Con il termine spam si indica la posta spazzatura che troviamo nelle caselle e-mail. Tuttavia se dite questa parola a persone che hanno poca confidenza con la tecnologia (e magari hanno qualche anno in più sulle spalle), probabilmente vi sentirete rispondere che SPAM è l’acronimo di Solo Pittori Artisti Mutilati, l’Associazione che riunisce gli artisti con disabilità che dipingono con la bocca o il piede.
Sarà capitato a molti di ricevere i biglietti d’auguri e il calendario con le riproduzioni delle opere dei pittori SPAM, una consuetudine che ha accompagnato anche me per moltissimi anni e che appartiene alla mia memoria bambina, quando collezionavo quei calendari colorati e li sfogliavo rapita da tanta bravura. Da tempo l’Associazione ha cambiato nome, una scelta doverosa per non venire accomunata ai messaggi indesiderati di posta elettronica. Ora si chiama AbilityArt ed è un’azienda all’avanguardia dotata di moderne apparecchiature per stampare acquerelli, tempere e dipinti ad olio dei suoi artisti su materiali e supporti diversi, senza alterare la ricchezza cromatica degli originali. È possibile, ad esempio, ordinare una cover per smartphone decorata con un’opera del catalogo, oppure un ombrello, un orologio da parete, ma anche una classica riproduzione su carta pregiata da incorniciare e appendere alla parete.
Gli artisti AbilityArt sono diventati 2.0: lontani, infatti, sono i tempi in cui calendari e bigliettini venivano spediti in buste con gli indirizzi scritti a penna, ma il cuore, gli ideali e la passione sono rimasti immutati. Oggi infatti, come nel 1956, anno di fondazione della SPAM, persone di straordinario talento possono migliorare la qualità della loro vita, facendo dell’arte un lavoro, una fonte di reddito e uno strumento di indipendenza.
Esprimersi attraverso la pittura è di per sé un traguardo importante per chi non può utilizzare le mani, ma con AbilityArt gli artisti hanno la possibilità di confrontarsi con tecniche diverse, di affinare le loro abilità e di costruire una propria identità artistica, un presupposto fondamentale per diventare “appetibili” sul mercato. Alla fine non esiste soddisfazione più grande che sentirsi realizzati ed essere economicamente indipendenti grazie al proprio impegno, tutto viene conquistato con merito. È una lotta farsi conoscere e apprezzare per le capacità, togliendo il preconcetto dallo sguardo di chi guarda le opere e vede soltanto il disegno di una persona che semplicemente, “poverina”, ha trovato un modo per “passare il tempo”. Niente affatto! Questi artisti, perché tali sono, hanno individuato un obiettivo e l’hanno perseguito con tenacia, non senza difficoltà.
Applaudirebbe a questo risultato Arnulf Erich Stegmann, l’uomo da cui tutto è cominciato. AbilityArt, come prima SPAM, opera sotto il grande ombrello della VDMFK (Vereinigung der mund- und fussmalenden Künstler in aller Welt e.V.), l’Associazione Internazionale degli artisti che dipingono con la bocca e/o con il piede, con sede nel Liechtenstein, una famiglia che comprende circa mille artisti. Stegmann era uno di loro, è stato lui a spianare la strada, fondando questa organizzazione che oggi opera in settantotto Paesi, e lo ha fatto da anticonformista, affrontando faccia a faccia anche l’ideologia nazista, in un’epoca dove lo stigma della disabilità era connaturato nella cultura e nella società.
Nacque a Darmstadt, in Germania, il 4 marzo 1912. A due anni venne colpito da poliomielite spinale e perse l’uso di braccia e mani. Aveva un precoce talento artistico apparentemente inconciliabile con la condizione di disabilità, ma sorprendnendo tutti, grazie all’aiuto di una famiglia amorevole e sostenuto da maestri lungimiranti, il piccolo Arnulf con naturalezza sostituì gli arti superiori con la bocca.
Crescendo, diventò sempre più bravo. Imparò a dipingere ad olio con pennello e spatola tra i denti, allo stesso modo padroneggiava la tecnica dell’acquerello e disegnava sulla pietra con la penna. Riusciva anche a realizzare sculture e incisioni su linoleum e legno, sempre servendosi della bocca per utilizzare gli attrezzi.
