Nella difficilissima situazione economica e politica del momento è assolutamente necessario fare qualcosa perché le nere nubi che si addensano sul capo delle persone con disabilità non diano luogo a un diluvio capace di cancellarle come “categoria sociale” e persino come persone realmente fruitrici del diritto all’esistenza.
In un passato non certo lontano [se ne legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.] il Comitato Promotore per il Prepensionamento dei Genitori di Disabili Gravi aveva proposto – con alterne fortune e una lunghissima gestazione – un provvedimento che tramutasse in legge tale obiettivo. Il provvedimento, nella sua ennesima versione, aveva ottenuto il placet della Camera nel marzo del 2010, con un testo che presentava grosse limitazioni rispetto alle aspettative iniziali, un testo che – a parere degli scriventi – sarebbe oggi esposto, in sede di votazione al Senato, a forti rischi di sostanziali modifiche, alcune peggiorative, altre obiettivamente necessarie (ad esempio ove si citava il triennio 2010-2012 come campo di azione sperimentale).
Non risulta per altro che sia poi stato effettivamente determinato l’impegno di spesa che deriverebbe dall’approvazione definitiva del provvedimento – dipendente, naturalmente, dai termini esatti della formulazione del medesimo – e la relativa copertura.
Oggi però ci chiediamo: sarebbe saggio e produttivo insistere su tale via? Pur rendendoci conto, infatti, dei nobili princìpi che hanno ispirato questa battaglia e avendola sostenuta con convinzione sin dagli inizi, oggi ci sentiamo costretti, dal mutato clima finanziario, politico e mediatico, a cambiare opinione.
Ecco la principale motivazione: esistono al momento preoccupazioni maggiori e onnicomprensive dell’intero mondo delle persone con disabilità che dovrebbero indurre tutti noi a concentrare ogni capacità di pressione e persuasione ad esempio per contrastare il “famigerato” Disegno di Legge Delega n. 4566 per la riforma dell’assistenza, proposto dal precedente Governo e all’esame della Camera, oltreché dell’attuale Esecutivo. Se tale Delega, infatti, venisse utilizzata nei termini preannunciati dai media – assoggettamento a un ISEE [Indicatore della Situazione Economica Equivalente, N.d.R.] “peggiorato” da ogni forma di assistenza goduta, indipendentemente dalla gravità, principio della non-cumulabilità delle prestazioni ecc. [se ne legga anche nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.] – si introdurrebbe di fatto una sorta di “eutanasia coatta” per le persone con disabilità grave e per le loro famiglie.
Restringendo quindi il campo e mirando a salvare almeno qualcosa per chi ha maggiori necessità e bisogni (i gravissimi*), sembra opportuno puntare al riconoscimento giuridico di tale situazione di disabilità e ai provvedimenti conseguenti. Una definizione precisa e giuridicamente vincolante del termine “disabilità gravissima”, ad esempio, circoscriverebbe notevolmente il numero dei soggetti da tutelare e si potrebbe pervenire a un calcolo esatto dei costi previsti dai provvedimenti. Al limite, tali costi potrebbero anche non comportare aumenti di spesa, ma salvaguarderebbero almeno i gravissimi e le loro famiglie da mortiferi “tagli” assistenziali.
A parere degli scriventi, poi, tale definizione dovrebbe essere centrata sulla “complessità assistenziale”, evitando il riferimento a specifiche patologie, ed essere basata sull’innegabile assunto che anche una breve interruzione dell’assistenza può risultare altamente rischiosa per una persona con disabilità gravissima.
Attualmente il rischio maggiore per ogni proposta in materia di disabilità è che il Governo, “tolto il pane dalla tavola” e lasciatene solo poche briciole, voglia dimostrare la propria sensibilità sociale con un provvedimento fantasma simile alla nebbia del mattino. Destinato cioè ben presto a svanire.
*Sulla definizione e sul concetto di “gravissimi”, suggeriamo la lettura – sempre nel nostro sito – di I gravissimi: chi sono e quanti sono? (di Giorgio Genta, cliccare qui).
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