Prima dell’attuale crisi di governo, in occasione di un recente incontro con le forze sindacali, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca aveva annunciato che avrebbe messo mano alla Legge Delega sull’Inclusione entro la fine dell’anno.
Si parla naturalmente della Delega prevista dall’articolo 1, comma 181 della Legge 107/15 (Riforma della Buona Scuola), che alla lettera c) recita: Promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità e riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione.
Ebbene, durante la riunione di cui sopra, l’Amministrazione aveva fornito informazioni puntuali soprattutto sul ruolo del personale docente di sostegno, sulla revisione dei criteri di inserimento nei ruoli del sostegno didattico e sulla revisione delle modalità e dei criteri relativi alla certificazione.
Per quanto riguarda il ruolo dei docenti per il sostegno, esso dovrebbe essere ridefinito – ma dopo le dimissioni del presidente del Consiglio Renzi il condizionale è d’obbligo – nella direzione di una loro formazione iniziale e continua, con specificità profonde e una conoscenza adeguata delle esigenze degli alunni con disabilità. Dunque, essi dovrebbero essere insegnanti “universali”, ma con una specializzazione sui temi dell’inclusione e sulle singole disabilità.
Nel dettaglio, per tutti i gradi di istruzione, per poter insegnare sul posto di sostegno, dovrebbe essere obbligatorio conseguire 120 CFU (Crediti Formativi Universitari) sull’inclusione scolastica (oggi si diventa docenti di sostegno con soli 60 CFU, ovvero un anno di specializzazione). In particolare per la scuola dell’infanzia e quella primaria, 60 CFU dovrebbero essere conseguiti nell’àmbito del percorso universitario e ulteriori 60 attraverso il conseguimento del diploma di specializzazione in Pedagogia e Didattica Speciale; per la scuola secondaria di primo e secondo grado, 60 Crediti dovrebbero essere conseguiti prima del diploma di specializzazione in Pedagogia e Didattica Speciale, con il quale se ne conseguirebbero ulteriori 60. Tutti i futuri docenti di ogni ordine e grado dovrebbero avere inoltre, nel loro percorso di formazione iniziale, crediti riguardanti le metodologie per l’inclusione.
Quanto poi alla revisione dei criteri di inserimento nei ruoli del sostegno didattico, l’obiettivo dichiarato dall’uscente sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone era quello di garantire la continuità del diritto allo studio degli allievi con disabilità, facendo sì che gli stessi avessero il medesimo docente per il sostegno per l’intero ordine o grado di istruzione (quindi il medesimo insegnante di sostegno per i cinque anni di scuola primaria, per i tre anni di scuola secondaria di primo grado e per i cinque anni della scuola secondaria di secondo grado).
Pertanto, la continuità didattica si dovrebbe realizzare attraverso quattro ruoli per il sostegno didattico (infanzia, primaria, secondaria di primo grado e secondaria di secondo grado), in cui permanere prima di transitare sul posto comune.
Relativamente infine alla certificazione della disabilità, essa dovrebbe continuare ad essere effettuata dalle attuali Commissioni Mediche, ma con specialisti adeguati ai minori, ossia pediatri e non geriatri. La stessa commissione, poi, integrata da personale scolastico, dovrebbe procedere a una valutazione “diagnostico-funzionale”, in modo da definire la gravità della disabilità in rapporto alla scuola.
La summenzionata Delega prevede anche altri aspetti, quali:
° l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali, tenuto conto dei diversi livelli di competenza istituzionale;
° la previsione di “indicatori di qualità” per l’autovalutazione e la valutazione dell’inclusione scolastica;
° la revisione e la razionalizzazione degli organismi operanti a livello territoriale per il supporto all’inclusione (CTS, CTI e CTR [Centri Territoriali rispettivamente di Supporto, per l’Inclusione e per la Riabilitazione, N.d.R.]);
° la previsione dell’obbligo di formazione iniziale e in servizio per i dirigenti scolastici e per i docenti sugli aspetti pedagogico-didattici e organizzativi dell’integrazione scolastica;
° la previsione dell’obbligo di formazione in servizio per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, rispetto alle specifiche competenze, sull’assistenza di base e sugli aspetti organizzativi ed educativo-relazionali relativi al processo di inclusione scolastica;
° la previsione della garanzia dell’istruzione domiciliare per gli alunni che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 12, comma 9, della Legge 104/92.
