Lo sport è importante per tutti, ma per qualcuno lo è ancora di più. Il riferimento è alle persone con disabilità, per le quali, ai vantaggi psicofisici soggettivi, si aggiunge una più positiva e corretta considerazione della loro situazione da parte dell’opinione pubblica.
Non sempre viene recepita l’importanza che hanno l’educazione fisica e lo sport nel processo di formazione psicofisica dell’individuo, svalutando erroneamente tali pratiche alla stregua di “passatempi” o al massimo di “cure estetiche”. Quando poi si tratta di soggetti colpiti da menomazioni fisiche o sensoriali, si riscontra anche presso gli addetti ai lavori la fallace convinzione che essi siano inidonei allo svolgimento di qualsiasi attività ginnico-sportiva. È infatti sintomatico che alcuni insegnanti di educazione fisica abbiano insistito affinché degli alunni non vedenti chiedessero l’esonero da tale disciplina.
Niente di più errato: per tutti, ma ancor di più per i soggetti con minorazioni, lo sport dev’essere considerato non soltanto come una modalità sana e costruttiva di utilizzo del tempo libero, ma come un mezzo per realizzare obiettivi ulteriori di particolare valore morale e sociale.
Considerando lo specifico settore delle persone non vedenti, oltre ai benefìci diretti che si possono trarre sul piano fisico e muscolare, così da ovviare agli inconvenienti di una vita troppo sedentaria, tipica di molti ciechi, va sottolineata la possibilità di combattere alcuni stereotipi comportamentali dei disabili visivi che vengono ricompresi nel termine di “ciechismi”; e ciò sotto diversi profili, che qui di seguito elenchiamo.
° Lo sport è un modo di confrontarsi con gli altri, per instaurare un corretto rapporto interpersonale che non sia di semplice e passiva accettazione o di aspettativa di un aiuto che viene dall’esterno, bensì un rapporto di vera solidarietà, non basato sul pietismo e sulla compassione, ma sulla comprensione reciproca e sulla reciproca stima e fiducia. Ciò può contribuire a superare il cosiddetto “ciechismo di relazione”, che si esprime con quell’atteggiamento di diffidenza, talora di chiusura, verso i soggetti vedenti, o, comunque, con la timidezza o la scontrosità proprie di molti non vedenti.
° Lo sport è un modo di confrontarsi con lo spazio circostante; sono note, in tal senso, le esitazioni, le incertezze e i timori con cui molti non vedenti affrontano spostamenti anche non particolarmente impegnativi. Lo spazio che ci circonda, in quanto non direttamente conoscibile con i sensi residui (poiché l’udito e il tatto ci possono aiutare soltanto entro un piccolo raggio e ci danno ovviamente informazioni settoriali e incomplete), viene vissuto come “l’ignoto”, con tutte le conseguenti remore e paure. Donde quello che può essere definito come “ciechismo spaziale”, tradotto spesso nel rifiuto di acquisire capacità di muoversi all’esterno in autonomia, o comunque in un modo di camminare esitante, a piccoli passi, o nella carenza di gestualità, con movimenti delle braccia trattenuti entro distanze minime rispetto al proprio corpo. È evidente la benefica influenza che la pratica sportiva può esercitare in tal senso.
° Lo sport è anche un modo di confrontarsi con se stessi, superando così alcune difficoltà psicologiche proprie dei non vedenti, quel “ciechismo psicologico” che si traduce talora in uno spiccato senso di insicurezza, sfiducia e scoraggiamento, con la conseguente tendenza all’inazione e alla passività. Il riuscire a svolgere attività sportive, e soprattutto quelle comunemente ritenute non praticabili da chi non vede, è un efficace mezzo per acquistare fiducia in se stessi, accrescere l’autostima e per capovolgere degli atteggiamenti psicologici negativi.
Si può così conseguire l’importante obiettivo di non concentrare la propria attenzione su ciò che a causa della minorazione non si è in grado di fare, bensì su tutto ciò che, malgrado l’handicap, si riesce ugualmente a fare. “Guardare in positivo” dovrebbe essere assunta come basilare regola di vita.
