Il vuoto e l’eredità lasciati da Tino Chiandetti

Per decenni figura di primo piano, in àmbito di volontariato e associazionismo nel Friuli Venezia Giulia e a livello nazionale, Tino Chiandetti, scomparso nei giorni scorsi a Udine, ha dedicato la sua esistenza, strettamente intrecciata con la storia della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), soprattutto alla promozione dei diritti delle persone con disabilità

Tino ChiandettiPer chi scrive, è ben difficile dare oggi questa notizia, presentare un servizio che ricordi degnamente una delle migliori persone conosciute in tanti anni di lavoro, una delle più belle “teste pensanti” del cosiddetto “mondo della disabilità”.
Anche una parola in più era di troppo per Tino Chiandetti, scomparso il 19 aprile, ed è per questo che preferiamo far parlare la sua vicenda umana e professionale, strettamente legata a quella della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), grazie all’ampia nota prodotta dalla Sezione di Udine di tale Associazione. Poi le parole di Carlo Giacobini, direttore editoriale del nostro giornale, che ricorda come il Servizio HandyLex.org e il Centro per la Documentazione Legislativa UILDM, di cui è responsabile, non esisterebbero senza una «felice intuizione» e la «caparbia volontà» di Chiandetti. Infine, le stesse parole di Tino, con la ripresa delle parti essenziali di un testo scritto per noi, qualche anno fa, in ricordo – a quarant’anni dalla scomparsa – di un giovane sacerdote appassionato e “affamato di vita”, don Piergiorgio Fain, dal quale prende oggi il nome la nota Comunità Piergiorgio di Udine. Non un “semplice” ricordo, però, ma un vero e proprio spaccato di “piccola grande storia”, vissuta in prima persona, quando nel nostro Paese stavano realmente cambiando tante cose.
Il grande dolore di chi scrive e di tutta la nostra redazione, per questa perdita, che ci priva innanzitutto di un Grande Amico, ci vede stretti attorno ad Adriana, moglie di Tino, e a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di essergli vicino. (Stefano Borgato)

La scomparsa di Tino Chiandetti
a cura della UILDM di Udine
Sabato 19 aprile si è spento all’Ospedale di Udine all’età di 64 anni Innocentino “Tino” Chiandetti. Figura di primo piano per molti decenni nell’àmbito del volontariato e dell’associazionismo del Friuli Venezia Giulia e non solo, Chiandetti ha dedicato la sua esistenza, in particolare, alla promozione dei diritti delle persone con disabilità.
Affetto da una grave malattia neuromuscolare che fin dalla giovane età lo portò a dovere utilizzare una carrozzina per i suoi spostamenti, dopo il diploma al Liceo Stellini di Udine e la laurea in Scienze Politiche all’Università di Padova, iniziò un percorso di impegno nel sociale che non si è mai interrotto, nemmeno in queste ultime difficili settimane.
La sua vicenda umana e professionale è strettamente intrecciata con la storia della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) di cui è stato un costante punto di riferimento in Friuli e in Italia, al di là dei due mandati svolti nella Direzione Nazionale. Presidente della Sezione di Udine dal 1986 al 2006, era tuttora tra i componenti del Consiglio Direttivo dell’Associazione, che rappresentava all’interno del Comitato Provinciale di Coordinamento delle Associazioni Disabili, di cui è stato tra i fondatori.
Membro per sette anni della Giunta Esecutiva della Consulta Regionale delle Associazioni delle Persone Disabili, era conosciuto e apprezzato per il rigore morale, la lucida visione intellettuale e la concretezza operativa, fondati su una grande competenza in campo giuridico e normativo che ne ha fatto un interlocutore costante delle Istituzioni ai più diversi livelli.
Fu, tra l’altro, tra i componenti della Consulta Nazionale per la riforma della Legge 482/71, che disciplina il collocamento obbligatorio e promosse diversi provvedimenti di legge nazionali e regionali. Alla sua iniziativa si deve, ad esempio, l’esistenza in Friuli Venezia Giulia della legge che assegna i contributi per l’acquisto di auto adattate a favore di persone non deambulanti. Così come a una sua intuizione e alla sua determinazione si devono la nascita di importanti realtà come il Centro di Documentazione Legislativa della UILDM, da cui è nato il Servizio Handylex, punto di riferimento nazionale in materia normativa, e il Centro Regionale di Informazione sulle Barriere Architettoniche (CRIBA) del Friuli Venezia Giulia.
All’inizio degli anni Settanta, inoltre, fece parte del gruppo promotore della nascita della Comunità Piergiorgio a Udine e, in seguito, fu fondatore e operatore dell’Ufficio H, che si trova all’interno della stessa comunità.
Relatore in svariati corsi e convegni regionali e nazionali, è stato autore di articoli, saggi e pubblicazioni, tra i quali si possono ricordare le guide all’accessibilità di Padova, Udine, Cividale, Tolmezzo e Aquileia (da lui coordinate) e il volume Normativa, Giurisprudenza, Barriere architettoniche, realizzato nel 2011, anno in cui gli è anche stata assegnata la Medaglia d’Oro del Premio Regionale della Solidarietà.
«La scomparsa di Tino – commenta Daniela Campigotto, presidente della UILDM di Udine -lascia un vuoto difficile da colmare, ma anche una grande eredità, frutto del suo impegno e del suo lavoro, che sarà compito di tutti noi valorizzare. Lo testimoniano in queste ore i tanti messaggi di cordoglio che stanno arrivando da tutta la Regione e da diverse parti d’Italia alla UILDM, alla moglie Adriana e ai familiari, cui siamo vicini».

