Gli organi di informazione generalisti e la stampa specializzata fanno a gara da alcuni giorni a parlare, con toni che vanno dal prudentemente ottimistico al trionfalistico, della sensazionale notizia dell’utilizzazione del retrovirus dell’HIV “depurato”, quale veicolo terapeutico per il trattamento di alcune patologie genetiche a tutt’oggi considerate inarrestabili (la leucodistrofia metacromatica e la sindrome di Wiskott-Aldrich).
La notizia è certa, confermata come corretta dalla pubblicazione di essa sulla prestigiosa rivista internazionale «Science» e confortata dalla meritata fama del capo dell’équipe di ricerca Luigi Naldini, direttore del TIGET (Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica) di Milano.
Gli aspetti scientifici e le prospettive pratiche aperte dalla scoperta sono vasti e assai promettenti e permetteranno di verificare l’applicabilità concreta in terapia dell’utilizzazione di cellule staminali, oggetto da tempo di grandi aspettative e probabilmente anche di qualche illecito.
Non essendo in grado – come invece imprudentemente fanno alcuni giornalisti – di dichiararsi competenti ad esaminarne gli aspetti scientifici, le nostre “famiglie con disabilità” gioiscono alla notizia, che per una volta sfata l’antico assioma che vuole le Malattie Rare “regalo di un dio crudele” e come tali invincibili dall’umano sapere.
E che, in maniera altrettanto esemplare, contrappone la seria ricerca scientifica eseguita con procedure corrette e verificabili, alla nebulosa “magìa” di terapie senza riscontri, figlie, queste ultime, della disperazione di tante famiglie e del disinteresse di chi dovrebbe fornire regole certe per la sicurezza di tutti.
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