Celebrating our Global Community (“Celebriamo la nostra comunità globale”) è stato il tema scelto dalla WFOT, la Federazione Mondiale dei Terapisti Occupazionali, che comprende globalmente 101 Associazioni nazionali impegnate in questo àmbito, per festeggiare la Giornata Mondiale della Terapia Occupazionale del 27 ottobre, occasione per aumentare la visibilità del lavoro di sviluppo della professione.
Per allinearsi ai festeggiamenti, l’AITO (Associazione Italiana Terapisti Occupazionali) ha organizzato proprio per il 27 ottobre a Pescara il convegno intitolato La terapia occupazionale tra appropriatezza ed efficacia: uno sguardo al territorio.
L’attenzione simultanea a problemi multipli e complessi, agli aspetti funzionali e alla qualità della vita e la necessaria interazione tra cure mediche, sociali e di supporto contribuiscono a rendere difficile l’approccio e l’assistenza. L’incremento della disabilità implica inoltre un aumento nella richiesta di servizi finalizzati all’assistenza e al sollievo, nonché una necessaria pianificazione dell’intervento attraverso la giusta utilizzazione delle risorse disponibili. Da un punto di vista clinico, si ha bisogno di un’integrazione di servizi sanitari e sociali finalizzati a realizzare, attraverso diverse figure professionali, un piano di intervento individualizzato, tramite un’adeguata valutazione delle aree problematiche della persona.
I terapisti occupazionali sono professionisti della salute altamente istruiti che hanno una formazione specializzata in componenti fisiche, cognitive e affettive della performance umana. Tuttavia i benefìci della terapia occupazionale non sono ben noti e i terapisti occupazionali spesso non sono riconosciuti per la loro competenza e conoscenza.
L’incremento della spesa per le persone non autosufficienti è destinato a crescere per vari fattori che agiscono tutti nello stesso senso di aggravamento della spesa per lo Stato: in primo luogo l’aumento sia del numero sia dell’età media degli anziani; in secondo luogo la diminuzione della possibilità di assistenza familiare per la diminuzione stessa del numero dei componenti della famiglia. È necessario riconoscere e integrare importanti influenze non cliniche con la medicina basata sull’evidenza, senza compromettere lo standard dell’assistenza sanitaria generale (1).
I dirigenti ospedalieri sono sotto pressione continua per controllare la spesa e migliorare la qualità. La maggior parte degli studi sono concentrati sulla relazione tra la spesa complessiva e la qualità, mentre invece sarebbe utile prendere in esame la relazione tra la spesa per servizi specifici e la qualità, che al contrario ha avuto finora una minima attenzione (2).
In un articolo pubblicato da «The Guardian» il 27 gennaio 2015 (3), il giornalista David Brindle scrive che «sebbene nessun singolo gruppo di professionisti detenga la chiave per il futuro del sistema di assistenza sanitaria e sociale, è discutibile che uno abbia più influenza della maggior parte. Non sono medici, non infermieri, nemmeno gli assistenti sociali – ma terapisti occupazionali o OT (4). […] La terapia occupazionale ha il potenziale per svolgere un ruolo decisivo nel garantire la sopravvivenza del sistema nel 21° secolo. […] Una ricerca mostra che l’assunzione di OT nei dipartimenti A&E (5) degli Ospedali Royal Gwent e Nevill Hall, rispettivamente a Newport e Abergavenny, nel Galles meridionale, impedisce l’ammissione del 50-60% dei pazienti. Un altro studio dimostra che l’analogo utilizzo di OT da parte di NHS (6) nei Dipartimenti A & E nell’area di Edimburgo sta impedendo 100 ammissioni al mese, risparmiando almeno 864.000 sterline all’anno».
Il terapista occupazionale può essere inserito sia nei team domiciliari che negli organigrammi ospedalieri. Nell’ultimo rapporto di Italia Longeva (7) è scritto invece scritto che «i terapisti occupazionali figurano sporadicamente tra l’organico delle ASL o degli enti gestori».
Il terapista occupazionale deve pertanto essere posto nelle condizioni di poter sfruttare al meglio le sue competenze. Dal canto suo, l’AITO ritiene che per garantire una maggior partecipazione e una miglior qualità di vita:
° È necessaria una formazione adeguata alla tipologia di persona che si prenderà in cura.
° È necessaria una formazione adeguata su competenze trasversali, quali la comunicazione e la gestione dei tempi.
° I decisori devono inserire nei calcoli delle durate/costi dei trattamenti anche quelli utili all’incontro tra professionisti e al coordinamento del servizio.
° Il terapista occupazionale ha la capacità di inserirsi in team anche non solo clinici.
° È bene inserire nei progetti di ricerca anche una scala che valuti la qualità di vita e la soddisfazione e una che valuti i fattori economici, da affiancare a quelle funzionali.
