Aeroporto di Bologna dietro alla lavagna!

«Due voli persi, ore di attesa e la testa riempita di motivazioni confuse e contraddittorie. Siamo state trattate con paternalismo e arroganza, come “casi medici”, facendo passare molto chiaramente il messaggio che se sei disabile tu con il tuo corpo sei un problema, un cliente di serie B al quale puoi dire qualunque cavolata senza conseguenze. E pensare che, ironia della sorte, stavamo andando in Irlanda per una Summer School sul tema “Legge e disabilità”! Ma ce la siamo persa…». Così Elena Paolini racconta la disavventura vissuta all’Aeroporto di Bologna con la sorella Maria Chiara

Maria Chiara Paolini all'Aeroporto di Bologna, giugno 2019

Maria Chiara Paolini in (vana) attesa all’Aeroporto di Bologna, poco prima di un check-in che non c’è stato

Nello scorso fine settimana all’Aeroporto di Bologna non ci hanno fatto volare! Tra l’altro, ironia della sorte, con mia sorella Maria Chiara eravamo state selezionate per frequentare una Summer School di una settimana in Irlanda, sull’argomento Legge e disabilità… E in ogni caso, ce la stiamo perdendo.
In realtà non ci è ancora del tutto chiaro il perché ci abbiano negato l’imbarco per due giorni di fila. Non ci è chiaro cosa abbia fatto emergere problemi così insormontabili, considerate tutte le volte che avevamo volato in precedenza. Quello che è chiaro è che in questo caso le persone con disabilità non sono state trattate come veri clienti: forse ci si aspetta che ci genuflettiamo costantemente e che non abbiamo cognizione dei nostri diritti?

Il primo giorno, dunque, al check-in ci hanno presentato tre motivi per cui non avremmo potuto volare, con tanto di dita alzate per indicare i numeri: numero uno, le batterie delle carrozzine; numero due, la preoccupazione per quale posizione potessimo assumere sul sedile; numero tre, il fatto che non avessimo mandato la documentazione in anticipo.
Ebbene, le batterie avevano ricevuto l’approvazione per volare (oltre che da vari viaggi precedenti) dalla compagnia aerea, informata per e-mail. Eppure lì al check-in continuavano a dirci che non andavano bene. Alla richiesta del perché, non sapevano rispondere e cambiavano argomento.
Riguardo poi alla posizione in aereo, noi di solito viaggiamo stese, ma stavolta ci hanno detto che non era permesso. Però possiamo anche stare sedute durante il volo, anche se con molto meno comfort, ed eravamo pronte a farlo. Ma non ci hanno creduto, hanno chiesto un certificato medico che lo attestasse e noi glielo abbiamo fornito. Non gli andava ancora bene. Dovevamo contattare la compagnia per e-mail e compilare un lungo modulo per farci dire da un medico in Germania se fossimo “idonee a volare”! A quel punto, però, ci era finito il tempo.
Per quanto riguarda infine la documentazione in anticipo, non ci hanno saputo dire chiaramente che cosa avremmo dovuto mandare. «Dovevate mandare la documentazione almeno 48 ore prima del volo, ora è tardi». Ho chiesto allora quale documentazione, visto che le informazioni richieste quando viaggi con una carrozzina elettrica erano state mandate al momento della prenotazione. «Eh, tutto il possibile!», mi hanno risposto, rimanendo sul vago. Forse si aspettavano che essendo disabile disponessi necessariamente di miliardi di documenti, oppure che me li dovessi inventare?

A ogni nostra risposta logica che smantellava i loro argomenti arrivava un’altra obiezione, a cascata, facevano a gara a chi la diceva più grossa: persino rimproveri sul fatto che le schede tecniche delle batterie (che noi abbiamo fatto vedere, pur non essendo obbligatorio) se mostrate dal cellulare non erano valide, perché dovevano essere cartacee; o anche dubbi sulla nostra competenza linguistica in inglese.
Quando ho detto a un responsabile: «questa è discriminazione», lui mi ha risposto: «Eh no, eh no, non è vero, non la chiami discriminazione, non è corretto che mi dica così, lo dice per attaccarsi a qualcosa. Se dice così me ne posso anche andare».

Il sabato tutti davano la responsabilità alla compagnia aerea che, a quanto riferito, sentendo «la situazione», aveva impedito l’imbarco. Ma il giorno dopo, prenotato un altro volo con un’altra compagnia, è apparso chiaro che l’impedimento veniva (anche) dall’aeroporto.
Altri operatori che il giorno prima erano stati gentili e normali, alla domenica erano prevenuti, evasivi e scostanti. Poi, un’impiegata mai vista prima a cui chiedevamo un’informazione che non c’entrava col viaggio si è lasciata sfuggire «Ah, ma voi siete quelle… ehm… cioè… che aspettate da tanto».
Inoltre due hostess di passaggio hanno mostrato di conoscere quello che era successo il giorno prima: buffo e inquietante.

In sostanza: due voli persi, una notte in albergo, ore di attesa e la testa letteralmente riempita di stronzate. Siamo state trattate con paternalismo e arroganza, come “casi medici”, patologizzate, guardate come bestie strane.
Ci sono state lanciate motivazioni confuse e contraddittorie, mentre ci facevano pesare il fatto stesso che fossimo lì («ho altri casi, ho poco tempo, non ci siete solo voi»), facendo passare molto chiaramente il messaggio che se sei disabile tu con il tuo corpo sei un problema, un cliente di serie B al quale puoi dire qualunque cavolata senza conseguenze, giocando a fare il medico o il poliziotto.

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