Chi, nell’ultima Legge di Bilancio si aspettava un aumento del Fondo per le Non Autosufficienze (FNA) è rimasto deluso. Esso infatti resta immutato: 450 milioni in forza di provvedimenti precedenti, ultimo dei quali, in ordine di tempo, l’incremento previsto dalla Legge di Bilancio dello scorso anno (Legge 11 dicembre 2016, n. 232). A ben vedere, però, la dotazione del Fondo perde 50 milioni rispetto al 2017. Infatti, ai 450 milioni citati, il Decreto-Legge n. 243 del 29 dicembre 2016 incrementava lo stanziamento del Fondo di 50 milioni di euro, portandolo quindi a 500 milioni di euro, ma per il solo 2017. Tuttavia, quei 50 milioni di differenza (per il 2017) sono stati oggetto di alterne vicissitudini. Dapprima, infatti, in forza dell’Intesa del 23 febbraio 2017 tra Governo, Regioni e Province Autonome sul documento concernente il contributo alla finanza pubblica delle Regioni a Statuto Ordinario per l’anno 2017, il Fondo era stato ridotto di 50 milioni causando proteste e malcontento. Di qui l’impegno delle Regioni – con nota formale del 20 marzo 2017, da parte del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome – di integrare, con fondi propri e per un importo pari a 50 milioni di euro, le risorse afferenti al Fondo per le Non Autosufficienze.
Conclusione: per il 2017 sono (erano) disponibili 500 milioni (poi vedremo che la cifra non è esattamente questa) da ripartire fra le Regioni. E infatti è dei giorni scorsi – il 9 febbraio – la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, datato 27 novembre 2017, che ripartisce il Fondo.
Ma quali sono i commenti a questa notizia che a tutta prima appare di normale amministrazione? Ne parliamo con Vincenzo Falabella, presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). «La prima annotazione – dichiara – è legata alla variabile tempo. Negli anni scorsi ci siamo lamentati perché fra l’approvazione della Legge di Bilancio e il Decreto di Riparto del Fondo passavano otto o nove mesi. Per il 2017 è andata ancora peggio: il Decreto, infatti, viene firmato a fine novembre e pubblicato solo qualche giorno fa».
Ma l’importante è che il Fondo venga distribuito, no?
«Chiedetelo alle Regioni se fa o meno differenza che quella parte di Fondo arrivi a marzo o a novembre!».
In effetti questo incide, anche formalmente, sulla programmazione delle politiche e dei servizi e prima ancora sulle esigenze di cassa. Ma perché questo accade?
«Possiamo avanzare qualche interpretazione. Si assommano una serie di tempi tecnici, l’obbligo di acquisire diversi pareri e approvazioni e se questo può essere comprensibile sotto il profilo della correttezza procedurale, è assai meno condivisibile dal punto di vista pratico e operativo. Per questo Decreto, poi, qualcosa in più non è andato per il verso giusto, con delle responsabilità che non sono imputabili al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali».
Presidente, potrebbe essere meno sibillino?
«Quali sono i criteri per la ripartizione di questo Fondo fra le Regioni? La risposta è poco nota. I criteri sono sempre stati due: pesa al 60% la popolazione residente, per Regione, d’età pari o superiore a 75 anni, e al 40% i vecchi criteri usati per il riparto del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (un mix di situazioni di rischio e “fragilità”).»
Ma sono criteri che si usano da anni…
«Sì, però si tratta di criteri molto deboli e aleatori, per aggredire efficacemente il tema delle non autosufficienze, e in ogni caso sono anche gli unici che abbiamo. Questa debolezza è tanto condivisa che nel Decreto di Riparto precedente, finalmente, si è prevista una specifica integrazione e revisione, partendo dalla definizione di disabilità gravissima prevista dallo stesso Decreto. Le Regioni erano chiamate alla rilevazione sui propri territori del numero delle persone con disabilità gravissima».
Questo ora è chiaro, ma in che modo si connette con il ritardo di cui parlava?
«Non tutte le Regioni hanno effettuato la rilevazione. Le risposte si sono attese, dilazionando i tempi, con la conclusione che alla fine il Decreto è uscito con ulteriore ritardo e soprattutto non abbiamo ancora i nuovi e più efficaci criteri».
Quindi cosa succederà adesso?
«A dircelo è il primo articolo del Decreto: nelle more degli esiti della rilevazione si usano i criteri vecchi. Non è un bel segnale: significa che non tutte le Regioni stanno facendo la loro parte con omogeneo impegno e partecipazione».
Qualcuno potrebbe obiettare che proprio grazie alle Regioni il Fondo è stato riportato a 500 milioni…
«500 milioni non sono certo sufficienti per affrontare in modo strutturale, sistematico, efficace il tema che oggi chiamiamo “non autosufficienza” e che domani vorremo fosse indicato come politiche e servizi per il sostegno intensivo. In questo caso specifico le Regioni hanno partecipato, nella loro interezza, ad apportare quella cifra, ma ancora una volta le differenze e le disparità territoriali sono notevoli. In alcune Regioni l’unica destinazione per la non autosufficienza deriva dal Fondo Nazionale per le Autosufficienze. In altre i servizi e l’impegno in politiche e risorse va oltre, è più articolato e diffuso. Ma la preoccupazione di cui dicevo prima è legata al futuro, alla costruzione di un Piano che introduca Livelli Essenziali esigibili in ogni contrada del Paese, un’azione che necessita di una forte e diffusa condivisione delle Regioni».