Tanta destrezza non passò inosservata, venne ammesso alla prestigiosa Scuola Universitaria Professionale di Arti Grafiche di Norimberga, in seguito iniziò l’apprendistato negli atelier di due dei suoi insegnanti, i pittori Erwin von Körmendy e Hans Gerstacker, venne nominato membro dell’Associazione per la Tutela degli Interessi degli Artisti Figurativi di Monaco di Baviera e dell’International Arts Guide di Montecarlo. Non solo perfezionò la formazione artistica, ma diventò un uomo consapevole delle proprie abilità, per nulla disposto ad essere messo in disparte, desideroso di essere un cittadino nella sua completezza.
Nel 1932, a soli vent’anni, cominciò a riprodurre le proprie opere sotto forma di cartoline artistiche e stampe destinate alla vendita, mostrandosi un ottimo commerciante. Era ormai palese il suo desiderio di portare avanti un progetto di vita indipendente, dal punto di vista lavorativo, personale ed economico, ma occorreva una forte motivazione, perché allora la parola “futuro” non aveva alcun significato per una persona con disabilità.
Parallelamente all’avvio dell’impresa artistica, Stegmann cominciò ad opporsi al regime nazista, da poco al potere, e lo fece nel modo che gli era più congeniale, dipingendo una serie di quadri di critica sociale che gli costò quindici mesi di reclusione. Venne scarcerato il 4 marzo 1936, ma le sue opere, giudicate “antipatriottiche”, vennero per questo distrutte. Andò a vivere a Deisenhofen, vicino a Monaco di Baviera, subendo per anni la costante persecuzione delle autorità che, oltre ad interdirlo fino al 1945 dai pubblici uffici, lo tennero continuamente sotto controllo, considerandolo un soggetto “pericoloso” vicino all’ideologia marxista.
La fine della seconda guerra mondiale e la ritrovata libertà gli diedero una rinnovata energia, che lo portò a fondare una propria casa editrice, chiamata con un nome che diceva tutto: “Eppure”. Eppure aveva raggiunto il successo, anche il successo imprenditoriale, in pochi lo avrebbero creduto possibile. Intanto stava maturando un nuovo progetto: condividere con gli artisti disabili il sogno di conquistare credito sociale e autonomia. Ne aveva conosciuti altri come lui, persone che dipingevano in modo “non convenzionale”. Nel dopoguerra aveva attraversato i cinque continenti per promuovere i suoi quadri ed era venuto in contatto con realtà che lo avevano fatto riflettere.
Era stato anche in Italia, più volte, per soggiorni di studio e i panorami del Bel Paese avevano ispirato i suoi paesaggi (attualmente i quadri di Stegmann raggiungono quotazioni di svariate migliaia di euro). Prese la decisione di collaborare con colleghe e colleghi e a partire dal 1947 si impegnò nella creazione di una rete europea di artisti con disabilità, un lavoro che culminò nel marzo del 1957, quando si tenne la prima Assemblea Generale della VDMFK. Ne facevano parte diciassette pittori europei, il loro obiettivo era raggiungere l’indipendenza attraverso la vendita dei diritti d’autore delle opere. Suonano ancora attuali le sue parole pronunciate in quei giorni: «Il mondo in cui viviamo è spesso ostile con i disabili. Un’Associazione offre la grande opportunità di facilitare il superamento delle difficoltà, sia nel campo dell’arte che della vita in generale. È semplicemente triste e assurdo che ad artisti con gravi disabilità fisiche, anche se nel lavoro hanno raggiunto livelli alti, non sia permesso divulgare le loro opere perché non sono state create in modo “normale”, ma con la bocca o con il piede per sostituire le mani. Per noi il lavoro, la creazione artistica, è la chiave per la libertà».
Lo spirito innovatore di Stegmann aveva visto giusto. Quella piccola riunione di sognatori e questo discorso furono l’inizio di una storia di risultati straordinari, primo fra tutti il positivo impulso fornito alla formazione di una cultura che promuove le diversità. Fin dall’origine, infatti, l’Associazione fu aperta a tutte le culture, accogliendo artisti a prescindere dal loro Paese di appartenenza, dalla religione e dall’ideologia politica. In sessant’anni non si contano le mostre, i riconoscimenti e le onorificenze pubbliche internazionali. Tra i tanti spiccano due eventi culminanti, vale a dire la presentazione nella sede dell’ONU di Ginevra nel 1981 e quella al Consiglio Europeo di Strasburgo, ripetuta nell’87, nel ’93 e nel ’96.
Stegmann ha potuto godere soltanto della soddisfazione alle Nazioni Unite, essendo venuto a mancare il 5 settembre 1984 a Deisenhofen dove aveva trascorso gran parte della vita. Una vita piena, ricca di gioie e dolori sul piano privato, un matrimonio, tre figli, uno morto in giovane età. Il suo legame con l’Italia non si è fermato ai viaggi studio in gioventù, è tornato in altre occasioni, e in una ha lasciato un vasto pubblico a bocca aperta.