° Lo sport è un modo di confrontarsi con la fatica e con la sofferenza, di conoscere e di accettare i propri limiti. Spesso, infatti, i ciechi – come altri soggetti con minorazioni – si avviluppano nella loro sofferenza come in un “bozzolo protettivo”, e quei limiti, ovviamente più angusti della media, vengono esibiti ed esaltati quasi in segno di sfida verso i più fortunati, configurando un “ciechismo comportamentale”, masochistico all’interno e talora protervo verso l’esterno. Al contrario, l’abitudine a una sofferenza non imposta dal fato, ma liberamente scelta e accettata, quale mezzo per il conseguimento di certi risultati sportivi, come anche la consapevolezza dell’esistenza di limiti fisiologici e non patologici, comuni a tutti gli esseri umani, possono contribuire sostanzialmente ad incanalare in senso positivo energie altrimenti sprecate in un vano e sterile revanscismo verso la vita e verso il prossimo.
Non si vuole certo sostenere – e sarebbe ingenuo farlo – che lo sport sia capace di risolvere tutte le situazioni di disagio più o meno direttamente connesse con il fenomeno dell’handicap. Non bisogna nemmeno ritenere che risultati ugualmente positivi non si possano ottenere con altri mezzi, quali la realizzazione della propria personalità attraverso l’arte o le soddisfazioni professionali nel campo del lavoro o le semplici gioie della famiglia. Ma a ben vedere, queste altre soluzioni dipendono in massima parte da favorevoli attitudini o predisposizioni o, comunque, da circostanze spesso del tutto casuali, mentre la pratica sportiva dipende quasi sempre esclusivamente da un minimo di buona volontà e di determinazione del soggetto.
C’è tra l’altro da aggiungere che, in quanto capace di modificare in senso positivo sia l’atteggiamento psicologico che il comportamento esterno del soggetto con minorazione, lo sport può essere idoneo ad influire positivamente proprio su quelle stesse situazioni, in particolare su quelle professionali e familiari.
In sostanza, si tratta, per i non vedenti, di sostituire a una mentalità perdente una “mentalità vincente”, non nel senso della necessità di perseguire successi nelle competizioni sportive o di battere record, traguardi necessariamente riservati a pochi soggetti, ma di acquisire tale mentalità come atteggiamento psicologico nelle continue competizioni con noi stessi e con gli altri cui la vita ci obbliga.
Ma quali sono le attività sportive concretamente praticabili dai non vedenti? Sorvoliamo su quelle già tradizionalmente svolte, quali il nuoto, la ginnastica, il tandem o il torball, un gioco, questo, senz’altro utile e divertente, inventato su misura per i non vedenti, ma proprio per questo carente sotto almeno due degli aspetti sopra esaminati.
Per le altre discipline sembrerebbero esistere barriere pratiche difficilmente superabili, ma in realtà molte di esse sono frutto di scarsa conoscenza delle potenzialità residue dei soggetti con minorazioni visive o di ignoranza dell’esistenza di ausili tecnologici idonei a superarle.
Così sono perfettamente praticabili – e in concreto praticati da numerosi non vedenti – lo sci di discesa e di fondo, l’atletica leggera e quella pesante, il judo, il taekwondo, l’arrampicata sulla roccia, il golf, il tiro con l’arco, la vela, la subacquea, la scherma, il canottaggio e la canoa, il ping-pong per ciechi e il blind tennis.
Vengono anche praticati alcuni sport di squadra, come il calcetto e il baseball, con regole alquanto diversificate rispetto al gioco classico, per renderli accessibili a chi non vede; da qualche anno si svolgono anche Campionati Italiani di queste pratiche.
Lo sci alpino e nordico
Data l’attuale stagione e la recente attività svolta a Falcade dal Gruppo Sportivo dell’ADV (Associazione Disabili Visivi) [se ne legga approfonditamente su queste stesse pagine, N.d.R.], è opportuno, anche per ragioni di spazio, limitarsi in questa sede agli sport invernali.
