Riguardo alle categorie deboli il linguaggio diventa sostanza. Sempre. In questo senso è da leggere l’intervento di sir Philip Craven, presidente del Comitato Paralimpico Internazionale, prima della Cerimonia di Apertura dei Giochi Paralimpici di Londra: «Non usate la parola disabile», ha dichiarato. E lo ritiene anche Luca Pancalli, presidente del CIP (Comitato Italiano Paralimpico), a Londra per il primo incontro ufficiale al Villaggio con gli atleti, avvertendo però che «il linguaggio che diventa sostanza non deve nascondere la realtà».
«Abbiamo sempre parlato di atleti paralimpici – ha aggiunto Pancalli – anche quando abbiamo modificato, poco dopo il 2000, il nome del Comitato Paralimpico: prima era Federazione Italiana Sport Disabili [FISD, N.d.R.]. A me piace naturalmente dire persone con disabilità o persona disabile e non utilizzare l’aggettivo al posto del sostantivo: usare disabile, infatti, significa confondere una parte con il tutto. Sono convinto che la terminologia sia importante e che riesca a rompere delle barriere culturali che diventano anche sociali. Detto questo, è chiaro che la sostanza debba prevalere sempre. La disabilità fa parte della realtà e non è nascondendola che si risolvono i problemi. Non mi vergogno della mia disabilità. Persone che usano il termine disabili hanno atteggiamenti rispettosi: questo trovo sia fondamentale».
Insomma, non farsi fagocitare dal linguaggio, anche se attraverso questo si abbattono barriere che da culturali diventano sociali. Lo sport è stato antesignano in questo, come dimostrano proprio le varie edizioni della Paralimpiade: fin dal 1992, Giochi di Barcellona, veniva consigliato e richiesto agli operatori della comunicazione l’utilizzo di termini rispettosi, in particolare «persona o atleta con disabilità».
Pancalli, in carrozzina dopo l’incidente per una caduta da cavallo quando era Nazionale Juniores di pentathlon moderno, ha vissuto da atleta prima e da dirigente poi, tutte le edizioni da quella di Seul ’88. «Ripeto – conclude -: meglio persona con disabilità. Ma sullo sport il termine paralimpico è quello giusto: fa capire anche meglio le prestazioni. Come posso spiegare che Oscar Pistorius sia un fenomeno correndo i 100 metri in poco meno di 11”, cosa che fanno in molti, se non racconto che ha le gambe amputate? Non bisogna aver paura delle differenze: arricchiscono l’umanità».