In un sabato pomeriggio di fine novembre, mentre fuori piove ed è ormai buio, mi accingo a intervistare telefonicamente Angela Trevisan, una vivace ed esuberante donna torinese. Non è un’intervista formale, ma la definirei una piacevole e illuminante chiacchierata fra amiche, in cui vengono toccati concetti fondamentali e di vitale importanza per tutti noi.
Io ed Angela ci conosciamo da poco tempo, ma siamo entrate subito in una bella sintonia emotiva e di energia. Così, bastano piccoli input da parte mia perché Angela racconti con scioltezza, chiarezza e vivacità espressiva alcuni passaggi importanti della sua vita.
È piacevole , per me ,ascoltare la sua voce musicale, effetto anche, dell’accento piemontese, così regale ed elegante, io, “romana de Roma” e abituata a toni meno “raffinati”.
Angela, partiamo! Raccontami qualche cosa di te, chi sei? Come ti descriveresti?
«Sono una donna che ama stare in mezzo alla gente, scoprire mondi nuovi, nuove attività. Ad esempio l’altro giorno sono stata in un gruppo musicale, in cui hanno il progetto di creare un’orchestra per disabili. Io ero stata selezionata per cantare. Poi, non so per quale errore, mi hanno messa alle percussioni. Io non mi sono tirata indietro, come magari avrebbero fatto molte persone, sottolineando che c’era un errore, ho voluto mettermi in gioco e, debbo dire, mi sono proprio divertita. Anche l’insegnante di percussioni era emozionato per come me la cavavo e i suoi occhi brillavano di commozione; questo, almeno, è quanto mi ha assicurato la mia amica Elisa che mi ha accompagnata. Il maestro continuava a ripetermi: “È bello sentirsi ascoltati”, assicurandomi che è una qualità non comune, dato che normalmente i musicisti suonando procedono per conto loro, non curandosi di ciò che fanno i loro vicini. Pertanto ho scoperto in modo del tutto casuale di essere dotata di un talento musicale, ciò che mi riempie di gioia, anche perché avrei sempre desiderato suonare uno strumento. La musica è per me una grande valvola di sfogo. Poi, vedremo, quale ruolo mi affideranno nell’orchestra.
Mi piace anche moltissimo studiare, con perseveranza e passione, e infatti mi sono laureata in Lingue e Letterature Straniere, nell’ormai lontano 2005. Ho scritto anche una mia autobiografia [“Io non mi schiodo. Diario di una donna determinata”, Alfa Edizioni, 2019, N.d.R.], nonostante io non veda e non cammini. Incredibile, ma vero, faccio parte di un gruppo di danza in carrozzina.
Per me non esistono barriere invalicabili, perché, molto spesso, le barriere sono dei limiti mentali, che ci mettiamo noi o che sono gli altri ad attribuirci. Secondo me, le barriere fisiche, come uno scalino, ad esempio, sono meno difficili da superare rispetto alle barriere sociali, perché se una persona prova difficoltà a relazionarsi con chi ha una diversità, allora è veramente complesso oltrepassare questo limite. Sono disabile, non intendo certo negarlo. La disabilità fa parte di me, è “un’amica” che mi tiene compagnia, ma come amo sempre dire, “sono parte del mondo e non un mondo a parte”. Certamente ho bisogno di qualcuno che mi aiuti, anche nelle più piccole azioni della vita quotidiana, tuttavia l’autonomia è molto legata alla capacità che si ha di chiedere aiuto alle persone giuste e al momento giusto, cioè a chi può fornirti un sostegno, piuttosto che un altro.
Questa è una grande lezione che ho imparato da una mia amica psicologa, anche lei in carrozzina come me, che mi ha insegnato il valore del chiedere e soprattutto del saper chiedere, ciò che non è né scontato, né semplice.
