«Le persone disabili uccise durante il nazismo – ha scritto Silvia Cutrera, presidente dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita indipendente) e una delle principali osservatrici italiane di tali questioni – sono le meno visibili nella macabra statistica delle vittime del Terzo Reich e sono tuttora scarse le testimonianze della loro terribile esperienza. L’intervista raccolta nel luglio del 2006 a Friedrich Zawrel, classe 1929, tra i pochi sopravvissuti al cosiddetto “programma di eutanasia selvaggia infantile”, perpetrato da medici e infermieri nei padiglioni del sanatorio pedagogico Spiegelgrund, inaugurato nel luglio del 1940 all’interno del complesso ospedaliero psichiatrico Steinhof di Vienna, racconta di quell’orrore. Figlio di un alcolizzato, Zawrel fu ricoverato dal 1942 al 1944 perché considerato “di eredità biologica inferiore”. L’intervista in lingua tedesca con lui (tradotta in italiano e sottotitolata), ripresa nell’Ospedale Otto Wagner di Vienna, è al centro di Vite indegne, filmato autofinanziato della durata di 35 minuti, realizzato in forma di cortometraggio/documentario e pubblicato su supporto DVD. Esso è arricchito da contenuti fotografici dell’epoca e dai commenti illustrativi necessari a inquadrare il contesto storico nel quale accaddero gli avvenimenti narrati. Le altre parti del filmato, divise in due tracce “video”, in lingua italiana, sono dedicate alla presentazione del lavoro di ricerca compiuto dal professor Michael von Cranach, anch’egli intervistato, negli archivi della Clinica Psichiatrica di Kaufbeuren da lui diretta fino al 2007 e già luogo di sterminio, durante il nazismo, di pazienti con disabilità. I suoi studi sono stati raccolti nella mostra In Memoriam – Aktion T4 – Lo sterminio nazista delle persone con disabilità, da lui donata all’AVI ed esposta permanentemente al Santa Maria della Pietà di Roma».
Ebbene, il cortometraggio/documentario Vite indegne sarà al centro dell’iniziativa promossa per sabato 26 gennaio a Roma, in occasione del Giorno della Memoria 2013, presso la Sala Conferenze e Proiezioni del Museo Storico della Liberazione di Via Tasso (ore 10), a cura del Museo stesso, dell’ANED di Roma (Associazione Nazionale Ex Deportati) e dell’ANPI della Capitale (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia).
L’incontro, coordinato da Antonio Parisella, presidente della struttura ospitante, dopo i saluti di Elena Improta, vicepresidente dell’ANPI di Roma e di Eugenio Iafrate, vicepresidente dell’ANED di Roma, prevede la partecipazione della citata Silvia Cutrera e del presidente della FISH Lazio (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) Dino Barlaam.
Per l’occasione Parisella, per conto del Museo romano di Via Tasso, riceverà dalla cantautrice Agnese Ginocchio, presidente dell’organismo promotore, il Premio Internazionale per la Pace e i Diritti Umani 2013, promosso dall’Associazione Movimento Ambasciatori per la Pace e dal Movimento Internazionale III Millennio per la Pace e la Salvaguardia del Creato della Provincia di Caserta.
Infine, gli intervenuti all’evento potranno contribuire a salvare dal macero Il nazismo e i lager di Vittorio Emanuele Giuntella (Roma, Edizioni Studium), importante opera del grande storico che conobbe direttamente il lager come internato militare.
A questo punto, per riprendere approfonditamente la questione riguardante lo sterminio delle persone con disabilità durante il nazismo – tema da noi più volte ampiamente trattato – riteniamo quanto mai opportuno proporre un testo elaborato qualche tempo fa anch’esso da Silvia Cutrera, che ripercorre la storia di quelle terribili vicende.
Aktion T4: l’eliminazione dei corpi disabili
di Silvia Cutrera
All’inizio del 2011, durante i lavori di ampliamento di un ospedale regionale a Hall nel Sud Tirolo austriaco, vennero trovati, in una fossa comune, i resti di duecentoventi corpi appartenuti presumibilmente a persone affette da disabilità fisica e mentale.
