Da un po’ di tempo mi trovo a dover ricordare amici, militanti del movimento dei diritti delle persone con disabilità, come Gianni, Bruno, Franco, Dario e Michele. Ogni volta mi chiedo se ne è valsa la pena dedicare tutto se stessi al “noi” piuttosto che all’“io”. È una riflessione intima, ma che non trova risposta se non in una sola e unica considerazione: la cultura sociale e politica di tutti noi non appartiene all’individualismo. Non poteva che andare così.
All’epoca della costruzione delle Unità Spinali Unipolari (USU), Fulvio Santagostini era in prima fila. Quel gruppo – ristretto – di sognatori ha trasformato l’Italia, facendo nascere USU in tutto il Paese, persino al Sud, ad esempio a Catania e a Bari. Iniziammo con soli dieci posti letto a Firenze, oggi ne contiamo diverse centinaia.
Eppure Fulvio non era soddisfatto, non già e non solo per il numero ancora inadeguato, ma soprattutto per la qualità dei servizi. La sua prima interfaccia era l’Ospedale Niguarda di Milano alla cui Unità Spinale attribuiva una curvatura verso l’ordinarietà del Servizio Sanitario Nazionale, ovvero un approccio disumano degli operatori e una scarsa multidisciplinarietà. Era un richiamo alla lotta.
Ci occupammo anche di ricerca sul midollo spinale, cercando di sottrarre a imbonitori di vario genere il monopolio della comunicazione sulla materia. Con la rete, le cosiddette “fake news” si sono moltiplicate, si è passati da un articoletto di riviste scandalistiche (con titoloni assurdi come Paraplegico torna a camminare come Lazzaro) a siti web gestiti da para e tetraplegici che talvolta diventano persino agenzie per i “viaggi della speranza” in Russia, Portogallo, Cuba ecc.
Purtroppo i risultati promessi non si materializzavano e in alcuni casi si registravano peggioramenti. Allora decidemmo di praticare il terreno della corretta informazione. Fulvio, come sempre, in prima linea.
Ricordo un evento della FAIP (Federazione Associazioni Italiane Paratetraplegici) a Negrar (Verona) al quale invitammo Alfredo Gorio, uno dei maggiori esperti in tema di rigenerazione delle cellule nervose. Fulvio ed io eravamo in fondo alla sala, appoggiati al muro. In attesa e forse con qualche speranza. Alfredo fece un lungo e dotto excursus sullo stato dell’arte, concludendo che nonostante gli stimoli le citochine non si muovevano. All’unisono ci venne fuori quest’espressione: «’ste cazzo di citochine!». Espressione amara e di disillusione, ma anche autoironica di chi, nonostante una profonda laicità e consapevolezza, un po’ ci sperava.
Poi venne il momento della rottura del movimento associativo in Lombardia. L’idea di Edoardo Cernuschi di una piattaforma di servizi aveva generato una distanza con molte Associazioni che invece vedevano la necessità di una battaglia politica. Nacque così la FISH Lombardia (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), in contrapposizione alla LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità). Fulvio ne era leader.
Con la scomparsa di Cernuschi, la presidenza fu affidata a Salvatore Giambruno, uomo di straordinaria lungimiranza: voleva ricostruire l’unità e candidare Fulvio alla presidenza della LEDHA. Io avrei dovuto creare il ponte.
Conoscevo la diffidenza di Fulvio verso la storia della LEDHA, ma non fu difficile convincerlo a un incontro. Non gli accennai di candidature varie, ma solo al fatto di cogliere l’occasione per un dialogo. Salvatore ed io andammo in Unità Spinale al Niguarda, all’epoca la “seconda casa” di Fulvio. Senza troppi giri di parole, Salvatore disse dei cambiamenti che stava apportando (su tutti, Giovanni Merlo direttore) e della sua intenzione di fare solo il “caronte” e quindi che si sarebbe speso per candidare Fulvio.
Fulvio si schernì, ma gli fu evidente che Salvatore non stava giocando, neppure proponendo un onorevole rientro in LEDHA di un gruppo di Associazioni che sarebbero state pur sempre minoranza.
La storia è nota: Fulvio diventò presidente della LEDHA e la FISH Lombardia si sciolse. Seguirono una quantità di attività importanti in cui Milano e la Lombardia ritrovarono il ruolo che spetta alla storia di quel territorio.
Il giorno del suo matrimonio, il 5 maggio, Fulvio mi disse: «Non sai quanto mi hai fatto felice a venire». E poi con una voce sempre più flebile: «Io LEDHA ce l’ho qui nel cuore». La sua esperienza politica più importante, quindi.
Poi volle fare una foto con tutti gli amici FISH e LEDHA, e con una certa difficoltà posò la sua manona destra sulla mia spalla. Un gesto di affetto che non avevo mai visto prima.
Il “noi” è cultura politica, ma soprattutto prossimità, reciprocità e vicinanza. Emozioni indimenticabili.
Grazie Fulvio.