Con il termine “malattie autoimmunitarie” ci si riferisce a un ampio numero di patologie infiammatorie croniche di diversa gravità, il cui denominatore comune è la distruzione dei tessuti, causata da una scorretta risposta immunitaria. Una delle principali di esse, in àmbito neuromuscolare, è la sclerosi multipla, malattia che colpisce il sistema nervoso centrale e che è caratterizzata da un insieme di degenerazione e infiammazione. E tuttavia, è ancora poco chiaro il rapporto tra queste due condizioni nelle differenti fasi della malattia stessa.
Nuovi passi avanti in questo settore sono stati fatti grazie a uno studio recentemente pubblicato dalla rivista scientifica «Frontiers in Immunology», finanziato dall’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e dalla sua Fondazione FISM e condotto da Sara De Biasi dell’Università di Modena e Reggio Emilia, Anna Maria Simone e Diana Ferraro del Nuovo Ospedale Civile Sant’ Agostino-Estense di Baggiovara (Modena), con il coordinamento di Patrizia Sola della medesima struttura e di Andrea Cossarizza dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Tale ricerca, infatti, evidenzia come l’elemento infiammatorio – oltre che nella fase a ricadute e remissioni (o recidivante-remittente) – sia presente anche nelle forme progressive di sclerosi multipla.
Nel dettaglio dello studio, va detto innanzitutto che quello dell’infiammazione è un processo assai complesso, caratterizzato dall’azione di diversi tipi cellulari, molti dei quali sono alterati anche nella sclerosi multipla. In quest’ultima, però, è ancora poco noto il ruolo della cosiddetta “immunità innata”, detta anche naturale, che dà inizio ai processi infiammatori e che è formata da una moltitudine di meccanismi di difesa biochimici e cellulari, pronti a reagire con rapidità dopo uno stimolo iniziale (ad esempio, di tipo infettivo o traumatico).
La ricerca modenese si è concentrata su un tipo di linfociti molto particolari [i linfociti sono cellule specializzate appartenenti alla famiglia dei globuli bianchi, che svolgono un ruolo importantissimo nel sistema immunitario, in quanto aiutano a contrastare gli antigeni esterni in modo selettivo, N.d.R.], ovvero i linfociti NK con un recettore T invariante (detti iNKT), che appartengono alla famiglia delle cellule dell’immunità innata e rappresentano meno dell’1% di tutti i linfociti circolanti. Dopo la loro attivazione, queste cellule sono in grado di produrre diversi tipi di citochine, vale a dire i mediatori solubili e immediati della risposta immunitaria. In passato era stato evidenziato che difetti delle cellule iNKT possono predisporre allo sviluppo di malattie autoimmuni, ma il loro ruolo nella sclerosi multipla è tuttora poco conosciuto.
Ebbene, per capirlo meglio, gli Autori dello studio di cui si è detto hanno analizzato le cellule iNKT e la loro attività funzionale nelle diverse forme cliniche della malattia, studiando in particolare 165 persone con sclerosi multipla, tra cui 102 pazienti con forma attiva di tipo recidivante-remittente, trattati o non trattati con le diverse terapie indicate per la malattia, 19 con forma recidivante-remittente non attiva, 20 con forma primariamente progressiva e 24 con forma secondariamente progressiva (SP), confrontati con 55 controlli sani.
I risultati ottenuti, grazie alle più avanzate metodologie per l’analisi di cellule rare e con nuove tecniche di studio messe a punto dal gruppo di lavoro, hanno dimostrato che non c’erano grosse differenze nel tipo morfologico di cellule iNKT presenti nelle diverse forme di sclerosi multipla, ma che invece, quando stimolate, quelle presenti nelle persone con sclerosi multipla producevano molecole ad azione infiammatoria.
In particolare, le forme di sclerosi multipla secondariamente progressiva presentavano una maggiore presenza di cellule iNKT, che producevano IL-17, una potente citochina infiammatoria. I ricercatori hanno capito quindi che l’aspetto delle cellule iNKT era simile a quelle dei controlli sani, ma che la loro funzionalità era invece del tutto diversa. Inoltre, il trattamento con il farmaco Natalizumab, rispetto ad altre terapie, ha dimostrato di poter modulare le funzioni di tali cellule.
«I nostri risultati – commenta Andrea Cossarizza – indicano che la forma secondariamente progressiva di sclerosi multipla è caratterizzata da una forte attivazione delle cellule iNKT, che producono citochine infiammatorie. Questi linfociti, quindi, potrebbero avere un ruolo importante nell’infiammazione presente nella fase progressiva della malattia, e potrebbero diventare un importante bersaglio terapeutico».
I dati prodotti evidenziano in sostanza come l’infiammazione sia un processo rilevante anche nella fase progressiva della malattia e dovranno essere certamente considerati, per poter valutare ulteriori trattamenti più mirati e specifici. In tal senso, la ricerca andrà estesa a un maggior numero di persone, per poter valutare se le cellule iNKT presentano differenze funzionali in diversi tessuti e organi di persone con sclerosi multipla. (B.E. e S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa e Comunicazione AISM (Barbara Erba), barbaraerba@gmail.com.