Avere un terapista occupazionale nel proprio team non è solo un costo in più, ma un investimento che si nota nel tempo. Certo, non è facile far procedere in parallelo qualità di cura, costi e attenzione verso il paziente. Eppure occorre tenere a mente il concetto di partecipazione espresso nell’ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.], ovvero «il coinvolgimento di una persona in una condizione di vita». Esso rappresenta la prospettiva sociale del funzionamento e la partecipazione è anche scelta del percorso che si vuole seguire.
Nel Codice Deontologico del Terapista Occupazionale è scritto che «il proprio intervento si fonda sulla rilevanza della performance occupazione rispetto al livello di partecipazione e qualità di vita della persona». Inoltre, si legge nel Decreto Ministeriale 136/97 [“Regolamento concernente la individuazione della figura e relativo profilo professionale del terapista occupazionale”, N.d.R.]: «Individua ed esalta gli aspetti motivazionali e le potenzialità di adattamento dell’individuo, proprie della specificità terapeutica occupazionale».
I terapisti occupazionali dispongono di programmi di educazione terapeutica e counseling di gruppo, tra i quali quelli per la promozione di un invecchiamento attivo, per il miglioramento della gestione di specifiche malattie croniche, per la prevenzione di complicanze o ospedalizzazioni (ad esempio riduzione del rischio di cadute), per il recupero e il mantenimento di abilità e competenze.
E ancora, i terapisti occupazionali analizzano le richieste delle attività che sono significative per la persona e agiscono per adattarle alle abilità residue e alle sfide poste dalle attività stesse e dall’ambiente. A tale scopo possono fornire raccomandazioni su come risparmiare le forze, ridurre o prevenire il dolore, semplificare le attività, migliorare la sicurezza e facilitare il funzionamento dentro e fuori casa.
Il terapista occupazionale, infine, tiene in considerazione, valuta e interviene su vari aspetti, partendo appunto dalla storia di vita, ma soprattutto occupazionale, della persona, per capire quali erano i suoi ruoli di vita precedenti, come li svolgeva, quanto tempo dedicava ad essi, quali sono le occupazioni di vita che più gli interessa ritornare a fare, passando per le funzioni fisiche e cognitive, rapportandosi con l’ambiente/contesto (fisico, istituzionale, culturale, sociale), con gli aspetti psicologici e comportamentali come il tono dell’umore, con le esperienze pregresse, con la frustrazione, la motivazione, le emozioni, la percezione degli altri e di se stessi e con il comportamento, tutte cose che possono facilitare oppure ostacolare lo svolgimento dell’occupazione desiderata da parte del paziente.
Il presupposto è che quando la persona sfrutta al meglio le sue capacità e riesce a rapportarsi e muoversi nel proprio ambiente, la persona stessa sperimenta una migliore qualità della vita.
Come riconosciuto, i bisogni sono aumentati e, oggi, tutte le figure sono necessarie assieme per garantire il più a lungo possibile il “ben-essere” della persona e di conseguenza dell’intera comunità. E tutte dovrebbero essere messe in condizioni di poter dare il proprio contributo.
Maggiori studi, audit mirati e inclusivi delle diverse professioni, sono necessari per mostrare le evidenze di costo efficacia anche in Italia, per poter poi presentare prove di efficienza importanti anche nel territorio nazionale. Per fare questo è necessario che ci sia fiducia nella professione, o coerenza tra linee guida e requisiti di accreditamento, o tra requisiti e assunzioni e sistemi di valutazione appropriati.
Note:
(1) F.M. Hajjaj, M.S. Salek, M.K. Basra, A.Y. Finlay, Non-clinical influences on clinical decision-making: a major challenge to evidence-based practice, in «Journal of The Royal Society of Medicine», 2010: 103, pp. 178-187.
(2) A.T. Rogers, G. Bai, R.A. Lavin, G.F. Anderson, Higher Hospital Spending on Occupational Therapy Is Associated With Lower Readmission Rates, in «Medical Care Research and Review», vol. 74, Issue 6, 2017.
(3) D. Brindle, ‘Punching above their weight’: the impact of occupational therapists, in «The Guardian», 27 gennaio 2015.
(4) OT è l’acronimo riferito ai terapisti occupazionali nei Paesi anglosassoni. In Italia, per consuetudine, viene utilizzato TO, da non confondersi con T.O., acronimo dei tecnici ortopedici.
(5) A&E sta per Accident & Emergency, ovvero il nostro Pronto Soccorso.
(6) Il National Health Service (NHS) è il sistema sanitario nazionale in vigore nel Regno Unito. Ognuna delle quattro parti costituenti la Gran Bretagna (Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda del Nord) possiede un proprio NHS che, pur avendo linee guida comuni, mantiene una propria fisionomia particolare sotto gli aspetti manageriale, finanziario e operativo.
(7) D.L. Vetrano, K. Vaccaro, La Babele dell’assistenza domiciliare in Italia: chi la fa, come si fa, Italia Longeva, 2017, p. 28.