Il sospetto è che si trattasse di alcune delle vittime del cosiddetto “Programma Eutanasia”, perpetrato dai nazisti dal 1939 al 1945 anche in territorio austriaco, visto che, con l’annessione al Terzo Reich, l’Austria aderì anche alle politiche di sterminio nei confronti delle persone con disabilità. La notizia non suscitò per altro particolare clamore, e una commissione ha cercato poi di risalire all’identità delle vittime e alle cause della loro morte, dopoché i lavori di ristrutturazione dell’ospedale erano stati temporaneamente sospesi.
Altri resti umani, risalenti allo stesso periodo nazista, erano depositati, sino a pochi anni fa, presso i locali dell’Ospedale Otto Wagner di Vienna: settecento cervelli di bambini, uccisi durante il nazismo nel “reparto pedagogico” dello Spiegelgrund, a causa della loro presunta disabilità. I cervelli e parte del loro midollo spinale erano conservati in giare di formalina e utilizzati per studi e ricerche, fino al 1998. Resti di bambini, interi o sezionati, conservati in barattoli di vetro per alimenti, etichettati con il nome, la data di nascita e di morte, la diagnosi.
Nell’aprile del 2002, durante una cerimonia funebre pubblica, si provvide a cremare e a inumare i resti delle piccole vittime.
“Corpi disabili” che non rientravano nella logica nazista di costruzione di uno stato superiore “razzialmente puro”. Esseri rappresentati come “gusci privi di esistenza” e pertanto “vite senza valore”.
Le teorie eugenetiche dei primi anni del Novecento sostennero e influenzarono il razzismo nazista. Hitler propugnò concezioni di matrice biologica della società, collegandole alla ricerca medica del tempo, al diritto, alle applicazioni medico-scientifiche e agli obiettivi politici il cui esito fu il genocidio.
La politica del regime nazista contemplava che per appartenere alla “razza superiore”, i tedeschi ariani dovessero avere determinate caratteristiche tra cui la bellezza e la purezza. Lo aveva anticipato lo stesso Hitler, nel 1924-26, scrivendo nel Mein Kampf: «Chi non è sano e degno di corpo e di spirito, non ha diritto di perpetuare le sue sofferenze nel corpo del suo bambino. Qui, lo Stato nazionale deve fornire un enorme lavoro educativo, che un giorno apparirà quale un’opera grandiosa, più grandiosa delle più vittoriose guerre della nostra epoca borghese».
Hitler nutriva personalmente, per i disabili, una forte repulsione, cosicché il problema andava risolto alla radice, doveva esserne impedita la riproduzione. Nel luglio del 1933, pochi mesi dopo la sua nomina a Cancelliere del Terzo Reich, fu emanata la legge che prevedeva la sterilizzazione di persone affette da svariati disturbi fisici e mentali. Essa venne applicata a una grande varietà di condizioni: cecità, sordità, difetti congeniti e stati di invalidità, come piede deformato da talismo, labbro leporino e palatoschisi.
Il compito di prevenire l’insorgenza di malattie ereditarie attraverso le tecniche di sterilizzazione fu affidato ai medici. Il numero dei pazienti ricoverati negli Istituti, che presentavano tali caratteristiche, era di 410.000 e tutti i medici dovevano segnalare all’Autorità Sanitaria ogni caso a loro conoscenza, ampliando la sfera dei destinatari anche ai familiari dei soggetti ritenuti “contaminanti”.
Furono istituiti in tal senso speciali “Tribunali per la Sanità Ereditaria”, composti da due medici e un magistrato, che prevedevano anche la possibilità di appellarsi, ma nel 1934, ad esempio, più del 90% delle petizioni non vennero accolte ed ebbe successo meno del 5% degli appelli.
Ovviamente tale parvenza di legalità nascondeva decisioni arbitrarie. Una diagnosi di debolezza mentale poteva basarsi sul comportamento morale e politico di una persona e quindi colpire elementi ostili al regime; viceversa, bisognava avere molta prudenza con i fedeli al partito.
