Ho incontrato Luigi Bandini Buti nella mia stanza multifunzione alcune settimane fa. Un simpatico signore che, se non sei del mestiere, per conoscerlo devi leggerti la pagina di Wikipedia a lui dedicata. Gli si deve l’introduzione nel nostro Paese dello studio dell’ergonomia e una prima affermazione del cosiddetto Design for All (“progettazione universale”).
Qualche giorno fa, come le ciliegie, che una tira l’altra, mi ha contattato Chiara Cerea, attuale presidente proprio di Design for All Italia, per presentarmi il convegno intitolato Un pensiero per tutti – Staffetta del progetto inclusivo. Ingolosito dall’avere sottomano il meglio del sapere sull’accessibilità concepita per tutti, ho raccolto i pareri di entrambi, finendo per scoprire che l’odioso gradino all’entrata di tanti negozi non è così facile da demolire. E poi un’infinità di altre informazioni utili.
Una buona parte di tal sapere è stata dibattuta nel citato convegno del 9 aprile a Carugate (Milano), valido come corso formativo per architetti, ma rivolto praticamente a tutti. Un incontro dal programma ricchissimo, direi succulento, anche in considerazione del calibro dei tanti professionisti presenti.
Per capirci, c’è una frase che rende bene l’idea dell’argomento che stiamo trattando, ed è la definizione di Design for All scelta per la presentazione della giornata di Carugate: «L’uomo non è standard: alto/basso, bambino/anziano, con/senza occhiali, colto/analfabeta, in bicicletta/sulla sedia a rotelle, attento/distratto, autoctono/straniero ecc. Il Design for All è l’approccio sociale che proclama il diritto umano di tutti all’inclusione e l’approccio progettuale per conseguirla. Progettare for All significa concepire ambienti, sistemi, prodotti e servizi fruibili in modo autonomo da parte di persone con esigenze e abilità diversificate coinvolgendo la diversità umana nel processo progettuale».
Chiara Cerea fa un po’ di storia del marchio di qualità Design for All: «Design for All Italia è membro di EIDD Design for All Europe, fondata nel 1993 come organizzazione federale europea per lo sviluppo della teoria e pratica del Design for All. L’anno seguente, la nostra è diventata una delle prime organizzazioni nazionali. Allora vi entrai, insieme ad altri dell’AIPI, l’Associazione Italiana Progettisti in Architettura d’Interni, perché sentivamo che i princìpi di inclusione sociale espressi dai due fondatori dovevano cominciare a pervadere anche il nostro àmbito di lavoro. Oggi EIDD Design for All Europe è un’organizzazione internazionale che sta crescendo rapidamente, con una trentina di organismi soci in più di venti Paesi europei. La missione di EIDD è di assicurare che in Europa, entro il 2020, l’inclusione e la coesione sociale siano le basi dei processi decisionali politici e aziendali a tutti i livelli, applicando l’approccio e la metodologia Design for All. Aggiungo che la pianificazione e progettazione che rispetti tutti gli aspetti della diversità umana permette di aumentare di un 15-25% la penetrazione nel mercato».
Luigi Bandini Buti inizia invece a raccontarsi così: «A un certo punto della mia vita, anziché fare il “pensionato ai giardinetti”, mi sono dato anima e corpo al Design for All. Sono stato presidente dell’Associazione Design for All Italia e ora sono responsabile del marchio di qualità Design for All».
Bandini Buti, quando parla, non distingui se stia sognando o progettando. Se ti concedi di ascoltarlo fino in fondo, capisci che il suo essere è un fluire di creatività. Dice infatti:«Il Design for All non è solo mobilità, ma riguarda tanti altri tipi di inclusione sociale. La comunicazione, per esempio. Perché si deve scrivere in molte lingue lunghi testi per far capire, e invece non si devono usare messaggi transculturali, che si riferiscono cioè al patrimonio di conoscenze in possesso di qualsiasi essere umano? Noi possiamo scrivere la parola “mela” in molte lingue, ma se mettiamo lì la mela stessa, è garantito che tutti capiranno, anche coloro che non l’hanno mai vista. Perché invece di mettere frecce e scritte per indirizzare ai bagni, non si mettono immagini al vero di donne alte, basse, incinte, con bambini, in carrozzina ecc., che si avviano verso una direzione? Tutti capirebbero, e capirebbero anche che il luogo dove andranno è pensato per tutta una varia umanità, cioè per loro».
Parliamo a questo punto del gradino che c’è all’entrata di molti edifici: «I negozianti sono tutti cattivi? Nient’affatto! È la struttura di tante case che non consente di fare rampette interne al perimetro. La soletta del pianterreno, come quella di tutti i piani, è circondata da un travone di cemento armato che collabora alla statica dell’edificio. È intoccabile! Perché allora per i nuovi edifici non si richiede di fare le travi d’àmbito ribassate al di sotto della quota marciapiede o comunque si adottano strutture non intoccabili?».
Altro àmbito “caldo” per Bandini Buti, che è fra l’altro il geniale autore di Design for All. Aree di ristoro – Il caso Autogrill, dove racconta cosa caratterizza la progettazione di un’area di servizio per tutti, è la fruibilità museale: «Il Design for All – sottolinea – ci insegna che i musei e le aree archeologiche (e tant’altro) non dovrebbero essere progettati pensando a cosa c’è da mostrare, ma partendo da chi li vedrà, cioè pensando ai loro desideri, curiosità e interessi. Io penso che ci siano almeno tre o quattro categorie ben distinte di utenti: quelli che vogliono vedere solo le eccellenze; quelli che vogliono farsi guidare; quelli che, come i bambini, dovrebbero essere oggetto di grande attenzione; e gli studiosi. Allora io vedo un museo non organizzato con la logica degli esperti, bensì per argomenti e in maniera possibilmente divertente e interattiva. Non mi va bene il museo fatto dagli esperti per gli esperti».
Confrontarsi con persone così non può fare che bene, apre la mente e per me – che scrivo per il piacere di fare informazione piuttosto che notizia – parlare di questi temi è certamente un piacere per l’anima, anche perché mi piace pensare che a qualcosa possa servire.