Il caso reso noto su «la Repubblica» da Shulim Vogelmann, concernente la persona con disabilità fatta scendere dal treno perché non munita del regolare biglietto [e ripreso anche da Superando con il testo disponibile cliccando qui, oltre che con altri commenti, dove si precisa tra l’altro che i fatti si sono svolti in modo un po’ diverso, N.d.R.], induce – soprattutto dopo le ricerche giornalistiche effettuate da Franco Bomprezzi [se ne legga nel nostro sito cliccando qui e qui, N.d.R.] e anche l’indagine svolta da Trenitalia – a una seria riflessione: come mai «Repubblica» ha pubblicato un articolo, molto serio e grave per le sue implicazioni, senza aver fatto prima analoghe ricerche?
Si tratta di un fatto che personalmente ritengo logico, in quanto aderente all’immagine che la società italiana ha della persona con disabilità: sempre “dolente”, “impacciata”, “malinconica”, “bisognosa di caritatevole aiuto”. E ciò grazie proprio ai media, che rimandano tale immagine degna di tempi antichi, senza dare un’occhiata a ciò che l’associazionismo italiano ha prodotto in termini politici e, in particolare, legislativi.
I media, ad esempio, ignorano il percorso compiuto da noi, ex “handicappati, invalidi, diversamente abili, utenza ampliata”: sino alla fine degli anni Settanta, infatti, si era soliti vederci in strada a tendere la mano per chiedere l’elemosina; poi, invece, ci hanno visti dietro un tavolino a tendere la mano per porgere una penna con cui firmare una proposta di legge, un referendum, una petizione. Insomma, da questuanti siamo divenuti “legislatori del nostro destino”.
I media parlano di noi quando qualcuno ci lega al termosifone o ci ammazza; tacciono invece quando interveniamo con proposte serie e fattibili ad ogni Finanziaria, quando elaboriamo leggi che in Parlamento sono numerate come 13/89 sulle barriere architettoniche, 104/92 (Legge Quadro sulla disabilità), 162/98 sull’assistenza ai gravissimi, 68/99 sul collocamento al lavoro, 328/00 sui Servizi Sociali e decine di altre, sino alla recente Convenzione ONU sui Diritti delle persone con Disabilità. E questa cecità dei media ci imprigiona ancor di più della catena al termosifone, ci rende ignoti nella nostra effettiva dimensione moderna di “persone”, appunto, e non già di “handicappati”.
Ecco dunque spiegato perché «Repubblica» accetta pacificamente di pubblicare una notizia in cui una volta in più veniamo dipinti come vittime invece che come detentori di diritti, così come qualsiasi altra persona: è sempre quella stessa misera cultura che i media medesimi contribuiscono a creare e a rafforzare. E se si pensa che un delitto compiuto contro una persona con disabilità sia più grave di quello compiuto su una persona “normaloide”, si confonde – magari in buona fede – il Diritto con Pietà e si rischia anche diventare un po’ razzisti. Solo il Diritto, infatti, può difendere la Persona, disabile o no che sia!
*Presidente della FISH Lazio (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e presidente della Lega Arcobaleno.