«Una serie di iniziative che per oltre un anno hanno coinvolto familiari, designers, biologi, ricercatori e fablab/makerspace milanesi, tutti chiamati a mettersi in gioco e fare rete, per riflettere insieme sulla malattia con uno sguardo distante da tabù, stereotipi e pregiudizi che troppo spesso accompagnano l’Huntington, una malattia che, come “un secondo nome”, il destino attribuisce alla persona, un’eredità familiare che da quel momento la accompagna, diventando parte integrante della sua identità».
Viene presentata così la mostra non a caso denominata Secondo nome: Huntington, che verrà inaugurata il 29 giugno (ore 19) alla Triennale dell’Arte di Milano (Viale Alemagna, 6) e sarà poi visitabile fino al 30 luglio.
L’iniziativa è promossa dalla Triennale Design Museum, dall’AICH Milano (Associazione Italiana Corea di Huntington) e dalla Rete Italiana della Malattia di Huntington, che intendono in tal modo perseguire uno scopo informativo e di sensibilizzazione su questa malattia rara per la quale, ancora oggi, non esiste una cura.
Meglio nota infatti come corea di Huntington, questa grave malattia neurodegenerativa ereditaria di origine genetica risulta devastante non solo dal punto di vista clinico, ma anche da quello sociale. Essa, infatti, inizia in genere nel pieno della vita di una persona (tra i 30 e i 50 anni), con bruschi sbalzi d’umore, irritabilità, depressione, ma anche difficoltà nella guida, nell’imparare cose nuove o nel prendere una decisione. Inoltre, si possono presentare cambiamenti nella scrittura e movimenti involontari delle dita, dei piedi, del viso o del tronco, ma anche disturbi dell’equilibrio e del coordinamento motorio con accentuato rischio di cadute e un progressivo deterioramento cognitivo, causando una situazione che modifica completamente le abitudini quotidiane.
L’impatto non è irrilevante, se è vero che in Italia si stima esistano circa 150.000 persone colpite direttamente o indirettamente da una patologia che, pur “abitando” il singolo, diventa tanto rapidamente quanto naturalmente una questione familiare.
«Per la prima volta con questa iniziativa – spiegano i promotori della mostra di Milano – anche il mondo del design è chiamato a raccontare l’Huntington, immaginando prodotti pensati per i malati, ma utilizzabili da tutti. Viene così ribaltata la prospettiva che solitamente sottende l’approccio dei “prodotti per disabili”, dal momento che con tale mostra nasce un variegato microcosmo di possibilità volte all’aumento della qualità della vita dei malati di Huntington e dei loro familiari – spesso i principali se non unici caregiver – tramite una sensibilità progettuale che proponga prodotti funzionali accessibili a tutti, rendendo la quotidianità più semplice e superando la visione convenzionale della disabilità, come “qualcosa che va aggiustato”».
L’esposizione si articolerà su due sezioni, una delle quali dedicata ai progetti dei vincitori del Concorso Under 35 …ma così è la vita! Junior design contest”, l’altra ai progetti di designer, come, tra gli altri, Alessandro Guerriero, Lorenza Branzi e Nicoletta Morozzi, Lorenzo Damiani e Brian Sironi, chiamati a confrontarsi con la gestualità istintiva dei malati e con la loro forza quotidiana, raccontate in diversi scenari domestici.
I designer hanno riflettuto sull’Huntington, sulle implicazioni psicologiche e pratiche del vivere, su una diversità che, con sfumature diverse, tutte le persone possono sperimentare nel corso della vita. I progetti in mostra, infatti, rispettano le necessità della malattia, ma parlano di gesti, emozioni, delusioni, paure, speranze e sfide universali.
«Sono storie di vita quotidiana – sottolinea il curatore Davide Crippa -, frammenti di routine familiari che svelano equilibri sospesi tra il coraggio e la paura del presente, che ci raccontano gesti ordinari, ma talvolta insormontabili; sono problemi da osservare con delicatezza, un mondo di disabilità che si ribella alla dimenticanza, codici della normalità da rimettere in discussione; sono attimi, paure, nudità sfuggenti; sono tentativi di autonomia e rivendicazioni di gioia; sono storie di cura e di amore, di perdite e di conquiste, di paure e di sollievi. Sono progetti come “racconti fragili”, composti per dare forma a un manifesto del progetto debole, un manifesto per la Malattia di Huntington».
All’inaugurazione del 29 giugno, saranno presenti Arturo Dell’Acqua Bellavitis, presidente di Triennale Design Museum, Claudio Mustacchi, presidente dell’AICH Milano e della Rete Italiana della Malattia di Huntington, Elena Cattaneo, professoressa e senatrice a vita e Luisa Collina, preside della Scuola del Design del Politecnico di Milano.
In precedenza (ore 17) è prevista una tavola rotonda, moderata dal citato Claudio Mustacchi, cui parteciperanno Cristina Tajani, assessore alle Politiche del Lavoro, alle Attività Produttive, al Commercio e alle Risorse Umane del Comune di Milano; Silvia Piardi, direttore del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano; Alberto Fontana, presidente della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap); Pete Kercher, vicepresidente di Design for All Italia e Ambassador EIDD (Design for All Europe); Luciano Galimberti, presidente dell’ADI (Associazione per il Disegno Industriale); Emmanuele Pilia, direttore Editoriale di D Editore; Makio Hasuike, designer; il curatore della mostra Davide Crippa, i designer protagonisti della stessa e i fablab partner. (S.B.)
Ringraziamo Giovanni Merlo per la segnalazione.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: mc@aichmilano.it.