Bisogna premettere che da noi l’idea di Stegmann di organizzare gli artisti con disabilità attecchì fin da subito. Nel cuore di Verona, infatti, vicino all’Adige, si costituì nel 1956 la SPAM (la M finale stava per “mutilati”, ciò che si spiega con l’epoca successiva al secondo conflitto mondiale, che aveva lasciato tante persone prive dell’uso delle braccia o delle gambe).
C’era diffidenza di fronte a quel gruppo di “strani” artisti che tenevano un pennello stretto tra le labbra o tra le dita dei piedi; Stegmann in persona intervenne per aiutare gli amici italiani ad abbattere il pregiudizio. All’inaugurazione di una mostra collettiva allestita alla Gran Guardia di Verona, alla presenza delle più alte autorità istituzionali ed ecclesiastiche, lo stupore degli invitati fu totale, quando fece il ritratto del Vescovo con la bocca, dimostrando che dipingere in maniera “diversa” era una realtà.
E a questo punto, per completare il nostro breve viaggio, leggiamo la testimonianza di uno dei pittori AbilityArt. È Francesco Canale, un giovane poliedrico artista che si fa chiamare “Anima Blu” e che ho conosciuto per caso su Facebook, curiosando nel suo profilo sul quale pubblicizza le molteplici attività che promuove.
La sua storia personale sembra un film, ma la vita è più incredibile della fantasia di qualunque sceneggiatore e così la vita di Francesco ha preso strade inaspettate. L’ha fatto grazie alla determinazione del giovane, mai arresosi a una condizione di partenza segnata da una grave disabilità. Impegnato nel sociale (organizza incontri nelle scuole di ogni ordine e grado), compositore di musica e scrittore oltre che pittore, sentiamo dunque “Anima Blu” raccontarci la forza dell’arte e lo spirito del vero artista.
La tua arte è strettamente legata alla tua vita, una vita che sul tuo sito definisci «molto particolare per la condizione fisica che la contraddistingue». Ci vuoi raccontare qualcosa in più di te?
«Beh… Sintetizzare la mia vita, in poche parole, non è un’impresa facile. Infatti, nonostante la giovane età, ho avuto la fortuna di vivere già situazioni molto belle e intense. Ovviamente la mia condizione fisica (essere nato senza braccia e senza gambe) è di per sé un’esperienza unica. Tuttavia, come dico sempre, fra le tante cose strane che mi sono successe, questa forse (anzi, sicuramente) è la meno bizzarra di tutte.
Un’altra cosa molto particolare che mi è accaduta, appena nato, è stata quello di essere lasciato in ospedale dalla mia famiglia biologica. Fortunatamente, però, a 40 giorni, sono stato adottato da due persone “normali” e “speciali”, Giovanni ed Elena. Con loro ho passato una bellissima infanzia – tutta improntata a cercare di superare le difficoltà pratiche e non, che la mia “disabilità” mi poneva di fronte – e un’adolescenza ricca di luoghi e persone differenti (crescendo così con l’idea, fin da piccolo, che non bisogna mai giudicare niente e nessuno).
Naturalmente, ci sono stati anche tanti momenti difficili… Un po’ per alcune vicissitudini familiari e un po’ per la mia inevitabile “diversità”, ho avuto spesso a che fare con il dolore. Tuttavia, è stato proprio in quei momenti bui che ho capito di essere, e di voler fare, l’Artista nella vita. Ho capito, soprattutto, quanto l’arte possa essere un antidoto e una cura per uscire dai propri problemi.
Tra i fatti più belli “recenti” (relativamente parlando), c’è stata la gioia di rincontrare la famiglia biologica (con cui sto cercando di costruire un bel rapporto) e il mio matrimonio con Cinzia… Dalla fine del 2008 vivo con lei nella splendida Lecce. Insomma, come avrai capito, di cose da raccontare ce ne sarebbero davvero tante… Questa è soltanto una minima parte della mia esistenza, estremamente sintetizzata. Chi volesse conoscermi meglio, e seguire le attività che porto avanti, può farlo attraverso il mio sito web e/o sui canali social».
Nell’ambiente artistico sei conosciuto come “Anima Blu”. Perché proprio questo pseudonimo?