Il legno storto
di Carlo Giacobini
HandyLex.org e il Centro per la Documentazione Legislativa UILDM non esisterebbero senza un’iniziale felice intuizione e senza la caparbia volontà maturate alla fine degli Anni Ottanta sull’onda di una stagione molto diversa da quella attuale. Se oggi tutto questo esiste lo dobbiamo a Tino Chiandetti, alla sua cultura e al suo rigore morale e intellettuale, mai disgiunti da una concreta e profonda umanità.
Tino mi ha considerato per anni il suo “figlioccio”, sentendosi in diritto e in dovere di consigliarmi, criticarmi, aiutarmi, proteggermi quando è stato necessario. Una stima che ho sempre temuto di deludere, tanto forte era il suo carisma. Ma era anche un orgoglio, quando mi venivano riportate da terzi le sue parole di stima e di apprezzamento.
È stato il precursore di tante battaglie, incentrandole non sulla “pancia”, ma sempre sull’autorevolezza dei fatti, degli approfondimenti, della sostenibilità: essere di parte con oggettività, prendere parte con la forza degli argomenti.
Sabato 19 Tino ci ha lasciati. Una malattia inclemente si è innestata subdolamente sull’amiotrofia spinale che per quarant’anni l’ha accompagnato senza piegarlo.
L’unica consolazione è di averlo visto un’ultima volta pochi giorni prima. In quell’occasione, a casa sua, discuteva, pur con un’immane fatica a respirare, con i responsabili del Distretto Sociosanitario. Lucidamente, implacabilmente, rispettosamente, ma in modo incontrovertibile, contestava le modalità di fornitura degli ausili, rilevandone la violazione del diritto di scelta: «Non è per me – che tanto sono fottuto! – quanto per i ragazzini, per i giovani che devono avere davanti una vita degna di questo nome».
Nelle due ore successive, faccia a faccia, abbiamo disquisito di politica, di diritti, di impegno civile. Di oggi e di domani. Della “sua” associazione (la UILDM), ma anche della FISH, la Federazione in cui tanto credeva. Energia, lucidità, determinazione fino all’ultimo.
Tino non lascia un vuoto: resta ora il suo esempio, il suo insegnamento, i suoi scritti. Tino, il “legno storto”, ha dato diritti frutti di giustizia.

