«Ci sono tanti pazienti che vagano nella nebbia ai quali non viene riconosciuto il diritto ad avere una diagnosi e una terapia»: Marina Melone, docente di Neurologia che dirige il Centro Interuniversitario di Ricerca in Neuroscienze ed è referente del Centro delle Malattie Rare Neurologiche e Neuromuscolari dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha aperto così il proprio intervento dedicato all’adrenoleucodistrofia (rara e grave malattia metabolica ereditaria, che colpisce principalmente il sistema nervoso), nell’àmbito del 48° Congresso della SIN (Società Italiana di Neurologia), svoltosi il 15 ottobre a Napoli.
Quest’ultimo è stato organizzato dalla citata Università Vanvitelli e dalle varie Neurologie della Regione Campania, anche con il patrocinio del Consiglio dei Ministri, del Ministero della Salute, dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità), della Regione Campania, dell Comune di Napoli e delle Università Federico II e Parthenope.
Dal presupposto indicato da Melone, è nato dunque un progetto triennale che mira, attraverso gli strumenti dell’informazione e della formazione, a rendere possibile una diagnosi precoce, fondamentale per realizzare un’adeguata prevenzione tramite lo strumento dello screening neonatale, oltre a un performante lavoro di rete. Un progetto presentato al Senato e finanziato dalla Regione Campania.
«Con questa iniziativa – ha sottolineato ancora Melone – vogliamo inaugurare un nuovo percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale nell’adrenoleucodistrofia, in modo tale da arrivare all’identificazione precoce delle persone affette, tramite lo screening neonatale e la messa in essere di un’efficace prevenzione. Il progetto ha anche l’ambizione di creare una rete tra le differenti realtà assistenziali presenti sul territorio nazionale e internazionale. In base agli attuali modelli assistenziali, infatti, una malattia come l’adrenoleucodistrofia presenta notevoli complessità e per questo appare fondamentale un’adeguata e continua assistenza, condizione necessaria per un efficace approccio terapeutico, dato che al momento non esiste una terapia che rimuova la causa della malattia, ma esclusivamente un trattamento sintomatico».
«Certamente i risultati migliori – ha concluso Melone – si ottengono in fase presintomatica, pensando alle varie tipologie di trapianto o all’ancora futuribile terapia genica, laddove invece in fase sintomatica esiste il trattamento farmacologico, per curare i sintomi, o dietetico, con la scelta di cibi ricchi di acidi grassi a catena corta, integrati da alimenti speciali (come il celebre “olio di Lorenzo”) e preparati di ultima generazione, che permettono di superare la barriera ematoencefalica e che rappresentano oggi la terapia utile a migliorare la vita dei pazienti».
Tornando alle caratteristiche di questa patologia, essa colpisce i maschi, ma può coinvolgere anche le madri, portatrici della mutazione genetica. Come detto, il principale sistema colpito è quello nervoso, con la distruzione progressiva della mielina, la sostanza che riveste le cellule nervose, ma anche quello endocrino, e in particolare le ghiandole surrenali con la conseguente carenza di alcuni ormoni.
Per altro, l’eterogeneità delle manifestazioni cliniche e la possibilità che esse possano cambiare nel corso della vita delle persone affette, fanno sì che – secondo quanto sottolineano gli esperti – alcune forme possano essere scambiate per altre malattie infiammatorie e degenerative, come è accaduto, ad esempio, anche per la malattia di Schilder, inizialmente classificata come un’encefalite.
«Potremmo rilevare molti casi di diagnosi scambiata (misdiagnosi) nell’àmbito dell’adrenoleucodistrofia, in particolare nei confronti delle donne », ha sottolineato a tal proposito Antonio Federico, professore di Neurologia, direttore dell’Unità Operativa di Neurologia e Malattie Neurometaboliche e del Centro di Ricerche per la Diagnosi, la Terapia e la Prevenzione del Neurohandicap e delle Malattie Neurologiche Rare, oltreché direttore del Dipartimento di Scienze Neurologiche e del Comportamento all’Università di Siena. «Infatti – ha aggiunto – nella diagnosi differenziale delle forme adulte, l’adrenoleucodistrofia viene scambiata per altre malattie infiammatorie e degenerative, come ad esempio la sclerosi multipla, le demenze o la paraparesi spastica. Si tratta di una diagnosi errata dovuta a molti aspetti comuni tra i vari tipi di patologie: in particolare, la sclerosi multipla condivide con l’adrenoleucodistrofia alcuni reperti diagnostici simili, fra cui quelli liquorali. In tal senso, risulta fondamentale chiarire le varie strategie di diagnosi, con l’obiettivo di arrivare alla diagnosi precoce, per un approccio terapeutico adeguato alle differenti fasi di malattia».
È quindi determinante, secondo gli addetti ai lavori, individuare tutti i potenziali portatori della mutazione genetica nelle famiglie a rischio, attraverso la costruzione di “alberi genealogici/genetici”, e tenere conto che attualmente appare difficoltosa non solo la fase della diagnosi, ma anche quella della prognosi, alla luce, come detto, dell’estrema eterogeneità clinica che la patologia comporta, ciò che rende impossibile tratteggiarne in anticipo l’evoluzione clinica, pur conoscendo la mutazione.
Come sosteneva il medico secentesco William Harvey, «non c’è modo migliore di promuovere il progresso della medicina di quello di investire la nostra intelligenza nella scoperta delle leggi fondamentali della natura, affrontando con metodo scientifico lo studio dei casi rari di malattia».
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