Noi caregiver, “invisibili tra gli invisibili”, chiediamo la Grazia!

di Simona Bellini*
È questa la provocatoria conclusione della lettera aperta inviata dalla Presidente del Coordinamento Famiglie Disabili al Presidente della Repubblica, «in considerazione del fatto - scrive Simona Bellini - che noi caregiver familiari siamo spesso rinchiusi, insieme ai cari di cui ci curiamo, nelle nostre case, in una condizione di “arresti domiciliari”, pur senza avere commesso alcun reato»

Particolare di persona in carrozzina e di persona non disabile e le loro ombre sull'asfaltoSignor Presidente Sergio Mattarella, con questa lettera vorremmo portare alla sua attenzione la condizione in cui vivono alcune migliaia di cittadini italiani in un contesto di gravissima fragilità, totalmente abbandonati dal proprio Paese.
Lo facciamo oggi, martedì 7 aprile, Giornata Internazionale dedicata al “lavoro invisibile”, quello delle casalinghe, delle madri di famiglia e dei caregiver familiari. Spesso apparteniamo a tutte queste categorie, ma è quest’ultima condizione – quella appunto di caregiver familiari – che ci rende “invisibili tra gli invisibili”.

Siamo persone impegnate in àmbito domestico nel lavoro di cura di familiari non autosufficienti a causa di gravi disabilità. Il nostro onere – frutto di valori fondamentali come la famiglia e l’amore – non prevede attualmente nel nostro Paese nemmeno l’accesso ai diritti umani fondamentali, come il riposo, la salute, la vita sociale, a causa del quotidiano svilimento della nostra Costituzione da parte di quelle Istituzioni che, in una sorta di impunità ormai tristemente e supinamente tollerata dai più, giustificano la propria colpevole assenza a volte con l’ingovernabilità, a volte con la burocrazia soffocante, ma, soprattutto, con una indisponibilità economica che porta a preferire l’investimento nell’allontanamento e nel ricovero coatto delle persone che amiamo e alle quali dovrebbero invece garantire il totale rispetto al loro diritto d’inclusione.
Non dovrebbe invece sfuggire, Signor Presidente, che in tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea, con l’esclusione della sola Italia, anche in quelli che vivono una situazione economica pesantissima, la figura del caregiver familiare viene affiancata e sostenuta con leggi specifiche, per permettergli di continuare a svolgere la sua importante funzione in condizioni umane accettabili, e quindi per lungo tempo, senza dovere invece soccombere alla fatica, e a sostegno di quel welfare che senza questo impegno crollerebbe insanabilmente.

Nel 2009 la ricercatrice Elizabeth Blackburn ha vinto il Premio Nobel per la Medicina con uno studio che ha scientificamente dimostrato come lo stress al quale sono sottoposti i caregiver familiari riduca le loro aspettative di vita dai 9 ai 17 anni, rispetto al resto della popolazione, ma averlo reso noto a più riprese al potere legislativo e a tutte le Istituzioni coinvolte non ha sortito alcuno di quegli effetti che sarebbero stati considerati doverosi altrove. Nè è stato per altro previsto – a ulteriore conferma della totale indifferenza nei confronti dei caregiver familiari – il loro inserimento tra le categorie salvaguardate dalla Riforma Previdenziale che, basata sulle prolungate aspettative di vita della popolazione, ha invece incomprensibilmente esteso il loro impegno lavorativo che, non dimentichiamo, si somma quotidianamente al lavoro di cura svolto per il proprio familiare.

