Nei polizieschi televisivi di qualche decennio fa la ricerca del colpevole di un delitto coincideva infallibilmente con la risposta al quesito: a chi giova? Se ora trasferiamo la domanda nel mondo della disabilità e ribaltiamo il delitto in azione virtuosa, la risposta alla domanda “a chi giova aver cura dei caregiver familiari?” è certa: allo Stato e alla comunità dei Cittadini.
Giova allo Stato perché attraverso l’azione diuturna dei caregiver – l’amorevole prestazione di cura familiare – si riducono enormemente gli esborsi per le prestazioni assistenziali. Bisogna poi però vigilare che questi risparmi davvero così consistenti non vengano vanificati dall’ingordigia dei “divoratori di ostriche” e dei “frequentatori di resort a sette stelle” (“a cinque stelle” non si può più dire, per motivi di correttezza politico-linguistica…
Giova poi alla comunità perché non espelle dal suo contesto chi ha maggior bisogno di esserci mantenuto per via della sua fragilità. E non si dica che i “lager da ricovero” fanno parte dell’umano consesso!
Ultimo, ma non certo ultimo, giova ai diretti interessati, perché ricevono assistenza e cure motivate dall’amore, forza capace, come è noto, di muovere il sole e le altre stelle.
Se dunque il lavoro assistenziale dei caregiver familiari giova a tutti tranne che ai caregiver stessi, perché non tutelarli come un bene prezioso? Perché non trattarli almeno a livello delle specie animali in via di estinzione – infatti, come abbiamo già scritto nei giorni scorsi su queste stesse pagine, sono dei veri “muli da soma”, animali ormai abbandonati persino dagli Alpini! – e non adottare almeno una parte dei provvedimenti che nel resto d’Europa ne consentono la sopravvivenza?
Nient’altro.