È partita in questi giorni e si protrarrà fino al 4 dicembre la campagna di sensibilizzazione denominata DONNE + DONNE AI MARGINI DELLA PREVENZIONE. Siamo tutte legate dallo stesso nastro*, promossa dall’Associazione Culturale DONNE + DONNE di Sassari, attiva da anni nell’informazione, in particolare tramite immagini fotografiche, per la sensibilizzazione alla prevenzione del tumore al seno e della salute delle donne.
A collaborare alla campagna vi è l’ANFFAS Sardegna (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), presente da oltre sessant’anni nell’Isola, che si occupa, com’è noto, dei diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie, nonché della promozione dei princìpi di pari opportunità e non discriminazione, contribuendo a costruire una cultura basata sul rispetto della dignità di ogni persona. In particolare, l’ANFFAS sarda è impegnata a garantire per tutti i cittadini e le cittadine con disabilità intellettiva e del neurosviluppo il diritto all’autodeterminazione, all’autorealizzazione, alla partecipazione e piena inclusione nella società, assicurando loro “centralità” e “protagonismo”.
Tramite dunque l’affissione di una serie di manifesti nelle strade cittadine, la campagna DONNE + DONNE AI MARGINI DELLA PREVENZIONE mira a richiamare l’attenzione sull’esigenza di assicurare percorsi di prevenzione della salute e cura per tutte le donne, comprese quelle con disabilità, che insieme alle altre compaiono anch’esse nella foto del manifesto, recando il messaggio «Siamo tutte legate dallo stesso nastro. Per donne speciali chiediamo speciali percorsi di prevenzione e cura». «Infatti – sottolineano dall’ANFFAS Sardegna -, con riferimento al diritto alla salute, le ricerche sul campo evidenziano che per le donne con disabilità esso è costantemente minato da barriere od ostacoli riconducibili a diversi profili: luoghi ed attrezzature inaccessibili, personale non preparato a comunicare con la persona con difficoltà cognitive o comportamentali, organizzazione dei tempi di attesa troppo lunghi prima della visita: si pensi ad esempio a una donna con disturbo dello spettro autistico e all’incapacità di stare ferma in un luogo sconosciuto».
Tali temi sono stati oggetto di studio nell’àmbito del convegno denominato anch’esso DONNE + DONNE ai margini della prevenzione, tenutosi all’inizio di aprile a Sassari, organizzato dall’Associazione DONNE + DONNE e al quale l’ANFFAS Sardegna ha contribuito, presentando un’indagine riguardante le donne con disabilità che ad essa afferiscono. Un incontro, quello di aprile, che ha aperto la strada all’attuale campagna di sensibilizzazione.
«Relativamente alle criticità che caratterizzano il diritto alla salute delle donne con disabilità – ricordano dall’ANFFAS Sardegna -, le stesse erano state affrontate, in epoca pre-pandemia, anche dal Parlamento Europeo, con la Risoluzione del 29 novembre 2018, ove si segnalava tra l’altro che “il 13% delle donne con disabilità lamentano di non vedere soddisfatti i propri bisogni medici, mentre nel caso delle donne senza disabilità tale percentuale è pari al 5%”. La stessa Risoluzione sottolineava anche «che i tassi di tumore al seno per le donne con disabilità sono molto più elevati di quelli della popolazione femminile in generale, a causa della mancanza di apparecchiature di screening e diagnosi adeguate e della mancanza di campagne di sensibilizzazione e diffusione di informazioni in formati accessibili alle donne con disabilità sulla prevenzione e la cura delle patologie femminili”».
«In Italia – proseguono dall’Associazione – abbiamo dei dati non troppo recenti sul fenomeno, ma dal Rapporto OsservaSalute 2015 dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, era emerso come si sottoponesse al Pap Test il 67,5% di popolazione femminile e solo il 52,3% di donne con disabilità. Quanto alla mammografia, le percentuali erano rispettivamente del 75% contro il 58,5%. Su questi dati incide sicuramente l’organizzazione dei servizi sanitari e la loro accessibilità che, secondo un approccio sistemico, non è intesa esclusivamente come problema di carattere architettonico, ma come condizione necessaria a rendere gli ambienti e i servizi in questione all’interno di un sistema complesso coordinato, funzionante e capace di renderli fruibili e utilizzabili da tutti, prevedendo, ad esempio, strumenti diagnostici accessibili anche alle donne con disabilità e servizi di assistenza personale. Se pensiamo poi alle donne con disabilità di tipo cognitivo e relazionale, è necessario che il personale sanitario sappia relazionarsi alla persona con specifici accorgimenti, ad esempio utilizzando un linguaggio semplice o immagini; se invece la persona ha una paraplegia o una tetraplegia, dovrebbe usufruire di un lettino regolabile in altezza o di un mammografo in grado di scendere verso il basso sino al livello della sedia a rotelle; se infine ha una cecità o un’ipovisione, sarebbe necessario fornire eventuali istruzioni sull’uso dei farmaci prescritti su supporti e in formati utilizzabili in modo autonomo anche da parte di chi ha problemi visivi».