Se vogliamo avvicinarci il più possibile ad avere risposte positive di aiuto, dobbiamo imparare a chiedere a chi può essere in grado di fornircelo o per sua peculiarità, o per similarità di interesse. Ad esempio, se desidero andare al cinema e vedere un film horror, dovrò chiederlo a chi ha il mio stesso interesse, così avrò più possibilità di ricevere una risposta positiva. Naturalmente la persona a cui lo sto chiedendo dovrà sentirsi libera di dirmi di no e non rispondermi in modo positivo per forza, solo per paura che davanti ad un rifiuto io possa rimanerci male. Anzi io accetterò quel “no”, apprezzando la franchezza di tale persona e rafforzando il mio rapporto con lei, proprio grazie a questa sua qualità. Naturalmente non mi arrenderò e continuerò a cercare chi sarà in grado di fornirmi l’aiuto richiesto».
Angela, tu oggi sei una donna adulta e sei arrivata a maturare questo tipo di pensieri, di convinzioni, cosa ti ha portata ad essere ciò che sei?
«Fondamentalmente due cose. La prima è rappresentata dal fatto che i miei genitori non si sono mai vergognati del giudizio della gente, dove andavano loro c’ero sempre anche io. Mi hanno sempre incoraggiata a sperimentarmi e questo mi è stato di grande aiuto, perché ha contrastato una frase, una convinzione che mi ha accompagnata fin da piccola e cioè “non ce la farai mai!”.
La seconda cosa che mi è stata di grande aiuto, è la Fede, il credere in qualcosa che va al di là dell’essere umano, per me è come una dinamo, è quella forza che mi porta ad andare avanti e a vedere tutte le cose con una luce differente».
Date le tue problematiche, qual è stato il tuo rapporto con i medici, proprio in merito a questo “potercela fare”, a poter riuscire nella vita?
«Loro vedevano in me un po’ la “gallina dalle uova d’oro” su cui poter fare esperimenti, degli interventi, provare nuove cure. Ovviamente, spesso, queste medicine, queste cure, erano a pagamento. I miei genitori hanno compiuto diversi “viaggi della speranza” all’estero, anche indebitandosi, perché credo sia abbastanza normale il non riuscire a rassegnarsi ad avere una figlia non vedente e che non cammina, con dei problemi alle mani, anche se di entità più lieve (io leggo il Braille solo con la mano sinistra).
Voglio ricordare un’esperienza negativa con un sanitario, ai tempi delle scuole medie il quale ci aveva illuso che grazie ad un complesso ed economicamente caro intervento alle gambe avrei potuto camminare. I miei genitori, come dicevo, erano disposti a tutto e pagavano per ogni tipo di intervento compiuto dai sanitari. Questo dottore, nello specifico, non esitava a proporre esperimenti, pur nella consapevolezza della loro inutilità».
Come hai accennato, hai scritto un libro in cui racconti molto di quanto qui mi stai narrando. Io l’ho letta, quella tua autobiografia, e ho apprezzato il modo in cui fai entrare il lettore, gradualmente, in quella che è stata la tua non facile vita. Mi racconti come è nata l’idea di scrivere un libro?
«Il libro si intitola Io non mi schiodo. Diario di una donna determinata, un titolo che ben riassume la mia indole, il mio carattere. Infatti, se io ho un obiettivo, sarà difficile che rinunci. Soltanto se riscontrerò, io stessa, delle difficoltà, mi fermerò. Non riusciranno certo gli altri a farmi rinunciare, sono una donna molto determinata.
Nel libro ho tracciato le tappe più importanti della mia vita. Si tratta di un’autobiografia, quindi si parte dalla mia nascita, con tutte le difficoltà che ho dovuto affrontare. Il fatto che io non cammino e non vedo sono stati causati da errori medici. Sono nata di sei mesi e mezzo, e nell’incubatrice, a causa del troppo ossigeno, ho subito il danno irreversibile al nervo ottico. I dottori non avevano capito che eravamo in due, nella pancia di mia mamma, e purtroppo, per indagini poco idonee, il mio gemello non ce l’ha fatta e io ho riportato danni agli arti inferiori.
