Il 27 ottobre scorso è stato firmato dai ministri della Salute Speranza e dalla ministra dell’Università e della Ricerca Messa il Decreto Attuativo previsto dall’articolo 33 bis del Decreto Legge 104/20, convertito nella Legge 126/20. Il provvedimento (disponibile a questo link) stabilisce il ruolo e le funzioni dell’educatore professionale sociopedagogico nell’àmbito dei presìdi socioassistenziali, sociosanitari e della salute.
Su tale materia riceviamo e ben volentieri pubblichiamo le riflessioni di Carlo Hanau, presidente dell’APRI (Associazione Cimadori per la ricerca italiana sulla sindrome di Down, l’autismo e il danno cerebrale).
Grazie soprattutto all’impegno della senatrice Vanna Iori, è stata finalmente specificata la norma sugli educatori professionali sociopedagogici in un Decreto Attuativo, che espressamente nomina anche la disabilità come campo di attività di tali figure.
Si pensi ad esempio a quei molti casi di autismo, dove l’educazione è la terapia efficace, poiché una medicina, per quei casi, purtroppo non è stata ancora inventata. In tal senso gli educatori professionali sociopedagogici potranno svolgere il proprio compito specializzandosi con un breve corso sullo specifico dell’ABA (Analisi Comportamentale Applicata), nelle strategie indicate dalla Linea Guida n. 21 (Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti) dell’Istituto Superiore di Sanità e avendo come guida uno psicopedagogista esperto sull’autismo che negli Stati Uniti e in altri Paesi si chiama supervisor e non è uno psicoterapeuta.
I bambini con grave disabilità mentale, cognitiva e/o comportamentale molto precocemente (asilo e scuola dell’infanzia) devono essere abilitati (non riabilitati) alla comunicazione e alle autonomie quotidiane con l’educazione speciale, prima ancora di parlare di programmi ministeriali di formazione accademica.
Le famiglie conoscono bene l’importanza degli educatori, fondamentale in questi casi, e non si può certo pretendere che le molte ore di intervento intensivo necessarie vengano svolte da un educatore professionale sanitario, il cui numero in Italia è molto scarso. Gli educatori sociopedagogici sono molti di più e possono lavorare sul bambino insieme ai suoi insegnanti.
Occorre in sostanza evitare la sanitarizzazione della persona con disabilità e la “trappola” dell’Istituto Superiore di Sanità che raccomanda gli antipsicotici per i bambini con autismo, senza richiamare le regole dettate dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco).
Esiste una sequenza da seguire: prima si deve tentare con l’educazione speciale fatta da persone esperte per le ore dovute e poi, soltanto se questa si rivela impossibile, si aggiungono gli psicofarmaci, che potrebbero consentire l’inizio fruttuoso dell’educazione stessa.
In questi casi complessi occorre per altro avvertire i genitori degli effetti collaterali dei farmaci (ed essi devono firmare l’accettazione dei rischi), oltre agli educatori e a coloro che si curano del bambino. Dal canto suo il medico prescrittore deve seguire con attenzione l’evoluzione dello stato di salute, con frequenti controlli, interrompendo l’uso dei farmaci appena possibile. Se viene superato il periodo di tempo indicato nel foglietto illustrativo, l’attenzione e il numero delle visite di verifica del medico prescrittore deve aumentare, per non incorrere nella responsabilità di dovere pagare i danni.
Vale senz’altro la pena riprendere a questo punto quanto indicato nel 2013 dal NICE, l’Istituto Nazionale per la Salute e l’Eccellenza nella Cura del Regno Unito, nelle Linee Guida sul trattamento e l’assistenza ai bambini e agli adolescenti con autismo (Autism: the management and support of children and young people on the autism spectrum – NICE Clinical Guideline 170). Se ne riporta appunto qui di seguito, tradotto in italiano, il paragrafo che interessa in questa sede:
«Interventi per i gravi comportamenti problema: prendere in considerazione la terapia con antipsicotici per trattare i comportamenti esplosivi, quando gli interventi psicosociali o altri interventi siano insufficienti o non possano essere praticati a causa della severità del comportamento.
I farmaci antipsicotici dovrebbero essere prescritti inizialmente e monitorati da un pediatra o da uno psichiatra che dovrebbe: identificare il comportamento bersaglio; decidere una misura appropriata per monitorarne l’efficacia, includendo la frequenza e la severità del comportamento e la misura dell’impatto globale dello stesso; rivedere l’efficacia e ogni effetto collaterale del farmaco dopo tre o quattro settimane; sospendere il trattamento se non ci sono segni di una risposta clinicamente importante dopo sei settimane».