Ho ricevuto tantissimi messaggi di congratulazioni e di auguri, dopo la diffusione della notizia che sono stato nominato presidente della LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, ossia la rete delle associazioni della Lombardia, che fa parte, a livello nazionale, della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Mi ha colpito la quantità e la sincera gioia di molti amici veri e virtuali per un incarico di volontariato come questo, che di sicuro comporterà per me un impegno robusto e consistente, specialmente in considerazione dei tempi difficili che stiamo vivendo.
La prima considerazione che mi viene spontanea è che l’apprezzamento, in realtà, più che a me è rivolto proprio alla LEDHA, ossia a un’organizzazione che è nata e cresciuta nel tempo (quasi trentacinque anni di vita) attorno alla cultura dei diritti, partendo da un nucleo combattivo e tenace di genitori di ragazzi con disabilità non autosufficienti, spesso con deficit intellettivo, e non solo fisico o sensoriale.
LEDHA, infatti, nasce come acronimo di “Lega per i Diritti degli Handicappati”, come si diceva un tempo. L’acronimo è rimasto, anche se non lo si esplicita più in questi termini, perché fa capire, meglio di tanti discorsi sulle parole, come e quanto stiano cambiando le cose e le persone.
Accanto ai genitori e ai familiari, infatti, capitanati allora da Edoardo Cernuschi, si sono nei decenni aggiunte le persone con disabilità in grado di difendersi da sole, e di portare avanti programmi, progetti, servizi, a favore di tutti, senza alcuna esclusione. Fino alla lunga e operosa, concreta e tenace presidenza di Fulvio Santagostini, che mi ha passato il testimone.
Da quando sono venuto a vivere a Milano – giornalista convinto che questa sia la città nella quale è possibile fare buona comunicazione professionale a difesa di una nuova cultura della disabilità – il rapporto di vicinanza con la LEDHA è stato immediato. Ero fra gli organizzatori di una mostra di ausili e di idee a Verona, a metà degli Anni Novanta, si chiamava Abilexpo. E dirigevo la rivista «Freely, guida al mondo possibile», ora scomparsa.
Già allora la LEDHA ebbe uno spazio privilegiato, per raccontare la cultura dell’handicap, e fu in quegli anni che incontrai – stabilendo un legame di condivisione e di amicizia – un giovane Giovanni Merlo (allora in AIAS, l’Associazione Italiana Asistenza Spastici, ora direttore della LEDHA) e Gabriele Favagrossa (oggi uno dei più attenti esperti di accessibilità), con i quali ci lanciammo nelle prime iniziative, quasi da pionieri, in favore del turismo senza barriere.
Oggi la LEDHA è una realtà di terzo livello, una rete di associazioni e di coordinamenti territoriali, in pratica il riferimento unitario per quasi duecento realtà organizzate, piccole e grandi, in ogni Provincia della Lombardia. Il “cuore” e il “motore” della Federazione è il servizio legale, ma la mediateca, i progetti per la Vita Indipendente, la formazione, lo spazio residenzialità, il Servizio DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance), sono realtà collaudate, note non solo agli operatori del settore, ma anche alle Istituzioni, dai Comuni, alle Province, alla Regione.
Eppure anche la LEDHA sta vivendo un momento di difficoltà. Le risorse per garantire professionalità e continuità dei servizi vengono in larga parte dalla progettazione sociale, che ora risente pesantemente dei tagli nel campo del welfare. Le singole associazioni aderenti vedono assottigliarsi le entrate da donazioni, compreso l’altalenante e incerto flusso del 5 per mille.
D’altra parte, senza uno staff di qualità, in grado di intercettare e orientare i bisogni e le richieste dei cittadini, e di combattere in primo luogo la discriminazione basata sulla disabilità, la LEDHA verrebbe meno alla sua funzione fondamentale.
Ecco perché, in questi anni, lavoreremo con forza alla realizzazione di quella “Casa dei Diritti” che da Milano rilanci in tutta la Lombardia e – perché no? – in Italia un ruolo da protagonisti alle persone con disabilità, senza limitarsi a battaglie determinate dall’emergenza del momento, ma promuovendo una cultura consapevole, una rete forte con il Terzo Settore, con il mondo della cooperazione sociale, con i giovani, con le famiglie.
Ci vorranno risorse nuove, stabili, importanti. Le cercheremo, faremo in modo di meritarle e di utilizzarle al meglio, in assoluta trasparenza.
Da giornalista cercherò di dare una mano, per comunicare correttamente, per avvicinare, per includere. Mai come in questo caso, non c’è un conflitto di interesse, ma una reale, totale, convergenza di intenti. Ce la faremo.