Anche nel mondo della disabilità, la nuova Legislatura Regionale della Lombardia si era aperta a suo tempo con un carico di aspettative e curiosità connesse al radicale cambio di direzione, politica e amministrativa, dell’Assessorato alla Famiglia.
A distanza di oltre un anno e mezzo dall’avvio della Legislatura stessa, si registrano alcune sorprese, e altrettante perplessità, in un quadro che appare ancora ampiamente in movimento.
Il punto di partenza
Il modello di welfare sociale promosso dalle precedenti Giunte Formigoni è ancora oggi di fatto quello vigente. Esso ha avuto come esiti un notevole incremento della capacità di risposta complessiva del sistema socioassistenziale e sociosanitario lombardo, al prezzo, però, di una sua forte sanitarizzazione. Un processo che ha comportato il rafforzamento dei processi di esclusione sociale delle persone con disabilità, un’ulteriore frammentazione dei servizi, una “dis-integrazione” sociosaniaria e il mancato sostegno sistematico a quell’insieme di interventi alternativi all’istituzionalizzazione e a sostegno della vita indipendente.
Un modello di intervento, dunque, che già da alcuni anni mostra segnali di difficoltà in termini di esiti nella qualità della vita delle persone prese in carico, alle quali viene garantita una buona assistenza, ma una scarsa dimensione relazionale e sociale: problemi e criticità che riguardano la stessa sostenibilità economica del sistema.
A tutto ciò la precedente gestione regionale aveva ipotizzato di rispondere radicalizzando il modello di welfare basato sulla libera scelta, come elemento regolatore del mercato, introducendo in luogo delle diverse forme di voucher oggi attive, un’unica “dote welfare” spendibile in modo sostanzialmente libero, in un mercato dei servizi sociali di fatto liberalizzato.
Le prime affermazioni
La nuova dirigenza regionale si è affacciata al suo nuovo incarico dovendo governare un sistema molto ampio e complesso, i cui elementi di criticità erano già evidenti, proponendo una lettura differente della situazione e individuando quindi ipotesi diverse di soluzione.
Sin dai primi atti, ad esempio, è emerso con forza il tema della presa in carico globale e dell’integrazione sociosanitaria, ovvero due degli elementi che le precedenti Amministrazioni avevano dichiaratamente sacrificato, mettendoli in contrapposizione con l’esercizio della libertà di scelta del servizio da parte del cittadino/utente.
Nei documenti regionali di programmazione questa contrapposizione è stata superata, non all’insegna di una radicale discontinuità, ma con una qualche forma di rafforzamento del sistema di welfare regionale, prevedendo accanto a nuovi servizi e interventi, una nuova modalità di relazione con le persone con disabilità e quindi di regolazione della rete.
Ulteriori elementi di novità erano rappresentati dalla previsione di un deciso incremento di risorse (fino a 330 milioni di euro, di cui 150 dedicati alle persone con disabilità), che pur finalizzati a interventi di carattere sociosanitario, prevedevano il coinvolgimento attivo del territorio, comprendendo non solo le singole ASL, ma anche le Amministrazioni Comunali, fino a quel momento non particolarmente considerate.
Tutti punti di attenzione, quindi, che non intendevano mettere in discussione l’attuale assetto dei servizi per la disabilità, ma che – anche nelle parole pubbliche espresse in incontri e riunioni – avrebbero dovuto aprire la strada a un’evoluzione complessiva del sistema di welfare.
In tal senso, il passaggio dalle parole ai fatti è sembrato avvenire con la Delibera di Giunta Regionale n. X/392 del 12 luglio 2013, che ha previsto interventi a sostegno delle persone con autismo, e soprattutto con la Delibera di Giunta Regionale n. X/740 del 27 settembre 2013, che ha indicato le modalità di riparto e utilizzo del Fondo per la Non Autosufficienza in favore delle persone con disabilità gravi e gravissime.
In entrambi i casi, al di là degli specifici interventi, si presenta e si indica un concetto di presa in carico che non equivale più al semplice inserimento in un servizio, ma richiama l’idea di presa in carico globale e integrata, così come prevista dalla Legge 328/00 (articolo 14) e dai LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) la cui attuazione è stata richiesta a più riprese dalle Associazioni.
Appare quindi in qualche modo naturale che le prime affermazioni e i primi atti della nuova Giunta Regionale in materia di welfare sociale avessero suscitato positive, anche se prudenti, reazioni da parte di molte persone con disabilità e delle loro Associazioni, che attendevano da tempo una svolta nell’approccio regionale alla disabilità in una direzione meno sanitaria e più sociale.