E tuttavia ci sono anche caregiver familiari che il lavoro sono stati costretti ad abbandonarlo, per garantire quel sostegno assistenziale indispensabile alla sopravvivenza del loro caro colpevolmente ignorato dai servizi posti a supporto.
In tutto il Paese, infatti, vengono erogati a domicilio supporti minimali, sulla base di parametri incomprensibilmente differenziati sul territorio nazionale, spesso basati sulla patologia dell’assistito, invece che sulla misurazione obiettiva del livello di sostegno necessario. Questo costringe molte famiglie gravemente disabili a un graduale impoverimento, fino alla totale indigenza, disponendo unicamente delle sole, minime provvidenze che lo Stato eroga alle persone con disabilità. Provvidenze che – in considerazione delle cifre estremamente esigue e mai sufficienti nemmeno al mantenimento delle condizioni di cura legate alla disabilità, né a bonificare veramente quel divario che la nostra Costituzione impone ai Legislatori di colmare – sono state addirittura prese di mira per trasformarle, agli occhi delle istituzioni italiane, in reddito, ossia in ricchezza disponibile.
È storia recente e nota, infatti, l’inserimento di indennità e pensioni riconosciute a persone non in grado di provvedere a loro stesse, nel computo dei redditi di quell’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), che dovrebbe invece individuare le persone più bisognose per indirizzare loro adeguate risposte sociali.
Con grave disagio, un gruppo di cittadini – prevalentemente persone con disabilità e caregiver familiari – ha pertanto promosso un ricorso contro questo iniquo provvedimento, giungendo ad ottenere alcune Sentenze, recentemente pronunciate dalla Magistratura [Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, n. 2454/15, n. 2458/15 e n. 2459/15, N.d.R.], che hanno dato loro ragione, ma che, nella loro ormai estrema arroganza, le Istituzioni italiane stanno volontariamente ignorando, come se anche la Giustizia, nel nostro Paese, non fosse più un punto di riferimento importante per tutti, ma un mero organo consultivo le cui decisioni possono essere o meno rispettate dallo Stato.

Questa situazione, sempre più gravosa per le famiglie caregiver – ormai costantemente sotto il ricatto di veder sottrarre al proprio nucleo affettivo il familiare con disabilità per il ricovero in istituto, un infierire, questo, su condizioni di fragilità che nel nostro Codice Civile viene definito «stato di schiavitù», alle cui moderne forme ha recentemente fatto riferimento anche Papa Francesco – le ha costrette quindi alla rinuncia di tutti quei diritti che nel mondo vengono considerati come “fondamentali” e appunto irrinunciabili, per potersi definire un Paese civile.
Non senza amarezza per la presa d’atto di un fallimento che è da considerarsi di tutti i cittadini italiani e allo scopo di sensibilizzare l’Unione Europea, cui il nostro Paese deve riferirsi anche per queste criticità, i caregiver familiari italiani hanno avviato una raccolta di firme, che ha finora ottenuto decine di migliaia di adesioni, e che è stata inserita negli atti della Commissione dell’Unione Europea per le Petizioni perché l’Italia venga sollecitata a trasformare le dichiarazioni di intenti relative alla valorizzazione delle famiglie e delle donne, in provvedimenti specifici che non si limitino a meri proclami politici, ma che mirino veramente ad uscire da un periodo di gravissima crisi, senza che a pagarla siano le fasce di Cittadini italiani più fragili e indifese.
Chiediamo pertanto a lei, nostro Presidente della Repubblica, nella sua funzione di Garante della Costituzione italiana, che inserisca tra le sue priorità la promozione del riconoscimento delle tutele minime dei caregiver familiari – quali quelle sanitarie, previdenziali e assistenziali – in considerazione del lavoro di cura che essi somministrano quotidianamente e senza soluzione di continuità, pur senza accesso a ferie, riposo notturno garantito, festività e nemmeno alla possibilità di ammalarsi.

In considerazione, infine, del fatto che noi caregiver familiari siamo spesso rinchiusi, insieme ai cari di cui ci curiamo, nelle nostre case, in una condizione di “arresti domiciliari”, pur senza avere commesso alcun reato, ci rivolgiamo a lei per chiedere di poter accedere all’Istituto della Grazia, che solo il Presidente della Repubblica nel nostro Paese può concedere, perché venga restituita, ai nostri familiari e a noi stessi, quella libertà che ci è stata sottratta senza alcuna condanna né processo giudiziario.
Ritenga a sua disposizione una delegazione di caregiver familiari che – compatibilmente con la propria difficile condizione – faranno di tutto per partecipare personalmente a un eventuale incontro di approfondimento, che la preghiamo di non estendere a realtà che – pur arrogandosi autonomamente il diritto di rappresentarci – mai hanno nemmeno tentato di abbozzare una seppur minima denuncia della nostra particolare e impegnativa condizione umana.

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