Ormai da diversi anni Stefano Pluchino studia il ruolo delle terapie con cellule staminali neurali nel trattamento di condizioni come la sclerosi multipla. Di lunga data è anche il suo legame con l’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e la FISM (la Fondazione della stessa AISM), che lo ha portato a ricevere tra l’altro il Premio Rita Levi Montalcini nel 2007, proprio per i suoi studi sui meccanismi di plasticità terapeutica delle cellule staminali neurali.
Il lavoro di Pluchino, neurologo e ricercatore, ha svolto un ruolo essenziale nello sviluppo dei primi studi di fase 1 [la “fase 1” corrisponde alla sperimentazione di un principio attivo sull’uomo, allo scopo di fornire una prima valutazione della sicurezza e tollerabilità della sostanza, N.d.R.]. con cellule staminali neurali, recentemente iniziati nelle forme progressive di sclerosi multipla.
Nel 2010 ha spostato la propria attività clinica e di ricerca in Gran Bretagna, presso l’Università di Cambridge, dove il suo impegno prosegue tuttora con ottimi risultati.
L’ultima pubblicazione del suo team è apparsa in questi giorni sulla prestigiosa rivista internazionale «Nature Chemical Biology». Si tratta di uno studio di base, che rivela una funzione mai immaginata prima per gli exosomi delle cellule staminali neurali.
In sostanza, le ricerche del suo gruppo si sono concentrate su un aspetto molto specifico della biologia della cellula: si tratta appunto degli exosomi o vescicole membranose extracellulari, particelle di dimensioni molto piccole che si formano dalla membrana cellulare e servono a trasportare e scambiare diversi tipi di molecole tra le cellule. Molti studi sostengono che essi svolgano un ruolo chiave nella regolazione del metabolismo cellulare, delle risposte infiammatorie, della metastatizzazione dei tumori. Ce ne parla lo stesso Stefano Pluchino.
In che cosa consiste esattamente questo studio?
«Da alcuni anni studiamo gli exosomi delle cellule staminali neurali, perché siamo convinti che essi svolgano una funzione importante nei cosiddetti meccanismi di signaling* in condizioni complesse come ad esempio i trapianti, e immaginiamo che il proprio chiarimento dei meccanismi di signaling possa permettere lo sviluppo di protocolli di terapia disegnati attorno alla malattia, e in ultima analisi attorno al paziente. Sono le basi di quella che adesso è nota a tutti come Precision Medicine (“medicina di precisione”)».
Quali sono gli esiti più importanti?
«Abbiamo notato che gli exosomi delle cellule staminali neurali si comportano come delle unità metaboliche completamente indipendenti, veicolando al di fuori del compartimento cellulare multiple attività enzimatiche. Abbiamo identificato un enzima di cui si sapeva pochissimo e non si capiva bene come funzionasse: la asparaginasi-like 1. Questo enzima è una variante selettiva del più noto L-asparaginasi, già utilizzato come terapia adiuvante nel trattamento delle forme acute di leucemia linfoblastica sin da metà degli Anni Settanta. E tuttavia, il problema principale delle L-asparaginasi attualmente approvate per utilizzo in clinica è duplice: si tratta di enzimi ricombinanti ottenuti in batteri, e pertanto intrinsecamente immunogenici [capaci di indurre una reazione immunitaria, N.d.R.], e dotati di attività glutaminasica, ossia in grado di degradare non solo l’asparagina ma anche la glutamina. E l’accumulo di glutamato è il principale responsabile di uno tra i più frequenti eventi avversi registrati, la tossicità epatica [al fegato, N.d.R.], che purtroppo, quando registrato, impone l’interruzione del farmaco».
Quale risvolto può avere questa ricerca nello specifico della sclerosi multipla?
«L’idea è che questa forma enzimatica che abbiamo scoperto possa essere tradotta in nuove terapie, non solo in oncoematologia. Inoltre, le cellule leucemiche da cui siamo partiti sono linfociti tumorali, come linfociti (ma non tumorali) sono anche le cellule verso cui sono stati sviluppati i principali farmaci modificanti la malattia attualmente in uso per le forme a ricadute e remissioni di sclerosi multipla.
La speranza è che estendendo lo studio del metabolismo cellulare anche ai linfociti autoreattivi, ossia quelli che sono coinvolti nella patogenesi delle malattie autoimmuni, si chiarisca il ruolo dei principali percorsi metabolici, si capisca la funzione del metabolismo nella scelta delle funzioni di una cellula, e magari si identifichi una funzione anche per l’asparagina. Inoltre, questa ricerca permette di immaginare di utilizzare gli exosomi come delle nanoparticelle naturali in cui incapsulare enzimi e/o farmaci in generale. In un futuro un po’ più lontano, si potrebbe addirittura pensare di sviluppare anche nanoparticelle del tutto sintetiche, che imitino le principali funzioni degli exosomi, per incapsulare il farmaco desiderato e veicolarlo in vivo nel paziente, nel sito desiderato e alla concentrazione desiderata. Una delle cose che fanno le staminali quando arrivano nel cervello è anche quella di scambiare exosomi con le cellule vicine, che inevitabilmente sono sia cellule del sistema immunitario – linfociti e monociti/macrofagi – ma anche cellule del cervello come astrociti, oligodendrociti, microglia e neuroni».
Da ricordare in conclusione che il gruppo di lavoro coordinato da Stefano Pluchino aveva già identificato un primo meccanismo di signaling cellulare tramite exosomi, basato sullo scambio di recettori di membrana per citochine infiammatorie. Una prima scoperta, questa, pubblicata nel 2014 dalla rivista «Molecular Cell».
*La segnalazione (“signaling”) o comunicazione cellulare è definita come l’insieme di quei processi che permettono il dialogo tra due o più cellule di un organismo in risposta a segnali specifici e comprende anche le vie di segnalazione che si verificano in una cellula in risposta ad un segnale.
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