Com’è noto, il 27 gennaio scorso si è celebrato il Giorno della Memoria, ricordato dalle comunità ebraiche, da omossessuali e lesbiche e dalle persone con disabilità (le prime a subire lo sterminio nazista). Memorie di un tempo che fu? Non esattamente, se nel 2006 alcuni medici olandesi hanno firmato una proposta che prevedeva l’infanticidio dei bambini gravemente malati (il cosiddetto Protocollo di Groningen), e se solo nell’agosto dello scorso anno un biologo britannico, tal Richard Dawkins, si è sentito libero di scrivere su Twitter che sarebbe «immorale mettere al mondo una persona con sindrome di Down».
Se la memoria dell’Olocausto mette ancora paura, davanti a questi campanelli d’allarme lo sgomento si inspessisce sino a permeare anche l’interpretazione dei comuni fatti di cronaca.
Così, quando qualche giorno fa è circolata anche tra i media italiani la notizia che la Court of Protection del Regno Unito ha stabilito che una donna con disabilità mentale di 36 anni, già madre di sei figli, va sottoposta a sterilizzazione forzata, il primo pensiero è stato: «Ecco, ci risiamo!». Eh sì, perché non va dimenticato che tale pratica non venne attuata solo nel periodo nazista per inseguire il delirio della purezza della razza, ma ricorre ancora oggi, e non solo nei Paesi in Via di Sviluppo.
Eppure, leggendo meglio e confrontando le diverse fonti, in questa vicenda c’è qualcosa di diverso: «[…] secondo la commissione scientifica intervenuta durante il dibattimento [la donna] ha un utero talmente assottigliato che un’ulteriore gravidanza potrebbe causarle una morte assai dolorosa. Ma la donna non è neanche in grado di usare anticoncezionali o di regolare la sua vita sessuale […]» (Daniele Guido Gessa, Uk, una donna disabile mentale sarà sterilizzata forzatamente, in «Il Fatto Quotidiano.it», 4 febbraio 2015).
In sostanza non si tratterebbe di perseguire finalità eugenetiche (nel senso deteriore del termine), e neppure di negare che anche una donna con disabilità psichica abbia diritto – se lo desidera e se le circostanze lo consentono – di diventare madre (non dimentichiamo che la donna in questione è già madre), ma di evitare che la donna intraprenda un’ulteriore gravidanza che metterebbe a rischio la sua vita.
La pratica della sterilizzazione comporta indubbiamente una limitazione permanente dell’integrità fisica della persona. E la circostanza che nel caso delle donne con disabilità psichica non possa essere la diretta interessata a prendere la decisione richiede che il processo decisionale sia disciplinato con regole estremamente rigorose e severe, tali da consentire di stabilire se davvero sussista un reale pericolo per la salute e la vita della donna con disabilità, o se invece si vogliano perseguire altre finalità.
Nella vicenda inglese, la decisione non è stata presa dai medici, bensì dalla Court of Protection, un tribunale che si occupa in modo specifico delle persone non in grado di intendere e di volere, dunque non un tribunale generico, senza competenze in tema di disabilità psichica. È una tutela sufficiente? Parliamone.
Con queste imprescindibili precisazioni, e in mancanza di alternative praticabili, posso ipotizzare – ma la mia è naturalmente un’ipotesi del tutto personale – che in caso di pericolo di vita, sia la tutela della vita stessa a dover avere la precedenza su qualunque altra considerazione.
Eppure non è così. Confrontandomi infatti con alcune donne con disabilità, scopro che alcune di esse intendono il divieto di sterilizzazione forzata in termini assoluti, senza alcun tipo di eccezione. Davanti a quel «NO assoluto alla sterilizzazione», io mi fermo, rimetto in discussione la mia ipotesi (forse esistono delle alternative, anche se io non riesco a vederle), e propongo una riflessione su alcune questioni alle quali non so dare risposta.
Infatti, a prescindere dalla vicenda inglese, esistono davvero situazioni legate alla sfera sessuale e riproduttiva delle persone con disabilità psichica che sollevano molti dubbi etici. Ciò accade in modo particolare per le donne, giacché gli uomini non rimangono in stato interessante.
Dunque, posto che il diritto ad esprimere la sessualità e quello alla genitorialità non sono in alcun modo in discussione, si pongono diversi interrogativi.
Tuttavia, prima di andare avanti con il ragionamento, dobbiamo tenere presente che, nell’affrontare questi temi è sempre necessario distinguere le situazioni nelle quali la persona con disabilità psichica è capace di esprimere l’attività sessuale in modo consensuale, dai casi in cui questa capacità è assente o fortemente limitata.
In questa riflessione, per semplificare, prendo in considerazione solo casi di attività sessuali consensuali, ed escludo quelli che configurano situazioni di abuso e violenza.
Nello specifico penso a quelle situazioni in cui le donne con disabilità sono incapaci di regolare la propria vita sessuale, di usare anticoncezionali, e di prendersi cura dei propri figli. Impedire loro di esprimere la sessualità sarebbe una violazione dei diritti umani, ma esprimere la sessualità senza usare misure anticoncezionali espone queste donne al rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili, e – aspetto ancor più problematico – di intraprendere continue gravidanze legate esclusivamente al caso, senza alcuna progettualità genitoriale.
