In qualche modo bisogna reagire. Non riesco, in queste settimane di maggiore presenza a casa, nella mia lunga e non semplice convalescenza, ad accettare il livello sistematicamente distruttivo di qualsiasi programma televisivo che cerchi di raccontare e affrontare i tanti guai del nostro Paese.
I disastri ambientali, le periferie urlanti, le tensioni in piazza, le sceneggiate nelle aule parlamentari, tutto un minestrone indistinto che contribuisce ad alimentare un disagio, una nausea, un rifiuto del presente e del futuro, in una parola, l’eclissi della speranza.
Raramente vedo analogo impegno mediatico a cercare chi possa raccontare soluzioni praticabili, anche tecnicamente, per affrontare correttamente uno qualsiasi di questi problemi. Eppure le competenze esistono, dalle università alla rete delle associazioni, dai tecnici onesti (che pure ci sono) ai divulgatori non faziosi. Anche all’interno della politica è evidente che vengono interpellate quasi sempre le persone più aduse alla polemica, all’invettiva, allo sfascio. Il quadro che ne esce è desolante e sicuramente contribuisce a quel degrado della coesione sociale che è un pericolo tremendo per chiunque, da sempre, si batte riformisticamente e banalmente nel tentativo di fare la propria parte per risolvere un pezzetto alla volta.
Penso a Milano, squassata dalle acque di Seveso e Lambro, penso a quanto contemporaneamente si stia cercando di fare per migliorare complessivamente l’accessibilità e la mobilità delle persone con disabilità o degli anziani. E mi rendo conto che le ripetute esondazioni, con i danni alle linee della metropolitana, con i disagi improvvisi e pesanti, diano la sensazione che tutto sia inutile, che non ci sia niente da fare.
Ci scopriamo tutti ignoranti rispetto alle scelte di intervento idrogeologico che dovrebbero essere fatte, rispetto ai tempi, ai finanziamenti, alle soluzioni a breve termine. Eppure non possiamo permetterci il lusso di buttare tutto via, assieme all’acqua sporca.
Mai come adesso ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio, prepolitico, semplicemente di cittadinanza e di appartenenza, capace di farci riprendere il cammino, in ogni campo.
Non è possibile, ragionevolmente, che questo Paese sia completamente a pezzi e soprattutto che la catastrofe stia avvenendo qui e adesso, negli ultimi mesi. Una mancanza siderale di memoria, un ripetuto e cinico tentativo di buttare tutto “in caciara”, sperando che alla fine crolli questo sistema, ma non sapendo minimamente chi e come potrebbe davvero ricostruire un futuro civile e democratico.
Per certi versi sento crescere il desiderio di maniere forti, di scelte autoritarie, di plebisciti che facciano piazza pulita di tutto e di tutti. Come persone impegnate nella comunicazione, nell’informazione di servizio, nel racconto del welfare che cambia, non possiamo chiamarci fuori e lasciare che questo scempio continui indisturbato.
A 62 anni voglio continuare a sperare, a vivere, a lottare per fare meglio. E sono certo di non essere il solo.