«Il mio nome d’arte è nato un po’ di anni fa. Cercavo uno pseudonimo che mi rappresentasse nel campo artistico… Questo non perché il mio nome non mi piacesse, ma bensì perché mi stuzzicava l’idea di avere un “soprannome professionale”. La parola “Anima” nasce da una mia personale filosofia e visione dell’essere umano. Da secoli, c’è una discussione infinita sul fatto se l’Anima esista davvero, oppure no. Sinceramente non lo so e non mi interessa nemmeno più di tanto. A livello ideale, però, mi piace pensare che esista davvero… Considero l’Anima la parte più profonda dell’Uomo e, soprattutto, la reputo la sede di tutte le ispirazioni artistiche.
Il secondo termine, “Blu”, l’ho scelto per due motivi: Primo perché mi piace molto come tonalità, secondo perché si dice che il blu sia “il colore della guarigione universale”. Anche qui… Che sia vero o no, non lo so e non mi interessa. Mi piace, però, l’idea che – con la mia arte – le persone possano stare in qualche modo meglio. “Stare meglio” lo intendo nel suo significato più alto, e più ampio… Quindi, può voler anche dire “essere stimolati a riflettere su determinati argomenti, o situazioni, a cui magari non si porrebbe attenzione” (amo molto l’arte come strumento di comunicazione di messaggi sociali). Fra l’altro, continuavo a ripetermi questo nome in testa (“Anima Blu”) e mi sembrava suonasse anche bene… Quindi, a un certo punto, ho deciso di utilizzarlo come mio alias».
Quando è avvenuto l’incontro con AbilityArt? Occorre superare un “esame” per essere ammessi nell’Associazione?
«Beh… Io sono entrato a far parte di AbilityArt, storicamente conosciuta come SPAM, già da piccolo. Avrò avuto all’incirca cinque anni e mezzo/sei… All’epoca cercavo un modo “fisico” per riuscire a scrivere da solo (i software per computer non erano avanzati come oggi). Sentii parlare di persone che utilizzavano la bocca… Mi si spalancò, di fronte, un universo intero! Un po’ da solo, e un po’ seguendo i consigli degli altri artisti, iniziai a provare a tenere in bocca la penna. All’inizio, ovviamente, non era facile… Piano piano, però, imparai. Dallo scrivere, poi, in maniera molto naturale, passai al disegnare. Vinsi una borsa di studio ed entrai a far parte di AbilityArt/SPAM. L’Associazione aveva indetto un concorso sul tema della pace… Disegnai un mondo, racchiuso dentro ad un grande cuore. Naturalmente, non era nulla di particolare. Era il semplice disegno di un bambino. Probabilmente, però, qualcuno – in quelle righe un po’ tremolanti – vide qualche cosa di interessante da sviluppare. Per tantissimi anni, ovviamente, è stato semplicemente il gioco di un bimbo… Con lo scorrere del tempo, però, ho capito che l’Arte era un qualcosa di davvero importante e fondamentale per me! Soprattutto ho compreso che la pittura poteva diventare un vero e proprio lavoro… Questa, infatti, è la bellezza del gruppo di cui faccio parte: dare una dignità alle persone, attraverso il lavoro artistico».
Con quali modalità AbilityArt segue i suoi artisti nel cammino di realizzazione individuale?
«AbilityArt è una realtà che vive ed opera all’interno della VDMFK, l’Associazione Internazionale dei pittori che dipingono con la bocca o con il piede. Dal 1956, VDMFK sostiene e diffonde il lavoro di più di 800 artisti in 78 Paesi diversi. L’attività che l’Associazione svolge è l’affiancamento dei suoi pittori, attraverso borse di studio, incontri internazionali, mostre ed eventi in giro per il mondo. AbilityArt, allo stesso modo, promuove gli artisti italiani che aderiscono all’Associazione».
Per dipingere utilizzi strumenti particolari o modificati in base alle tue esigenze?
«No, non utilizzo strumenti particolari o modificati. L’unica cosa a cui cerco di fare attenzione, dovendo adoperare la bocca, è quello di utilizzare pennelli in legno grezzo… Quindi, niente vernici o cose simili».
In tanti anni di lavoro con tavolozza e pennelli hai ottenuto molte soddisfazioni. Se dovessi scegliere la più importante, quella che ti ha reso più felice, quale citeresti?
«Mah… Dovendo scegliere, credo che sia il fatto di avere donato due miei quadri a figure che hanno segnato – in modo diverso – la storia dell’Italia e del Mondo. Mi riferisco a Papa Giovanni Paolo II e a Carlo Azeglio Ciampi. Ho avuto il piacere, e l’onore, di conoscere entrambi (Karol Wojtyla più di una volta) e di lasciare loro in dono una mia opera. Scelgo questi due ricordi non solo perché erano delle “personalità”, ma soprattutto perché mi colpirono molto quando li conobbi. Sia il Santo Padre che il Presidente della Repubblica, avevano uno sguardo molto buono. Mi dettero la netta sensazione di essere persone estremamente dolci. Ovviamente, si può non essere del tutto d’accordo con alcune loro idee e/o scelte. Tuttavia, credo vadano riconosciute come persone che hanno lasciato un segno assolutamente positivo nella nostra società».