L’aspettativa, perciò, era che le azioni conseguenti a quelle due Delibere – e in particolare quella relativa al Fondo per la Non Autosufficienza – mettessero in moto cambiamenti significativi nella capacità di presa in carico pubblica della persone con disabilità e delle loro famiglie, favorissero una reale collaborazione tra ASL e Comuni, orientassero le risorse alla realizzazione dei progetti e delle ambizioni delle persone.
A distanza di oltre un anno da quei primi provvedimenti, è quindi lecito interrogarsi sugli effetti che essi hanno determinato e sull’investimento di fiducia che avevano a suo tempo generato.
Le promesse mantenute
Abbiamo visto come tra gli aspetti salienti della nuova programmazione sociale comparisse una promessa di incremento delle risorse disponibile e una maggiore attenzione al territorio.
Ebbene, pur in mezzo ad alcune difficoltà, queste attese sembrano essere state sostanzialmente mantenute. Il flusso di risorse destinate al welfare sociale è stato infatti sostanzialmente incrementato e l’area della disabilità è tra quelle che ne ha certamente beneficiato.
Il Fondo Regionale per la Famiglia è ben lontano dalla dotazione prevista, ma nel 2013 ha portato con sé in dote 50 milioni di euro, divenuti 80 nel 2014. Risorse che sono state gestite coinvolgendo più che in passato i territori, in particolare i Comuni, ai quali sono stati destinati in modo integrale i trasferimenti statali. Ai Comuni viene proposto di attivare nuove relazioni e collaborazioni con le ASL, in materia ad esempio di valutazione del bisogno, e grazie a queste condizioni, gli Enti Locali hanno visto complessivamente crescere le risorse disponibili, una tendenza ulteriormente confermata dalla notizia del ripristino ai livelli del 2013 del Fondo Sociale Regionale.
Non è un caso che nel corso del 2014, non si siano registrate particolari segnalazioni di tagli agli interventi sociali destinati alle persone con disabilità, che avevano invece contraddistinto gli anni precedenti.
Inoltre, tra gli esiti positivi di questo primo scorcio di legislatura, non possiamo non fare emergere la capacità dell’azione regionale di ampliare in modo consistente la platea dei beneficiari e della loro composizione e, tra questi, anche l’individuazione di molte persone con disabilità sconosciute alla rete dei servizi. Un risultato solo in parte connesso all’incremento delle risorse disponibili e dovuto all’impronta dichiaratamente universalistica data all’utilizzo del Fondo per la Non Autosufficienza (Delibera di Giunta Regionale n. X/740 citata), almeno per quanto riguarda i progetti di intervento rivolti alle persone definite “con disabilità gravissima”.
Le attese che restano… in attesa!
A fronte di questi risultati, non si registrano tuttavia significativi passi in avanti nel processo di riforma del modello di welfare, che è invece rimasto sostanzialmente immutato.
Forse è anche una questione di tempo, ma in generale si evidenzia come le intenzioni e le dichiarazioni contenute in alcune Delibere di Giunta Regionale, di promozione della funzione di presa in carico globale e integrata, si siano scontrate, in fase di applicazione, con una serie di comportamenti non coerenti con tali indicazioni, da parte degli attori locali e in particolare delle direzioni delle ASL, ma anche di molte Amministrazioni Comunali.
Entrando nel merito di alcuni provvedimenti regionali, notiamo innanzitutto che poco o nulla si sa degli esiti dei progetti promossi dalle ASL tramite la citata Delibera di Giunta regionale n. X/392 in tema di autismo (anche in collaborazione con realtà del Terzo Settore), per sperimentare processi di presa in carico globale e integrata. Si conferma così un certo grado di difficoltà della Direzione Regionale Famiglia nella gestione di percorsi sperimentali che, proprio per la loro natura, dovrebbero essere facilmente accessibili sia nelle loro premesse che nei loro esiti. Per altro, le ripetute rimostranze dell’insieme delle Associazioni di persone con autismo attive in Lombardia, sulla mancata integrazione sociosanitaria negli interventi in favore delle stesse persone con autismo, non sembrano comunque deporre a favore di esiti particolarmente significativi in termini di innovazione nel funzionamento del sistema dei servizi.
Molte sono invece le informazioni disponibili in merito all’attuazione della Delibera n. X/740 che, nel disporre l’utilizzo delle risorse del Fondo per la Non Autosufficienza, prescriveva un processo di presa in carico globale e integrato tanto alle ASL quanto ai Comuni, un processo, invece, quasi completamente ignorato dagli attori territoriali che si sono mossi a diverse velocità (prima le ASL e poi i Comuni. Se ne legga anche su queste stesse pagine), senza sostanzialmente mettere in opera quanto previsto dalla stessa Delibera, sia rispetto alla valutazione multidimensionale del bisogno, quanto alla progettazione integrata.