Sono ormai alcune migliaia i ciechi e gli ipovedenti italiani che praticano queste discipline, che non possono quindi considerarsi più delle novità, anche se suscitano ancora meraviglia nell’opinione pubblica.
Fin dal 1983 l’ADV organizza settimane bianche per sciatori ciechi, sia per il fondo che per la discesa, e nel 1990 ha curato la pubblicazione di un manuale destinato alla formazione delle guide, intitolato Sciare ad occhi chiusi.
Infatti, la persona con disabilità visiva deve essere accompagnata da guide appositamente addestrate che lo indirizzino correttamente e gli facciano evitare gli ostacoli che si possono frapporre lungo il percorso. La guida può avvenire a viva voce o mediante dispositivi elettronici. Dopo vari anni di prove tecniche ed esperimenti con apparecchi trasmittenti autocostruiti, sono stati individuati gli apparati che rispondono alle specifiche esigenze di affidabilità e sicurezza e che vengono utilizzati dai discesisti più esperti e veloci.
Un sistema di guida molto diffuso è quello mediante un altoparlante che la guida porta dietro le spalle, attivato da un piccolo microfono tenuto presso la sua bocca mediante un archetto; in tal modo i comandi e le informazioni giungono allo sciatore non vedente che segue la guida, in modo chiaro e forte. È ovvio che per ottenere buoni risultati, tra i due si deve stabilire una perfetta intesa, fatta di fiducia reciproca: il non vedente deve confidare “ciecamente” – è proprio il caso di dirlo – nella perizia e nella prudenza della guida, mentre quest’ultima deve essere sicura della prontezza e della docilità del non vedente nell’eseguire gli ordini. Ciò implica anche l’acquisizione di una tecnica di ottimo livello, che consenta al non vedente una discesa perfettamente controllata e di limitare la velocità anche in presenza di forti pendenze. Naturalmente vengono preferite le piste larghe e prive di pericoli e si attende, per effettuare i tratti di discesa, che esse siano il più possibile sgombre.
I risultati ottenuti sono pienamente soddisfacenti: di solito, infatti, anche i non vedenti che non hanno mai toccato un paio di sci sono in grado, a partire dal secondo o terzo giorno, di utilizzare gli impianti di risalita e di effettuare discese con curve a spazzaneve.
I discesisti ciechi sono riconoscibili da pettorali e dorsali gialli, recanti in nero la scritta “cieco” o la lettera B (iniziale di Blind) e tre grossi dischi neri. Una più diffusa conoscenza di tale segno distintivo internazionale da parte degli altri sciatori è senz’altro auspicabile e renderebbe ancora più semplice e sicura tale pratica sportiva.
Per quanto poi riguarda lo sci di fondo, esso può essere praticato senza particolari problemi con la guida a voce diretta; anzi, in presenza di piste facili e ben segnate dagli appositi binari, ciascun istruttore è in grado di seguire anche due o tre fondisti non vedenti o ipovedenti. Entrambi i tipi di sci possono formare oggetto di attività agonistica da parte dei ciechi.
Nel citato Gruppo Sportivo dell’ADV sono presenti numerosi atleti che hanno partecipato e anche vinto medaglie, pure d’oro, alle Paralimpiadi e ai Campionati del Mondo per atleti con disabilità.
E in conclusione, per completezza di informazione, proponiamo l’elenco degli sport praticati dai non vedenti, rinviando per la loro disamina alla monografia intitolata Valenze fisiche ed extrasportive dello sport dei non vedenti, realizzata da chi scrive e pubblicata dall’ADV: subacquea; vela; tiro con l’arco; judo; taekwondo e altre arti marziali; atletica leggera; canottaggio e canoa; scherma; golf; showdown (sorta di tennis tavolo); torball; calcetto; baseball; blind tennis; paracadutismo; parapendio; rally automobilistico; pilotaggio di aerei.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti (oltre che per richiedere i testi menzionati nel presente approfondimento): presidenza@disabilivisivi.it.