Ha suscitato forti reazioni la proposta del Partito Democratico al Meeting di Rimini di rendere obbligatoria la scuola dell’infanzia, al punto da avere suscitato fischi.
Può sembrare assurdo che una proposta di maggiore educazione e istruzione susciti una simile reazione, ma gli interventi volti a rendere obbligatorie le riforme scolastiche hanno sempre suscitato ripulse, basti pensare alla proposta di valutazione dei docenti di qualche decennio fa, che costò il posto di Ministro dell’Istruzione al proponente.
Eppure qui, a mio avviso, la spiegazione è meno semplicistica. L’ambiente del tradizionale convegno di Rimini, infatti, è costituito in prevalenza da cattolici moderati, se non di destra, ricordando ad esempio il lungo applauso riservato all’onorevole Meloni. Ora, proporre l’obbligo della scuola dell’infanzia ad un ambiente il quale ha molto a cuore l’idea che, specie nei primi anni, debba essere solo la famiglia il principale, se non l’unico, soggetto educativo dei bimbi, è, a dir poco, un’impresa temeraria. Si aggiunga inoltre che il mondo cattolico in generale ha istituito molte scuole dell’infanzia paritarie che vedrebbero come concorrenziali quelle statali, se imposte per legge.
Vero è che esiste la parità scolastica garantita dalla Costituzione, ma le scuole dell’infanzia statali obbligatorie sarebbero gratuite per gli allievi a differenza di quelle paritarie le quali, sia pur con tutte le agevolazioni date alle famiglie economicamente svantaggiate, devono comunque assicurarsi una copertura economica dei costi.
Pertanto, in una simile situazione, a mio avviso sarebbe stato più opportuno (e lo sarebbe ancora) parlare non di obbligo, ma di diritto alla scuola dell’infanzia e ciò non tanto per una pura questione terminologica, ma per una visione più realistica del significato dei diritti rispetto all’idea che suscita il concetto di diritti soggettivi.
Infatti, mentre l’obbligo evoca in sostanza l’idea di un’imposizione, il concetto di diritto soggettivo evoca l’idea di una pretesa da avanzare se lo si desidera. Quindi, lungi dall’essere visto come un’imposizione, il diritto soggettivo è visto come un potere da esercitarsi liberamente.
Ciò ad esempio è avvenuto per gli allievi e le allieve con disabilità, per i quali gli interventi educativi precoci sono fondamentali. Nessuno ha mai parlato per loro di obbligo, se è vero che gli estensori della Legge 104/92, all’articolo 12 (commi 1 e 2) hanno scritto che gli alunni con disabilità hanno «diritto all’educazione ed all’istruzione dalla scuola dell’infanzia [allora materna] sino all’Università». In tal modo le famiglie, molto protettive, sono state orientate, educate e convinte a portare i propri bimbi e bimbe alla scuola dell’infanzia, un lavoro, questo, che è stato graduale e che continua ancora, ma che vede ormai il numero di bambini con disabilità che accedono alla scuola dell’infanzia crescere sempre, anche al Sud d’Italia.
Se si proponesse lo stesso diritto a tutti i bimbi d’Italia, penso che si potrebbe ottenere in tempi brevi lo stesso risultato positivo anche per tutti loro, in modo spontaneo e senza ripulse.