Nell’àmbito del sopraccitato incontro dello scorso mese di novembre – tenuto tra l’altro soltanto con la parte sindacale, ma non con le Federazioni FAND e FISH [rispettivamente Federazione tra le Associazioni Nazionali delle persone con Disabilità e Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.], il Ministero aveva altresì comunicato che:
1) I livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali erano già stati individuati (stare a scuola; assistenza scolastica; insegnanti di sostegno; trasporto; assistenza alla mensa…).
2) In merito al riassetto degli organismi operanti a livello territoriale per il supporto all’inclusione (CTS, CTI e CTR), era sua intenzione istituire appositi Centri per l’Inclusione Scolastica. A livello territoriale e nell’àmbito della programmazione definita dalle Regioni, il Governo uscente stava cioè pensando alla costituzione di Centri per l’Inclusione Scolastica, destinati all’elaborazione del progetto individuale dell’alunno con disabilità e alla quantificazione delle risorse socio-assistenziali di cui egli ha bisogno, interfacciandosi con le scuole e agevolando la famiglia nell’accesso integrato ai servizi.
3) Avrebbe proceduto a una razionalizzazione e semplificazione dell’assegnazione alle scuole delle risorse per il sostegno, in quanto non dovrebbe essere più il Gruppo Lavoro Handicap (GLH) della scuola a fare la proposta di quantificazione di tali risorse, ma il nuovo Gruppo Territoriale Inclusione (GIT), che garantirebbe l’uniformità delle valutazioni a livello di àmbito territoriale. Nello specifico, le scuole dovrebbero inviare al GIT una descrizione della situazione di contesto relativa all’inclusione: a quel punto, dovrebbe essere il Piano di Inclusione, insieme alla valutazione diagnostico-funzionale e al progetto individuale, a costituire la base su cui proporre all’Ufficio Scolastico Regionale le richieste di risorse per il sostegno.
4) Per quanto riguarda la formazione obbligatoria in servizio dei docenti – ma anche del personale ATA (Amministrativo, Tecnico, Ausiliario) relativa all’inclusione, essa è una priorità da indicare nei “Piani Nazionali”. Analogamente, anche per i dirigenti scolastici, la formazione sull’inclusione e sulla Pedagogia Speciale dovrebbe diventare obbligatoria.
5) L’istruzione domiciliare dovrebbe essere prevista dal PEI (Piano Educativo Individualizzato) e restare facoltà del docente aderirvi.
Un ultimo importante aspetto, infine, concernerebbe il Piano per l’Inclusività (PAI) che, alla stregua del Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), diverrebbe triennale.
Fin qui l’operato del Governo Renzi, anche se forse sarebbe più opportuno parlare solo di buone intenzioni, considerato che – nonostante le rassicurazioni sulla pubblicazione della Delega sull’Inclusione entro la fine dell’anno – l’unica cosa certa per noi persone con disabilità è che, prima delle dimissioni dell’Esecutivo il 7 dicembre, quella bozza noi non l’avevamo ancora vista e che sul tema si era fatto finora solo “tanto rumore per nulla”. Ma adesso, quale futuro si prospetta per la Delega sull’Inclusione?
Innanzitutto, a scanso di equivoci, voglio subito precisare di non essere pregiudizialmente e pretestuosamente contrario ai princìpi ispiratori contenuti nella bozza proposta dal Governo uscente che, anzi, condivido in buona parte. E tuttavia, ritengo che essa fosse viziata da un “peccato originale”, perché pretendeva di “rivoluzionare” il sistema del sostegno, senza cercare un rapporto stretto e fattivo e un coinvolgimento concreto di chi i problemi della scuola e dell’inclusione scolastica li vive sulla “propria pelle” e in prima persona, come fanno quotidianamente le famiglie dei nostri alunni/studenti e le Associazioni di e per le persone con disabilità.