Tutto, a partire dalla comunicazione, viene ricondotto all’erogazione del contributo economico e le attività istruttorie vengono di fatto descritte e realizzate non in funzione dell’orientamento delle successive azioni, ma come semplice attività “certificatoria”, per determinare gli aventi diritto o in funzione del loro stato di salute o della capacità di spesa.
Visto dunque con gli occhi degli esiti – che sono poi gli occhi dei beneficiari – il sistema non sembra essere soggetto a cambiamenti profondi, ma a una serie di manutenzioni che, nel caso specifico hanno comunque determinato, come già detto, il consistente ampliamento delle persone con disabilità coinvolte, alcune delle quali fino ad allora sconosciute alla rete dei servizi sociali. Novità e cambiamenti che non hanno tuttavia scalfito, almeno per il momento, l’impianto complessivo del modello di welfare regionale, il quale, attraverso la rete di unità di offerta sociosanitarie e socio assistenziali, ha in carico quasi 20.000 persone con disabilità.
Questa rete di servizi ancora oggi, in continuità con le gestioni precedenti, viene sottoposta a una serie di sollecitazioni per favorirne l’efficienza, intesa in senso economico e gestionale. Vanno lette in questa direzione, ad esempio, le nuove regole sul trattamento economico del cosiddetto “vuoto per pieno”, tese a contrastare un fenomeno di dispersione delle risorse, senza interrogarsi profondamente sul significato di quei giorni di “assenza” dal servizio per la qualità e dignità della vita delle persone coinvolte.
Deficit di programmazione o deficit di riflessione?
In realtà i punti critici erano in qualche misura pre-annunciati. Ciò che è mancato è la consapevolezza che il passaggio da un sistema basato sulla libertà di scelta e sui voucher a uno basato sulla presa in carico e il budget di cura, per essere reale non poteva semplicemente pre-scriversi sul testo di una Delibera. Sarebbe stato infatti necessario prevedere una serie di azioni di carattere informativo e formativo, dalla predisposizione di strumenti di lavoro, dalla stesura e diffusione di linee guida, da un monitoraggio e anche controllo stringente non sul rispetto delle procedure burocratiche, ma sui contenuti delle iniziative e dei progetti e sui loro esiti. Attività e azioni da predisporre con cura e da verificare in itinere, creando le condizioni affinché il flusso di informazioni sull’andamento reale delle iniziative potesse essere consistente e circolare, coinvolgendo tutti gli attori del sistema.
Accanto a questo deficit nella fase di pianificazione, emerge nei primi passi della nuova Amministrazione Regionale un ulteriore limite, che si potrebbe definire “di riflessione”, riguardante proprio l’area della disabilità e man mano che le parole utilizzate negli atti regionali convergono con quelle utilizzate da chi ha una visione prettamente sociale della disabilità, si rende sempre più evidente una difficoltà che non appartiene certo ai soli uffici regionali.
In sostanza, non viene, almeno per il momento, raccolta la sfida di interrogarsi in maniera radicale sulla natura stessa del fenomeno disabilità, sulla rappresentazione che accettiamo e che quindi riflettiamo. In altre parole, il passaggio da una visione sanitaria e assistenziale della disabilità a una più schiettamente sociale sembra ancora non compiuto, nella Regione Lombardia, intesa tanto come Istituzione che come Territorio e Comunità.
Questo “deficit di riflessione” rende forse più evidenti le successive difficoltà a implementare scelte politiche che da questa visione sociale della disabilità discendono, come quella che propugna il diritto alla vita indipendente e all’inclusione sociale, che potrebbe essere garantita attraverso la presa in carico globale e integrata e l’utilizzo del budget di salute.
Ma proprio forse questa maggiore evidenza dello scarto tra le affermazioni valoriali, i risultati auspicati e i risultati fino ad ora raccolti potrà rappresentare lo stimolo maggiore a curare con maggiore attenzione gli aspetti connessi all’implementazione di politiche sociali finalizzate al riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità.
Direttore della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Diabilità), componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Il presente approfondimento è già apparso in «Lombardia Sociale.it» ed è stato po ripreso anche nel sito della stessa LEDHA. Viene qui ripubblicato, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore e al differente tempo di pubblicazione, per gentile concessione.
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