Permettere a queste donne di intraprendere diverse gravidanze e poi, una volta nati, levare loro i figli perché la disabilità delle madri è tale da non consentir loro di prendersi cura degli stessi (nemmeno con l’aiuto di qualche familiare, o di qualche assistente), non sembra un percorso rispettoso dei diritti umani delle madri, e neppure dei figli. E d’altra parte, anche precludere la genitorialità è lesivo dei diritti umani.
Insomma, sembra proprio che qualunque condotta si intraprenda si incorra in una violazione dei diritti umani. Come se ne esce? Nel rispondere a questa domanda non si pensi a una “donna astratta”. Si provi invece a immaginare di conoscere realmente questa donna, e magari di volerle anche un po’ di bene. Si immagini di volerle garantire rispetto e dignità. Sapendo che lei non è in grado di decidere da sola, quale percorso proporreste per lei?
Infine, c’è la questione della sterilizzazione per quei casi in cui la donna con disabilità psichica è incapace di usare anticoncezionali e un’eventuale gravidanza la esporrebbe a rischio di vita. Chi esprime un no assoluto a tale ipotesi dovrebbe anche proporre un’alternativa praticabile.
Spero davvero che questa alternativa esista. Ci sono tuttavia situazioni nelle quali non c’è la possibilità di scegliere tra il bene e il male, ma solo quale – tra due o più mali – sia più sopportabile. Nessuno e nessuna si racconti che non scegliere comporti una responsabilità minore: in casi come questi, infatti, non scegliere, non fare niente, è già di per sé una scelta. Ed è una scelta con conseguenze ben definite.
La presente riflessione è già apparsa nel sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con il titolo “Sterilizzazione forzata, le paure e i dubbi”, e viene qui ripresa, con minimi riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione, insieme anche all’immagine scelta nel testo originale.
L’Autrice della presente riflessione segnala di avere consultato, ai fini dell’elaborazione della stessa, la seguente documentazione:
– Campo, Mariangela, Londra: tribunale decide di sterilizzare forzatamente una donna disabile, in «WakeUpNews», 6 febbraio 2015.
– Lista, Annalisa, Sentenza shock: “madre disabile va sterilizzata con la forza”, in «West – Welfare Società Territorio», 6 febbraio 2015.
– GB. Donna disabile mentale sarà sterilizzata forzatamente. Il giudice: “Una gravidanza mette a rischio la sua vita”, in «quotidianosanità.it», 5 febbraio 2015.
– Palma, Antonio, Sentenza shock in Gran Bretagna: disabile mentale sarà sterilizzata forzatamente, in «fanpage.it», 5 febbraio 2015.
– Regno Unito: sterilizzazione forzata per donna di 36 anni, incapace di curare i suoi figli, in «CheDonna.it», 5 febbraio 2015.
– Gb: sentenza choc, disabile mentale potra’ essere sterilizzata, in «agi.it», 4 febbraio 2015.
– “Disabile mentale con 6 figli va sterilizzata”. Polemica per una sentenza in Gran Bretagna, in «La Stampa», 4 febbraio 2015.
– Gessa, Daniele Guido, Uk, una donna disabile mentale sarà sterilizzata forzatamente, in «Il Fatto Quotidiano.it», 4 febbraio 2015.
– Borgato, Stefano, Alcune frasi da tenere sempre in mente, in «Superando.it», 28 gennaio 2015.
– Delendati Stefania, Quel primo Olocausto, in «Superando.it», 20 gennaio 2015.
– Guerrera, Antonello, Richard Dawkins: “Partorire un bimbo down è immorale”. Ed esplode la polemica, in «la Repbblica.it», 21 agosto 2014.
– Gruppo Donne UILDM: Coordinamento (a cura di), Sterilizzazione forzata? Un crimine contro le donne disabili di tutto il mondo, in sito della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), Gruppo Donne UILDM, 4 settembre 2013. Testo ripreso da «Superando.it», con il titolo Un crimine contro tutte le donne con disabilità.
– Stop, ovunque e per sempre, alla sterilizzazione forzata!, in «Superando.it», 29 agosto 2013.
– Abbadessa, Ivano, Perché sterilizzare le figlie disabili?, in «West – Welfare Società Territorio», 27 agosto 2013.
– Spagna e sterilizzazione forzata delle persone disabili, in «SuperAbile», 13 luglio 2012.
– Credi, Beatrice, Perché la sterilizzazione forzata è un’ingiustizia, in «West – Welfare Società Territorio», 17 ottobre 2011.
– Contro la sterilizzazione forzata di ragazze e donne con disabilità, in «Superando.it», 24 settembre 2009.
– Bosisio Fazzi, Luisella, Le nostre vite piene di dignità, in «Superando.it»,10 gennaio 2007.
– Zucconi, Vittorio, Usa, la condanna di Ashley, essere bambina per sempre, in «La Repubblica.it», 5 gennaio 2007.
– Verhagen Eduard, M.D., J.D., and Pieter J.J. Sauer, M.D., Ph.D., Il Protocollo di Groningen. Eutanasia per i neonati gravemente malati, in «Salute.aduc.it», 27 marzo 2006.
– Comitato Nazionale per la Bioetica, Il problema bioetico della sterilizzazione non volontaria, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 20 novembre 1998.
– Verso l’eutanasia: sterilizzazione forzata e propaganda, in «Olokaustos», s.d.
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