta Claiborne Story.
In occasione di recenti interviste, ha dichiarato: «Non hai idea di come sia stata la mia vita durante l’infanzia. Era doloroso, davvero doloroso. Ricordo che volevo frequentare un corso d’arte a scuola, un bambino mi guardò e disse: “E tu che ci fai qui? Non vogliamo ritardati in classe nostra. Vattene!”. Non ti era permesso di essere forte, di correre, di fare niente del genere. In più in quegli anni essere nera non ti aiutava. Ma quello che veramente mi faceva stare male era il non riuscire ad apprendere allo stesso ritmo degli altri; mi faceva sentire ottusa, stupida; mi faceva davvero arrabbiare. Se Eunice Kennedy Shriver fosse qui oggi, sono sicura che le sentirei dire: “Abbiamo fatto molta strada, ma ne abbiamo ancora tanta da fare”. Madre Teresa aiutava i poveri, Martin Luther King sosteneva le cause delle persone di ogni colore e poi c’era Eunice Kennedy Shriver, che pensava di avere avviato un semplice progetto sportivo, ma in realtà aveva dato nuova vita a noi persone con disabilità intellettive, permettendoci di dimostrare al mondo cosa siamo in grado di fare».