I più diseguali tra i diseguali

«Dopo la scuola i disabili sono destinati in genere all’invisibilità e alla disoccupazione, e in Italia la spesa pubblica per le prestazioni loro riservate è di molto inferiore alla media europea»: non sono certo dati nuovi, quelli prodotti dal Censis, che definisce le persone con disabilità come «i più diseguali nella crescita delle diseguaglianze sociali», ma fa un certo effetto vederli messi in fila da un autorevole Istituto di Ricerca Socioeconomica

Realizzazione grafica con vari parallelepipedi e sopra altreattante persone. Quella con disabilità è più in basso di tuttiSono dati non certo nuovi, per i nostri Lettori, quelli pubblicati in questi giorni dal Censis, ma vederli messi in fila, a cura dell’autorevole Istituto di Ricerca Socioeconomica Italiana, fa senz’altro un certo effetto, a partire dal titolo scelto (I disabili, i più diseguali nella crescita delle diseguaglianze sociali) e ancor più per il dato culturale espresso, che non per le stesse cifre prodotte.
«Le persone con disabilità – esordisce infatti la nota del Censis – aumentano di numero, ma sotto traccia, senza un’immagine e un’identità precisa. Oggi si stima siano il 6,7% della popolazione totale (4,1 milioni di persone) e nel 2020 arriveranno a 4,8 milioni, che saranno poi 6,7 milioni nel 2040. Eppure l’universo delle disabilità non riesce a uscire dal cono d’ombra in cui si trova, non solo nelle statistiche pubbliche (i dati ufficiali dell’Istat sono fermi al 2005), ma anche nell’immaginario collettivo e nel linguaggio comune. Un italiano su 4 afferma infatti che non gli è mai capitato di avere a che fare con persone disabili. E la disabilità è percepita da 2 italiani su 3 essenzialmente come limitazione dei movimenti, mentre in realtà la disabilità intellettiva è più diffusa in età evolutiva e rappresenta l’aspetto più misconosciuto, al limite della rimozione. E quando poi avanzano nell’età, le persone con disabilità intellettiva sono ancora più invisibili [grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni, N.d.R.]».

Successivamente – sempre appuntando l’attenzione soprattutto su forme di disabilità intellettiva come quelle legate alla sindrome di Down o ai disturbi dello spettro autistico – si parla di scuola e del passaggio praticamente inesistente al mondo del lavoro: «Fino alla minore età, le famiglie possono contare su uno dei pochi, se non l’unico, punto di forza della risposta istituzionale alla disabilità, cioè l’inclusione scolastica, che pur con tutti i suoi limiti e difficoltà rappresenta un’importante occasione di inclusione sociale». Ma poi, prosegue il Censis, «il destino dei ragazzi ormai grandi che escono dal sistema scolastico è sintetizzabile con una parola: dissolvenza. Oltre l’età scolastica, infatti, gli adulti con sindrome di Down, ad esempio, e quelli con autismo, scompaiono nelle loro case, con ridottissime opportunità di inserimento sociale e di esercizio del loro diritto alle pari opportunità».
Le persone con disabilità adulte, quindi – altra costante di tante analisi presentate in «Superando.it» – anche secondo il Censis «rimangono in carico alla responsabilità delle loro famiglie, con sostegni istituzionali limitati e focalizzati quasi esclusivamente sul supporto economico». E tuttavia, anche in questo caso, «dal confronto con gli altri Paesi europei, emerge che la spesa per le prestazioni di protezione sociale per la disabilità, in contante o in servizi, è pari a 437 euro pro-capite all’anno, superiore solo al dato della Spagna (404 euro) e molto inferiore alla media europea di 535 euro». In particolare, si legge ancora, «colpisce quanto poco sviluppata sia la spesa per i servizi in natura, che rappresenta solo il 5,8% del totale, cioè 25 euro pro-capite annui, meno di un quinto della media europea e inferiore anche al dato della Spagna. Le opportunità di accesso ai servizi si riducono poi per i disabili adulti».
«La portata dell’impegno familiare nella gestione assistenziale delle disabilità – è quindi la conclusione – emerge con crudezza, soprattutto se si pensa al valore contenuto del Fondo per la Non Autosufficienza, da poco rifinanziato, che ammonta per il 2014 a soli 340 milioni di euro, ripartititi tra le Regioni per sviluppare i servizi integrati socio-assistenziali e sanitari e la domiciliarità».

Da ultima, ma non certo ultima, la questione del cosiddetto “dopo di noi”, che viene affrontata così dal Censis: «Nel tempo aumenta il senso di abbandono delle famiglie e cresce la quota di quelle che lamentano di non poter contare sull’aiuto di nessuno, pensando alla prospettiva di vita futura dei propri figli disabili». Ad esempio, «mentre tra i genitori di bambini e ragazzi Down fino a 15 anni la quota di genitori che pensa a un “dopo di noi” in cui il proprio figlio avrà una vita autonoma o semiautonoma varia tra il 30% e il 40%, tra i genitori degli adulti la percentuale si riduce al 12%. La quota di genitori di bambini e adolescenti autistici che prospettano una situazione futura di autonomia anche parziale per i loro figli (23%) si riduce ancora più drasticamente (5%) tra le famiglie che hanno un figlio autistico di 21 anni e più». (S.B.)

La presente nota è stata elaborata riferendosi al documento prodotto dal Censis, coincidente con il terzo numero del «Diario della transizione», iniziativa dello stesso Istituto di Ricerca, che si pone l’obiettivo di cogliere e descrivere i principali temi in agenda in un difficile anno di passaggio attraverso una serie di note di approfondimento diffuse nella primavera-estate del 2014 (i numeri precedenti erano stati: L’austerity ha stancato gli italiani: sobri sì, asceti no e Crescono le diseguaglianze sociali: il vero male che corrode l’Italia).

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