L’inclusione non può prescindere dallo sforzo collaborativo del Ministero, che deve essere sempre in grado di confrontarsi a “tutto tondo” e di attivare sinergie positive e cercare sintonie strategiche con tutto il contesto scolastico (dunque anche con gli allievi con disabilità, con i loro genitori e con chi li rappresenta), senza sconfinamenti in campi altrui e nell’unico interesse del loro diritto allo studio.
Non credo che, con il prossimo Governo, il processo di riforma del sostegno che si stava cercando di attuare si arresterà. Anzi, sono convinto che esso vada finalmente rafforzato e corroborato con il concorso e la partecipazione più ampia e collegiale possibile. L’inclusione scolastica, infatti, riguarda tutti, nessuno escluso.
Solo tenendo costantemente presente tale principio “supremo”, qualsiasi Governo che verrà sarà in grado di non proporci più soluzioni “solipsistiche” ed esclusivamente “emergenziali” sul sostegno, ma potrà finalmente promuovere una riorganizzazione strutturale, funzionale ed efficace del processo inclusivo degli allievi con disabilità del nostro Paese.
Il “regalo di Natale” più bello che auspico quindi per le Associazioni di e per persone con disabilità è che, nell’àmbito del prossimo Esecutivo, il nuovo Ministro per l’Istruzione, Università e Ricerca riscopra la capacità contrattuale di coinvolgere e collaborare con tutte le componenti interne ed esterne della scuola, nel rispetto delle diverse competenze e funzioni, rivelandosi così determinante per il raggiungimento di risultati di qualità nell’erogazione dei servizi a supporto dell’inclusione scolastica, garantendone l’uniformità su tutto il territorio nazionale.
Niente su di Noi, senza di Noi: è questo il motto del movimento internazionale delle persone con disabilità. E anche: “I disabili, come protagonisti delle loro vite, partecipi delle scelte politiche e attori delle decisioni su di loro”. Ebbene, è giunto il momento di passare da questi ammirevoli slogan alle prassi operative, in quanto, senza il nostro “modesto” ma competente contributo, qualsiasi Governo, di qualsivoglia colore politico, tenderà a considerare sempre l’inclusione scolastica come un “adempimento formale” o, peggio ancora, come un mero procedimento contabile, basato soltanto sulla quantificazione numerica delle ore di sostegno. Devono essere invece gli interventi, le risorse, il piano sull’alunno e lo studente e il “contesto” nel loro insieme a dare la misura della qualità dell’integrazione scolastica. Non solo quantità, quindi, ma anche e soprattutto qualità del sostegno.
E tuttavia, il “miracolo” di questo obiettivo sarà possibile realizzarlo se sia al Ministero, sia all’interno delle nostre organizzazioni si smetterà di pensare una volta per tutte che non esistono un “io” e un “tu” separati tra loro, ma solo un “Noi”. Infatti, cooperando e lavorando insieme, potremo fare in modo che il Piano Annuale dell’Inclusività non sia – come adesso si verifica di sovente – solo un aspetto residuale e marginale del Piano Triennale dell’Offerta Formativa. Al contrario, esso ne deve diventare parte integrante, retro-agendo sulle “ordinarie” pratiche didattiche, riorientando positivamente il percorso d’istruzione di ogni studente e assicurando in tal modo il successo formativo di tutti e di ciascuno.
Soltanto una leadership educativa e partecipativa così forte sul tema dell’inclusione, da parte del nuovo Governo, potrà far si che l’interazione Scuola-Famiglia-Enti Locali-Soggetti-Associazioni del territorio (anche di e per persone con disabilità) non si riduca a prassi stanche e sterili, ma rappresenti un importante momento di condivisione e impegno comune.