Da qualche settimana il Programma Interdipartimentale Autismo 0-90 del Policlinico Universitario di Messina, diretto da Antonio Persico, ha messo a disposizione dei pazienti con sindrome di Phelan-McDermid un ambulatorio dedicato, che si occupa di prime visite, day service o di ricoveri, in base alle esigenze di ciascuno.
Si tratta di un positivo risultato, frutto delle proficua collaborazione con l’AISPHEM (Associazione Italiana per la Sindrome di Phelan-McDermid), da parte di Antonio Persico e della propria équipe. (S.G.)
La sindrome di Phelan-McDermid
Prende il nome dai ricercatori Katy Phelan e Heather McDermid, che una trentina di anni fa hanno identificato la prima delezione (perdita) cromosomica 22q13 in un neonato sofferente per lo scarso tono muscolare. Si tratta infatti di una malattia genetica rara causata appunto dalla delezione della porzione terminale (q13) di un cromosoma 22. La delezione comporta quindi la perdita di una copia del gene shank3, che codifica per l’omonima proteina, espressa nel cervello, nel cuore, nel rene e in altri organi.
Il ruolo più importante di tale gene si osserva nel cervello, essendo espresso nelle aree cerebrali coinvolte nei processi della funzioni cognitive. In altre parole, il gene shank3 è la chiave stessa per lo sviluppo del sistema nervoso umano, e la perdita di esso può pregiudicarne il corretto sviluppo.
I sintomi clinici possono essere estremamente variabili, ma il fenotipo comune è caratterizzato tipicamente da un ritardo dello sviluppo motorio e intellettivo. I bambini colpiti regrediscono nella capacità di comunicare, possono manifestare comportamenti autistici, presentare disturbi del sonno ed essere spesso agitati o iperattivi. Oppure manifestano problemi di attaccamento emotivo. In alcuni casi, infine, si presentano crisi epilettiche.
Le persone che hanno ricevuto una diagnosi di sindrome di Phelan-McDermid sono per la maggior parte bambini. Per questo motivo a tutt’oggi non si conosce l’evoluzione clinica della sindrome, né le cause dell’estrema variabilità dei sintomi clinici, né l’incidenza.
(A cura dell’AISPHEM)