Arnulf Erich Stegmann, il fondatore dell’Associazione Internazionale degli artisti che dipingono con la bocca e/o con il piede, la VDMFK di cui abbiamo parlato, era anch’egli pittore con disabilità, ma voleva essere riconosciuto come artista in quanto tale e non come “artista con disabilità”. Ti è capitato di essere vittima di questa forma di pregiudizio, ovvero di avere ottenuto critiche o consensi “viziati” dalle tue condizioni fisiche?
«Sì… Questo, purtroppo, è un problema che continua a sussistere quando parliamo della cosiddetta “disabilità”. Non c’è ancora, salvo eccezioni, l’idea di mettere tutto alla pari… Come dico sempre io, o si posizionano le cose “troppo in alto” o “troppo in basso”. Quindi, o sei un “angelo caduto dal cielo” (l’idea dei disabili come tutti buoni, e tutti santi) oppure non ti guardo e faccio finta che non esisti. Lo stesso meccanismo, ovviamente, scatta anche quando parliamo di arte. Quindi, siccome sei disabile, qualunque schifezza che fai va bene… Oppure, il pregiudizio contrario: “quel quadro, o quella determinata creazione artistica, non l’avrà sicuramente fatta lui” (è un retropensiero che mi è capitato di percepire anche nei miei confronti, a volte).
Sinceramente, a me non interessa più di tanto. Io la penso esattamente come Stegmann (personaggio veramente illuminato, e “rivoluzionario”): sono un artista, punto. Non sono un artista in quanto persona con disabilità. Quindi, voglio essere valutato in base a quello che faccio… Se quello che creo piace, sono felice quando mi viene comunicato. Allo stesso modo, accetto le critiche – anche se, indubbiamente, possono fare male – perché aiutano a migliorarsi. Tutto il resto è un contorno… È semplicemente uno dei tanti aspetti che, a livello culturale, dobbiamo ancora cercare di migliorare quando parliamo di “disabilità”».
Pensando alla storia dell’arte, qual è l’opera a cui sei più legato e perché. E fra i tuoi quadri quale prediligi?
«Non c’è una singola opera a cui sono legato. Ce ne sono diverse, che hanno sempre colpito la mente e nutrito il mio immaginario poetico/creativo. Sono quadri unici, con una vena profonda e messaggi immensamente vibranti. Nella pittura, come nell’arte in genere, amo tutti quei temi che non sono banali e scontati. Mi affascinano le questioni sociali, il disagio umano ed esistenziale, l’impegno civile, e cose di questo genere. A tal proposito, fra i tanti che si potrebbero nominare, mi limito a citarti solo qualche dipinto: Il grido di Edvard Munch, Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, e Guernica di Pablo Picasso. Fra le mie, invece, non c’è un’opera che prevale sulle altre… È un po’ come se tu chiedessi a un padre di famiglia quale dei suoi figli predilige. Se non è un padre snaturato, ti risponde “tutti”. Ovviamente, qualche quadro può essere venuto meglio degli altri (a livello tecnico). Nel mio cuore, però, ciascuno occupa un posto speciale».
La pittura non è la tua unica passione. Ti dedichi alla scrittura, componi musica e porti in scena una performance teatrale, Le Corde dell’Anima, scritta principalmente da te. C’è ancora qualche àmbito creativo nel quale ti piacerebbe cimentarti?
«Sì, permettimi solo una piccola precisazione: Le Corde dell’Anima è un testo scritto interamente da me. È uno spettacolo tratto da un libro omonimo, che uscirà nei prossimi mesi e sarà distribuito in tutta Italia. Venendo invece alla tua domanda: sì, ci sono anche altre forme d’Arte che mi affascinano, e che vorrei approfondire… Il cinema e tutto il mondo della videoarte, ad esempio. Soprattutto, mi piacerebbe molto provare nuove contaminazioni fra espressioni artistiche differenti. Ho già fatto qualcosina, in merito, e ho “in cantiere” alcuni progetti molto belli e strutturati. L’Arte, poi, è un qualcosa di talmente vasto e affascinante che basta avere un po’ di fantasia e creatività per potersi sbizzarrire».