Non è certo la prima volta, purtroppo, che organizzazioni come la FINCOPP (Federazione Italiana Incontinenti e Disfunzioni del Pavimento Pelvico), l’AISTOM (Associazione Italiana Stomizzati) e l’AIMAR (Associazione Italiana Malformazioni Anorettali) – supportate da Federazioni come la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), la FAVO (Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) e la FAIP (Federazione Associazioni Italiane Paratetraplegici) – sono costrette a intraprendere dure azioni nei confronti degli Enti Pubblici, per far rispettare la qualità di vita – e la vita stessa – delle persone che ad esse fanno riferimento.
Nella fattispecie, poi, delle battaglie per una corretta fornitura di dispositivi medici, quali i cateteri, le sacche e le placche per stomia, anche il nostro giornale, nel corso degli anni, ha riferito via via delle azioni attuate ad esempio nei confronti delle Regioni Calabria, Lazio e Campania.
Particolarmente dura, in questi giorni, è l’iniziativa intrapresa in Emilia Romagna – al momento nei confronti delle ASL di Bologna e Modena – con la richiesta di intervento alle rispettive Procure della Repubblica. L’accusa infatti che si legge in un messaggio inviato a tutti i referenti istituzionali, sanitari e giudiziari coinvolti, da parte del presidente della FINCOPP Francesco Diomede – messaggio condiviso anche da Giuseppe Dodi e Dalia Aminoff, presidenti di AISTOM e AIMAR – è quella di «violare gli articoli 32 (Diritto alla salute e libera scelta) e 118 (Diritto di Cittadinanza) della Costituzione [in quest’ultimo caso per la mancata consultazione delle persone coinvolte e delle Associazioni che le rappresentano, N.d.R.], in una logica tesa soltanto al minor prezzo, ovvero al monopolio protesico».
E si parla anche di violazione dell’articolo 26 della Legge 833/78, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, ove si scrive che «le prestazioni sanitarie dirette al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, dipendenti da qualunque causa, sono erogate dalle unità sanitarie locali attraverso i propri servizi», ove, scrive Diomede, «si prevede la riabilitazione anche delle persone incontinenti e l’apertura di “Centri Riabilitativi ad hoc”, i quali, esattamente come per altre disabilità, devono avere la funzione di riabilitare e reinserire le persone nella società civile e nel mondo del lavoro, non di farle stare peggio e non poter più uscire di casa».
In pratica l’accusa rivolta dalle Associazioni – secondo le quali la questione potrebbe allargarsi all’intera Regione Emilia Romagna -, è quella di voler dirottare la consegna dei dispositivi medici tramite un’Agenzia Regionale (Intercenter), «in regime di monopolio, con pesanti pressioni sul personale medico e infermieristico, effettuate in particolare su infermiere professionali stomaterapiste».
«L’utilizzo di un dispositivo medico rispetto ad un altro – scrive dunque il Presidente della FINCOPP – non è dettato da un capriccio del paziente, ma dalla vitale necessità di contribuire a migliorare la qualità e quantità di vita, evitando allergie, dermatiti, ulcere cutanee e piaghe da decubito, che riducono la possibilità di lavorare e di svolgere qualunque attività e socializzazione». E non va dimenticato che «le attuali decisioni comportano e comporteranno ingenti costi indiretti alle ASL e al Servizio Sanitario Regionale, dovuti a ricoveri con giornate di assenza dal lavoro, all’utilizzo di antibiotici, detergenti, creme, letti antidecubito, consumo di cotone, garze e materiali vari». «Se proprio la Regione Emilia Romagna vuole risparmiare risorse economiche – prosegue Diomede – perché non azzerare completamente proprio l’Agenzia Intercenter, che ha costi esorbitanti per la cittadinanza, con risultati mediocri, spesso figli di una mala gestione?».
È in ogni caso sulla questione della libera scelta del dispositivo medico più idoneo per il paziente che ruota la denuncia delle Associazioni, un principio sancito sia dalla citata Legge 833/78, che dal Decreto Ministeriale 332/99, ultimo aggiornamento del Nomenclatore Tariffario delle Protesi e degli Ausili, in piena sintonia con la Costituzione. Cita in particolare, Diomede, l’articolo 1, comma 5 del Decreto del ’99, ove si stabilisce, in sostanza, che «qualora l’assistito scelga un tipo o un modello di dispositivo non incluso nel Nomenclatore, egli può ottenere dall’AUSL il rimborso dell’ausilio scelto liberamente». E a tal proposito, sin troppe volte le Associazioni «hanno evidenziato ai Dirigenti del Ministero della Salute che i dispositivi medici contenitivi sono prodotti definibili come “salvavita”, poiché sempre a contatto diretto con l’epidermide e che pertanto non possono e non devono essere paragonati ai farmaci».
«Comprendiamo perfettamente – scrive il Presidente della FINCOPP – che in sanità bisogna risparmiare, ma risparmiare sui cateteri, le sacche e le placche stomia, è fuorviante ed economicamente “falso”. Il catetere, ad esempio, è sempre e comunque un corpo estraneo che entra nell’organismo umano e un buon catetere serve ad evitare l’assunzione di antibiotici con gravi ripercussioni e ingenti costi al Servizio Sanitario Regionale e ai datori di lavoro, oltre al danno economico per la collettività. Concedere quindi la libera scelta significa assicurare una qualità di vita dignitosa e una maggiore libertà di spostamento alle persone con disabilità, come previsto dalla stessa Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità».
La conclusione, pertanto, a cui si giunge, chiedendo, come detto, l’apertura di un’inchiesta alle Procure della Repubblica competenti, per accertare eventuali responsabilità civili e penali, è che ci si trovi di fronte a un vero e proprio «attentato alla salute pubblica», oltreché «a un grave atto discriminatorio». Seguiremo naturalmente come sempre gli sviluppi della delicata questione. (S.B.)
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