Ma a che punto siamo con il Piano per le Non Autosufficienze? Lo aveva previsto in modo articolato il Decreto 26 settembre 2016, appunto il riparto dello scorso anno. Sono passati diciassette mesi…
«Sì, è trascorso oltre un anno da quel Decreto. È stato costituito un Tavolo specifico presso il Ministero, ma è necessario accelerare la definizione almeno dell’impianto del Piano stesso, che speriamo riprenda non appena inizierà la nuova Legislatura. Ci servono dei presupposti essenziali. Il primo è ancora che tutti gli attori in campo concordino sull’opportunità di una pianificazione comune. In secondo luogo che vi sia una robusta “copertura” politica e una visione complessiva, che vada oltre il mero finanziamento del Fondo e integri profondamente questo Piano con una più generale politica sulla disabilità. Non è sostenibile a lungo una visione miope basata sulla distribuzione di cento diversi fondi. E infine che vi sia una congruente destinazione di risorse, non solo in chiave di nuove destinazioni, ma anche di razionalizzazione e unificazione di quelle già esistenti».
Ma in diciassette mesi è anche passata parecchia acqua sotto i ponti. Ci riferiamo, ad esempio, alle varie esternazioni del presidente dell’INPS Boeri proprio sulla non autosufficienza, sulla diversificazione e sull’aumento delle prestazioni assistenziali.
«Quando vi sono proposte le analizziamo con attenzione, come abbiamo fatto con questo Decreto di Riparto, evitando di commentare in modo intempestivo. Se vi sono coni d’ombra tentiamo di capire meglio. Ne valutiamo anche i contenuti, per comprendere se sono convergenti con le nostre prospettive incardinate sull’inclusione. Poi però ci vogliono i luoghi praticabili e le occasioni di confronto in cui, in modo paritario, si possa giungere ad un progetto che, oltre ad essere più condiviso, sia anche arricchito dagli angoli prospettici di tutti gli attori in gioco».
Tornando al decreto di riparto del Fondo Nazionale per le Non Autosufficienze, come accogliete la conferma a 15 milioni dello stanziamento per progetti in materia di vita indipendente?
«Estrarre dal Fondo una quota per finalità non strettamente aderenti alle finalità del Fondo stesso è una “forzatura” politica che apprezziamo molto, che nasce dalle nostre istanze e che trova adesione e sponda nel Ministero. Peraltro con le recenti Linee Guida sui progetti di vita indipendente, pubblicate a fine 2017, lo stesso Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha ripreso molte indicazioni che abbiamo espresso in vari contesti e occasioni. Tuttavia rimangono varie perplessità e non tanto sul Decreto di Riparto in sé».
Il Decreto di Riparto va bene rispetto alla vita indipendente? Quali sono i reali ostacoli?
«No, il decreto subisce le consegue dei suoi tempi ritardati: fa ancora riferimento per la vita indipendente al vecchio Programma di Azione Biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, mentre quello nuovo [Decreto del Presidente della Repubblica del 12 ottobre 2017, N.d.R.], ha una prospettiva e una profondità di dettaglio molto superiore. Purtroppo il secondo Programma di Azione, quando è stato firmato il Decreto di Riparto, non era ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale [lo è stato il 12 dicembre 2017, N.d.R.]. E questa è un’altra nefasta conseguenza della variabile tempo. L’altro vulnus è che tutta la progettualità rispetto alla vita indipendente è ancora nell’alveo della sperimentazione. Ricaviamo gli stanziamenti da un Fondo “altro” perché la vita indipendente non gode ancora di risorse proprie e strutturali. In questo àmbito siamo ancora lontani dal traguardo di un livello essenziale. Torneremo alla carica!».
Presidente Falabella, un’ultima domanda che potrà apparire quasi infantile. Abbiamo detto: 450 milioni arrivano dalla legge di bilancio; 50 milioni dalle Regioni. La somma è 500 milioni. Perché allora in Decreto troviamo un totale pari a 513,6 milioni?
«Già: ci sono 13 milioni e 600.000 euro in più. È il valore dello stigma e del pregiudizio. Adesso sappiamo quanto vale. Mi spiego meglio, ma devo tornare indietro. Nel lontano 2012 il Parlamento, a larghissima maggioranza, approvò [comma 109, dell’articolo 1, della Legge 228/12, N.d.R.] l’ennesima campagna di verifica sui cosiddetti “falsi invalidi”: 450.000 visite di controllo in tre anni. Si aggiungevano agli 850.000 controlli già effettuati negli anni precedenti. Il Parlamento, in quel caso, specificò che il ricavato di questo titanico controllo sarebbe confluito nel Fondo Nazionale per le non Autosufficienze. A distanza di due anni, alla conclusione di quella scellerata campagna che tanti disagi ha causato ai cittadini, sappiamo qual è il risultato economico: 13 milioni e 600.000 (su 17 miliardi di spesa annua per le minorazioni civili). Un ricavo di circa 30 euro a controllo… È un castello di bugie, di incompetenze, di strumentali affermazioni che si sgretola sotto l’evidenza dei numeri. Ricordo a tal proposito la copertina della rivista “Panorama”, con l’invalido rappresentato come un “Pinocchio bugiardo”; ricordo le Dichiarazioni agli Atti della Camera secondo cui si poteva ricavare un miliardo contrastando le false invalidità; ricordo le affermazioni ministeriali e di precedenti vertici dell’INPS (ora agli arresti domiciliari) secondo cui un quarto degli invalidi erano falsi. Una campagna mediatica condivisa anche da ricercatori e accademici, oltre che da testate giornalistiche delle più diverse tendenze, a cui la FISH si è opposta strenuamente con documentazioni, proiezioni, dati e cifre. Avevamo ragione noi e oggi qualcuno dovrebbe chiedere scusa, e ammettere pubblicamente l’errore e il danno gravissimo a milioni di persone con disabilità».