Si stima che tra il mese di luglio del 1933 e l’inizio della guerra, furono sterilizzate a vario titolo circa 300.000 persone, il 60% donne, ma nei cinque anni successivi la cifra aumentò. Medicina e biologia si adoperarono per garantire la sanità del volk (“popolo”), selezionando corpi adatti a rivitalizzare uno Stato di “superuomini”.
Un cenno a sé merita il Progetto Lebensborn, voluto da Himmler nel 1935, per incoraggiare le SS e gli ufficiali della Wehrmacht ad avere bambini con donne ariane, per costruire una nazione formata da un’élite biologica di ariani nazisti. Queste unioni, combinate per fini riproduttivi, prevedevano che entrambi i genitori superassero test di purezza razziale tramite i quali fosse possibile accertare l’ascendenza ariana fino alla terza generazione e avere, preferibilmente, capelli biondi e occhi blu.
Durante i dieci anni del progetto, almeno 7.500 bambini nacquero in Germania e altri 10.000 furono concepiti in Norvegia dopo l’invasione del 1940. Alle madri incinte, sia sposate che nubili, veniva fornita casa e assistenza, sostenendole in modo da poter far crescere i figli senza preoccupazioni economiche.
Alla fine della guerra vi erano dieci sedi Lebensborn in Germania, nove in Norvegia, due in Austria, una in Belgio, Francia, Olanda, Lussemburgo e Danimarca. Purtroppo parte degli archivi fu distrutta dalle SS, non permettendo di rintracciare le identità dei bambini. Alcuni di loro, abbandonati, furono adottati, altri restituiti alle famiglie, ma la sorte peggiore tocco certamente a quelli nati in Norvegia, rispetto ai quali le SS non riuscirono a distruggere gli archivi. Nel dopoguerra, infatti, quei ragazzi – insieme alle loro madri – furono fortemente discriminati, picchiati e chiamati “maiali nazisti” da insegnanti, parenti e compagni di scuola.
Il Governo norvegese inviò oltre 14.000, tra donne e ragazze che avevano avuto rapporti con i soldati della Wehrmacht, nei campi di internamento. Il direttore del maggiore manicomio norvegese sostenne la pazzia delle donne che avevano avuto rapporti sessuali con i tedeschi e concluse che l’80% dei discendenti fossero da ritenere “ritardati”. Molti di loro vennero quindi rinchiusi in istituti per la cura mentale.
Fondamentale fu il ruolo della propaganda nazista che produsse film, documentari e manifesti, volti a persuadere i tedeschi circa la necessità di eliminare i soggetti deboli. I testi scolastici di ogni ordine di istruzione, ad esempio, riportavano riferimenti alle teorie biologiche naziste, corredate da esempi utilitaristici. In un manuale di matematica in uso negli Anni Quaranta nelle scuole elementari, si poteva trovare il seguente problema: «Un pazzo costa allo Stato 4 marchi al giorno, uno storpio 5,50, un criminale 3,50. In molti casi un impiegato statale guadagna solo 3,50 marchi per ogni componente della sua famiglia e un operaio specializzato meno di due. Secondo un calcolo approssimativo risulta che in Germania gli epilettici, i pazzi, etc., ricoverati sono circa 300.000. Calcolare: Quanto costano complessivamente questi individui ad un costo medio di 4 marchi? Quanti prestiti di 1.000 marchi alle coppie di giovani sposi si ricaverebbero all’anno con quella somma?».
Nell’ottica di potenza e di espansione del Terzo Reich, l’offensiva nei confronti dei disabili non si limitò alla sterilizzazione. Le loro esistenze, infatti, rappresentavano un costo per le risorse tedesche, un peso da eliminare.
Il 18 agosto 1939, il Ministero dell’Interno emanò un decreto con il quale ordinò alle ostetriche e ai medici di dichiarare tutti i bambini nati con sindrome di Down, microcefalia e idrocefalia, deformità, paralisi. Presso gli ospedali e le case di cura furono istituiti ventidue reparti infantili che promettevano cure specialistiche, ma dove in realtà venivano adottati provvedimenti di “eutanasia” nei confronti di bambini sotto i tre anni di età affetti da “gravi malattie ereditarie”.
