L’integrazione scolastica, oggi, non sembra essere come “la grande mela” e tanto meno di colore verde. Tanti e annosi, infatti, sono i problemi ancora aperti legati all’inserimento degli alunni con disabilità nelle scuole comuni e non, con il triste primato di un Paese che di fatto non garantisce il sostegno secondo le effettive esigenze di ciascun alunno.
Il ricorso continuo alla giustizia amministrativa sembra essere l’unica via percorribile dalle famiglie, ma talvolta lo svilimento arriva prima delle sentenze favorevoli e così, il peso faticoso di un diritto negato spesso condiziona fortemente l’esito di un progetto di vita, mettendo a dura prova i rapporti delicati tra famiglia e scuola.
Dunque, né vinti né vincitori? Si esce “sconfitti a metà”? Le responsabilità gravano su tutti, dirigenti, docenti, educatori professionali, famiglie, personale della scuola e accordi di programma. Responsabilità che riguardano soprattutto l’autonomia, la comunicazione, il successo formativo degli alunni e che in questi ultimi decenni non sembrano preoccupare in modo critico gli “addetti ai lavori”.
Le programmazioni hanno lasciato il passo agli obiettivi didattici ed educativi e all’attuazione di piani individualizzati statici che nulla hanno di dinamico.
Il monitoraggio degli apprendimenti curricolari (1) sembra essere solo un vago ricordo, a confronto del clamore suscitato dalla stampa per un diritto allo studio giustamente riconosciuto.
Questa è una scuola inclusiva che vede spesso contrapposta la didattica differenziata all’autonomia delle istituzioni scolastiche, dimenticando la questione fondamentale dell’integrazione e quindi le effettive esigenze di ciascun alunno.
In realtà non può esserci integrazione senza autonomia delle istituzioni scolastiche e il potenziamento di quest’ultima dev’essere di fatto «funzionale […] alle esigenze […] di integrazione e sostegno agli alunni con bisogni educativi speciali e di programmazione dei fabbisogni di personale scolastico» [citazione tratta dall’articolo 50, comma 1b della Legge 35/12, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo”, N.d.R.], attraverso il monitoraggio degli apprendimenti curricolari e il successo formativo degli alunni.
La “mancata professionalità dei docenti” – spesso invocata come unica denuncia – risulta essere una visione ristretta di una scuola dell’inclusione che nel suo insieme propone soluzioni efficaci.
Assistiamo da tempo al fenomeno della dispersione scolastica che colpisce anche gli alunni con disabilità. Proprio in questo macro-insieme di problematiche culturali e sociali, la scuola – come una possibile “grande mela” – è chiamata, “da sola”, ad attuare con responsabilità e rigore il processo dell’integrazione.
(1) Nella traccia per la compilazione del Profilo Dinamico Funzionale/Piano Educativo Individualizzato (PDF/PEI) – documenti riguardanti gli alunni con disabilità – alla voce Apprendimenti curricolari si legge: «La prima parte riguarda la progettazione del “curricolo”, che deve essere effettuata dal Consiglio di Classe o Modulo e riportata nel Registro dei Verbali o Agenda di Modulo. Il modello di PEI prevede un’articolazione della progettazione che ogni scuola può adottare nelle forme che riterrà più opportune e consone alla propria esperienza. In questa parte vengono definiti i percorsi curricolari, per campo di esperienza, ambito o disciplina, specificando obiettivi, contenuti, metodi ecc., al fine di monitorare la corretta correlazione tra intervento effettuato e obiettivo posto per lo sviluppo delle potenzialità. Si tratta di uno strumento pratico ed operativo. Va redatta all’inizio di ogni anno scolastico e verificata a metà percorso e alla fine dello stesso. La sua redazione operativa è affidata alla scuola. La seconda parte riguarda la descrizione del contesto, in particolare del gruppo classe. Si espliciteranno le dinamiche presenti, le interazioni, le modalità di rapporto, le criticità, le risorse, ecc.».