Ho delineato tutte le varie tappe, da quando sono stata ricoverata alla Fondazione Robert Hollman, in cui hanno cercato di farmi recuperare la manualità: tante terapie, ma anche tanto divertimento, perché era una struttura per bambini non vedenti pluriminorati.
Poi ho frequentato le elementari nella scuola del mio paese, Leini, alle porte di Torino, in cui purtroppo non c’era nessuno in grado di insegnarmi il Braille. Fortunatamente ho frequentato la scuola media per ciechi dove ho imparato l’alfabeto, ad utilizzare la macchina da scrivere e poi il computer. Successivamente ho frequentato il liceo linguistico e quindi l’Università, sempre misurandomi con ovvie difficoltà, ma andando avanti con determinazione e coraggio.
Ho cercato di scrivere questo libro un po’ in chiave ironica e quindi raccontando degli episodi divertenti della mia vita, come l’Angela che fuma la prima sigaretta con l’insegnante di lettere, oppure l’Angela che si ubriaca nel cuore di Londra, cantando La società dei magnaccioni con un gruppo di romani che erano nel college assieme a me, e anche l’Angela che si innamora. Ho scelto questa modalità poiché non ritengo giusto dare sempre l’immagine stereotipata del disabile chiuso in casa, bisognoso di aiuto, in quanto non è così. Noi disabili siamo prima di tutto persone che vogliamo vivere la vita al meglio, nel mondo, facendo le cose che fanno gli altri, per quanto ci è possibile. Io però debbo dire che non avrei voluto scrivere questo libro, perché non mi sentivo portata e allo stesso tempo non credevo di avere compiuto chissà quali cose straordinarie.
La mia vita, secondo me, è quella di una persona che ha sempre cercato di vivere al meglio, ritenendo la vita un dono stupendo, meraviglioso, che vale sempre la pena di essere vissuta, nonostante gli alti e bassi, le difficoltà che si incontrano ogni giorno.
Ci sono stati dei miei amici a cui, raccontando determinati episodi, mi hanno detto che ne avevo passate talmente tante che avrei potuto scrivere un libro. Quindi mi hanno invogliata e mi sono appassionata all’idea.
Diciamo che il motivo principale per il quale l’ho scritto è stato quello di cercare di aiutare tutte quelle persone che ritengono la vita poco interessante, che magari si lamentano per cose piccole, o che trovano la propria vita vuota, priva di costrutto. Quindi ho cercato di trasmettere loro, con questo mio libro, un po’ di energia positiva. Debbo dire che la mia soddisfazione più grande è stata quella di incontrare persone che, dopo aver letto la mia autobiografia, hanno ritrovato una maggiore voglia di vivere. C’è ad esempio una persona che conosco, che quando va in ospedale, si legge alcuni passi del mio libro e trae la forza per fare le chemio.
Per me scrivere è una grossa valvola di sfogo, mi aiuta a mettere a nudo i miei sentimenti, le mie emozioni».
In merito a questo, Angela, tu scrivi anche dei racconti?
«Sì, certo. Ho creato una pagina Facebook che si intitola Racconti a Ruota Libera, con l’allusione al fatto che scrivo un po’ quel che mi viene in mente e dall’altra parte riferendomi al mio vivere sulle ruote, perché mi muovo in carrozzina.
Poi insieme a te, Laura, abbiamo in cantiere il progetto di una pagina Facebook, per unire le nostre menti “vulcaniche”, attraverso la quale potremo dare maggiore sfogo alla nostra interiorità».
Come vorresti concludere questa nostra chiacchierata?
«Vorrei rivolgermi soprattutto ai giovani e a tutte quelle persone che stanno attraversando dei momenti difficili, mi sento di dire: cercate di cogliere il positivo che ogni giorno la vita ci offre. Per positivo può esserci un sorriso, il profumo di un fiore, la bellezza del sole che sorge, la telefonata inaspettata di un amico. Cercate di vedere il positivo e non il negativo e cogliete la meraviglia di questo dono stupendo che è la vita.
Spero proprio che da questa intervista e dalla lettura del mio libro, le persone possano trarre un messaggio di positività ed energia positiva».
Grazie Angela.