Il metodo di uccisione preferito era l’uso di farmaci quali morfina-scopolamina, bromuro, luminal, veronal in compresse o forma liquida, somministrati in dosi massicce per far insorgere complicazioni mediche. In particolare la polmonite, che alla fine provocava il decesso. L’avvelenamento veniva così camuffato da morte naturale.
La politica di uccisione delle “vite indegne di essere vissute” continuò con gli adulti e fu avviata ufficialmente dalla seguente lettera inviata da Hitler nell’ottobre del 1939: «Al capo [della Cancelleria] del Reich Bouhler e al dottor Brandt viene affidata la responsabilità di espandere l’autorità dei medici, che devono essere designati per nome, perché ai pazienti considerati incurabili secondo il miglior giudizio umano disponibile del loro stato di salute possa essere concessa una morte pietosa».
La lettera venne retrodatata al 1° settembre 1939, per fornire copertura ad uccisioni già avvenute e collegare il “Programma Eutanasia” al conflitto bellico iniziato con l’invasione della Polonia, ma l’azione di sterminio era già definita dal punto di vista ideologico e programmatico dai criteri eugenetici degli anni precedenti. Essa venne attuata con determinazione e portata avanti in modo “industriale”, tramite un iter meticoloso e controllato, con il coinvolgimento di personale medico, amministrativo e tecnico, e la creazione di apparecchiature dalla tecnologia innovativa.
Gli adulti disabili furono uccisi nell’ambito del cosiddetto Programma Aktion T4, termine che prese il nome da una via di Berlino, la Tiergarten Strasse, in cui si trovava, al numero 4, l’ufficio responsabile dell’attuazione di questo progetto. Era una villa immersa nel verde, confiscata a una famiglia di ebrei.
L’Aktion T4 fu pianificata nei minimi particolari fin dall’autunno del 1939. Attraverso un censimento che riguardò gli ospedali tedeschi, vennero rilevati i pazienti affetti da patologie fisiche mentali e sensoriali, non produttivi. Fu costituita una Compagnia Trasporti con il compito di trasferire i selezionati nei sei luoghi di uccisione adattati appositamente per eliminare persone considerate delle “zavorre” per il Terzo Reich.
Si trattava di edifici isolati, ex caserme, penitenziari, case di cura, nei quali esperti ingegneri avevano allestito le prime camere a gas, utilizzando il monossido di carbonio, predisponendo nelle vicinanze il crematorio dove i corpi disabili diventavano cenere.
L’Aktion T4 era coperta da segreto e le vittime venivano trasferite senza l’autorizzazione dei familiari ai quali si comunicava la notizia del decesso con l’invio di un’urna funeraria contenente della cenere e un certificato che dichiarava che la morte era avvenuta per cause naturali e che il corpo era stato cremato per impedire il propagarsi di epidemie.
In un anno e mezzo furono uccise 70.274 persone. Nell’estate del 1941, la prima fase dell’Aktion T4 si interruppe, ma poi riprese nella forma di “eutanasia selvaggia” all’interno degli ospedali, dove medici e infermieri continuarono ad uccidere i loro pazienti disabili con iniezioni e farmaci letali, seppellendo talvolta i loro corpi, come si è visto all’inizio, in fosse comuni.
Si stima che circa 250.000 persone furono uccise tra cui 5.000 bambini. I responsabili della T4, utilizzando le medesime procedure e tecniche, vennero successivamente impiegati nello sterminio del popolo ebraico: trasporti, selezioni, camere a gas, corpi bruciati, vite ridotte in fumo e cenere.
Per ulteriori informazioni sull’iniziativa del 26 gennaio: info@museoliberazione.it.
Per ulteriori approfondimenti sullo sterminio delle persone con disabilità durante il nazismo, oltre ai testi da noi pubblicati e qui a fianco elencati, suggeriamo la consultazione del sito Olokaustos.