«Parlando quindi di accessibilità e di diritto alla salute – proseguono dall’ANFFAS Sardegna – è importante porre l’attenzione sia sull’ambiente che sull’interazione e la relazione tra pazienti e personale sanitario, con una visione che permetta l’effettiva partecipazione delle persone. Si apre in tal modo la questione della formazione dei medici in tema di disabilità. Poter contare infatti su operatori preparati nella comunicazione con le disabilità sensoriali o cognitive, evitando l’improvvisazione o la buona volontà dei singoli, è un requisito imprescindibile per l’erogazione di servizi sanitari di qualità capaci di far sentire le persone accolte e benaccette. Oltre all’organizzazione dei servizi, è necessario poi analizzare un altro elemento importante che incide sul fenomeno e che ha a che fare con aspetti più culturali e con l’immagine che noi abbiamo delle persone con disabilità. In altre parole, all’interno di una società in cui è prevalente l’immagine dell’“eterno bambino/bambina”, il pensiero della prevenzione della salute in quanto donne non è impresso nella testa neppure dei familiari. Le ragazze non fanno le visite ginecologiche, non fanno la prevenzione per il tumore al seno. Riconoscere questi bisogni significherebbe attribuire, ai propri familiari, un corpo di donna con tutto quello che ne consegue, in termini di diritto all’affettività alla sessualità e così via. Nell’opinione comune, invece, ancora oggi le donne con disabilità hanno un corpo asessuato e privo di femminilità; esse non sono viste né come uomini né come donne, ma solo come bambine/ragazze, per tutta la vita».
Alla luce di tutto ciò, dunque, l’ANFFAS Sardegna ha deciso di avviare l’indagine precedentemente citata, coinvolgendo, tramite un questionario, un campione di 71 donne di età compresa tra i 20 e i 65 anni che afferiscono ai servizi dell’Associazione e che risiedono nella Città Metropolitana di Cagliari e nella provincia del Sud Sardegna (a questo link è disponibile un approfondimento con i vari risultati prodotti dall’indagine). L’obiettivo è stato segnatamente quello di indagare sui temi della prevenzione dei tumori femminili e dell’accesso ad alcuni servizi specifici e anche da quel lavoro sono emerse difficoltà nell’accesso ai programmi di prevenzione e nel garantire in maniera puntuale e sistematica le opportune attività di screening e cura. In sostanza, la necessità di rendere effettivamente fruibile ad ogni persona il diritto a programmi diagnostici o terapeutici quanto più possibile adatti alle sue personali esigenze si è rivelato ancora più stringente per le persone con disabilità.
Collegandosi alla campagna lanciata in questi giorni, essa rientra appunto tra gli interventi atti a garantire quel diritto, ponendo in atto adeguate misure di sensibilizzazione sui diritti delle donne e delle ragazze con disabilità all’interno delle loro famiglie, nelle scuole, nei servizi per la riabilitazione, tra i professionisti del settore medico, nonché tra le persone che lavorano nel sistema educativo, sociale e socio-sanitario. A tal proposito, l’iniziativa intende individuare le strategie per combattere e superare le discriminazioni esistenti, ed elaborare politiche e azioni appropriate che conducano ad una “presa in carico” adeguata sul tema, insieme ai rappresentanti della società civile e delle Istituzioni, sempre in stretta consultazione con le donne e le ragazze con disabilità e con le loro organizzazioni rappresentative, per far sì che si crei concretamente una Rete. (S.B.)
*In realtà sia il nome dell’Associazione che quello della campagna, tra le parole DONNA e DONNA recano il simbolo della donna, qui irriproducibile per motivi tecnici e sostituito da +.
Per ogni ulteriore informazione e approfondimento: Area della Comunicazione e dei Rapporti con le Famiglie dell’ANFFAS Sardegna (Elisabetta Mossa), area.comunicazione@anffassardegna.it.