In quegli anni stava nascendo qualcosa di nuovo…
di Innocentino Chiandetti
(Estratto da un testo pubblicato dal nostro giornale «Superando.it» il 1° giugno 2010)
Erano gli anni a cavallo del 1970, avevo vent’anni, camminavo ancora (con molta difficoltà, perché la mia è una malattia progressiva), frequentavo il Gervasutta [Istituto di Medicina e Fisica Riabilitativa Gervasutta di Udine, N.d.R.] per il ciclo mensile di riabilitazione insieme a tanti altri indimenticabili compagni di strada che non sono più tra noi: Alda Cescutti, Bruno Raccaro, Luciano Crucil, Gelvido Giacomini, don Onelio Ciani.
Questo luogo era diventato un punto di riferimento che andava molto al di là degli aspetti sanitari. Senza esagerare, posso dire che il Gervasutta era diventato per molti – soprattutto per i più giovani – un laboratorio di idee, di socializzazione e di emancipazione. È lì che si sono create le premesse per acquisire la consapevolezza e la volontà che ci avrebbero portati a diventare persone titolari di diritti e non più oggetto di carità, per uscire dalla prigionia delle istituzioni e dall’isolamento delle nostre case, per diventare protagonisti della nostra vita e per progettare, in libertà, il nostro futuro.
Questo posto era frequentato da vari gruppi di ragazzi e ragazze esterni, che interagivano con i ricoverati in un clima di straordinaria vitalità, di impegno, di complicità in piccole e grandi marachelle. In questo contesto conobbi don Piergiorgio Fain, don Duilio De Anna e molte altre persone che ci hanno lasciato. Piergiorgio era cappellano nella parrocchia di San Quirino e non amava farsi chiamare “don”, si confondeva con gli altri ragazzi ed era, forse, uno dei più attivi e “caciarosi”, con doti di empatia non comuni.
Durante un incontro, qualcuno raccontò di una “comunità di handicappati” che si stava realizzando a Capodarco di Fermo nelle Marche. Informazioni frammentarie e vaghe che incuriosirono e interessarono tutti, soprattutto perché, per molti, un’iniziativa del genere rappresentava una possibilità reale di vita. In quegli anni, infatti, le persone disabili erano ancora prigioniere di modelli consolidati di esclusione dal mondo di tutti. I princìpi dell’uguaglianza di opportunità, della partecipazione, i processi di inclusione, il diritto all’istruzione e al lavoro non facevano ancora parte del bagaglio di consapevolezze delle persone con disabilità e tanto meno della società civile. Gli eventi iniziati con le contestazioni studentesche del Sessantotto avrebbero successivamente coinvolto tutti i gruppi sociali,con rilevanti ricadute anche sul mondo delle disabilità.
Da quegli incontri nacque l’idea di organizzare un viaggio a Capodarco, i contatti si infittirono, le aspettative e l’entusiasmo erano alle stelle. Con Piergiorgio e i suoi ragazzi ci vedemmo spesso dentro e fuori del Gervasutta. Ricordo una sera estiva in cui capitò all’improvviso a casa mia e mentre tutti gli altri entrarono dalla porta, lui, con un balzo atletico, saltò il davanzale della finestra. I miei genitori simpatizzarono subito con lui e quando seppero che era un prete, rimasero increduli davanti ai suoi modi spigliati e alla sua aria giocosa.
Venne così il giorno della partenza. Io avrei viaggiato, a bordo della sua Cinquecento, con lui e Antonietta,una ragazza bionda, timidina e un po’ taciturna. Il viaggio per la Romea e lungo la costa adriatica fino a Porto San Giorgio, in piena estate, con la piccola auto stivata di attrezzatura e di generi alimentari anche sul portapacchi, durò tante, tante ore.
Con Piergiorgio una lunghissima chiacchierata, durata da Udine a Capodarco, mise in luce una persona semplice e alla mano, attenta agli altri e affamata di vita, dinamica e generosa. Stare con lui era molto facile. Quel viaggio e quei compagni di strada non li avrei più dimenticati.
Capodarco era un mondo nuovo tutto da scoprire e capire. Il primo impatto ci rimise con i piedi per terra, ci eravamo lasciati prendere la mano e avevamo, un po’ tutti, ecceduto nel mitizzare. A vent’anni, forse, era un prezzo inevitabile da pagare. Negli anni successivi, grazie ad altri due lunghi soggiorni, ebbi modo di capire meglio quella straordinaria esperienza.
Io fui alloggiato in una camerata e i ragazzi che stavano bene nelle tende che si erano portati da casa. Ricordo che, durante le giornate, persi un po’ di vista il gruppo, da un lato perché raggiungere il campeggio per me era molto difficile a causa della distanza e del terreno scosceso, dall’altra perché fummo subito messi tutti al lavoro e poi perché ognuno di noi era assetato di far nuove amicizie, di capire bene dove eravamo capitati.
Faceva un caldo torrido, si dormiva poco, le condizioni igieniche erano a dir poco precarie, il cibo era scarso e di cattiva qualità, tutto veniva improvvisato, si discuteva molto, si percepiva che lì stava nascendo qualcosa di nuovo e la vitalità non era mai superata dalla stanchezza fisica.
Una mattina avevo saltato la colazione (perché era finita) e nel tentativo di comprare qualcosa, mi accorsi che mi avevano rubato i pochi soldi che mi ero portato dietro. Piergiorgio mi aiutò e ridendo mi disse che dar da mangiare agli affamati era compito di ogni buon cristiano.
Non so quanti giorni passarono, un caldo pomeriggio stavo prendendo un gelato e sentii che a Porto San Giorgio era annegato un prete facendo il bagno in mare. Sul momento non vi feci molto caso. Nel giro di poco tempo, i primi dubbi e poi la conferma: si trattava di Piergiorgio. Prima l’incredulità, poi lo stordimento e il dolore si impadronirono di me, di tutto il gruppo di Udine e della Comunità di Capodarco.
Due giorni dopo passammo tutti davanti alla sua bara a salutarlo per l’ultima volta. Quando in fila mi trovai davanti a lui, sopraffatto dall’emozione e dalle gambe malferme, stramazzai per terra.
Il viaggio di ritorno, con Daniela Garzitto e il povero Luciano Peressotti che si alternavano al volante nella notte, fu molto silenzioso e il ricordo correva alle parole di Piergiorgio durante l’andata e ai molti momenti vissuti insieme.
Oggi, a quarant’anni di distanza, posso dire che se è vero che le cose che fai per te finiscono con te e ciò che fai per gli altri continua a vivere, Piergiorgio è ancora qui tra noi.

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