Gentile signora Stefania [Stefania Stellino, presidente dell’ANGSA Lazio, Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici, N.d.R.], non le nascondo che il primo moto, nel leggere il suo commento alla mia riflessione, è stato di stupore [il riferimento è al testo di Stefania Stellino da noi pubblicato con il titolo “Al centro, quel giorno, sono state le Persone con autismo”, che prendeva spunto da un precedente testo di Rosa Mauro, intitolato “Trattate i nostri figli come Persone, basterà!”, N.d.R.]. Quel mio articolo, infatti, è stato letto e commentato in molti dei miei gruppi di lettura, senza che ne venisse colto l’aspetto negativo da lei sottolineato.
È chiaro, infatti, che la mia riflessione non sosteneva affatto, come lei afferma, che la visita del 2 aprile al presidente della Repubblica Mattarella, da parte di alcune Associazioni impegnate in àmbito di autismo, fosse sbagliata, e men che meno che io la considerassi in qualche modo una svalutazione delle persone con autismo, ciò che non risulta in alcun punto del mio scritto.
La sua accusa, poi, di essermi concentrata solo su una frase, mi scusi, ma risulta decontestualizzata; infatti, quella della battuta sul vostro incontro con il presidente Mattarella («le persone con autismo è come se fossero suoi nipoti»), è solo una minima parte di ciò che avevo scritto.
Se dunque ha letto attentamente il mio scritto, che giudica condivisibile, concentrandosi però su quell’unica frase, esso presentava alcune domande che, dalla sua precisazione, risultano ancora senza risposta. Io mi chiedevo infatti: quale impegno è stato preso, durante la Giornata per la Consapevolezza dell’Autismo del 2 Aprile, nei confronti delle persone adulte con disabilità? E quale impegno è stato sottoscritto a proposito della valutazione delle competenze per il recupero sociale e lavorativo delle persone con autismo in età adulta, cioè dai diciotto anni in poi?
Purtroppo io all’incontro con il presidente Mattarella non c’ero, e non ho assistito all’emozionante momento che mi ha descritto; tuttavia lei mi insegna, come madre di due persone autistiche, che la vita dei nostri figli si svolge quotidianamente e che le eccezioni, sia pur belle, sono appunto eccezioni. Quindi trovo particolarmente grave che, nonostante la rappresentanza, un vero e proprio impegno – o almeno così si deduce non solo dalle sue parole, ma anche dal Protocollo firmato dalle ministre Giannini e Lorenzin – non sia stato affatto preso e che io e mio figlio ci troviamo ancora privi di un futuro senza o “durante me”, degno di essere chiamato tale. È questo che, se legge bene, troverà nella mia riflessione.
Io, signora Stefania, non posso battermi solo per me stessa, o non posso gioire solo per chi, come lei e pochi altri, va ad un incontro con il Capo dello Stato. Io devo chiedere rispetto e norme sicure anche per la mamma di un piccolo paesino del Molise, della Campania e anche del Lazio, dove nulla c’è per l’autismo, né leggi né possibilità.
Molti ragazzi sono costretti a strapparsi dal contesto familiare, per poter usufruire di un minimo di assistenza e questo non è accettabile.
È per il futuro di tutte le persone con autismo che si lavora, ed è questo che va chiesto al presidente Mattarella, in quanto principale carica istituzionale del nostro Paese, e ai rappresentanti della politica.
Ci vogliono leggi, leggi serie che tutelino noi e i nostri figli, leggi che sostengano laboratori di lavoro stabili, leggi che permettano ai nostri figli di potersi considerare cittadini attivi della società. E ciò deve riguardare tutta l’Italia, non solo poche Regioni virtuose, costringendo intere famiglie a smembrarsi, perché si vive in un posto anziché in un altro.
Se anch’io vado ad ascoltare il bellissimo, ne sono certa, discorso di una mamma come me, questo non cambia la realtà di mio figlio che, compiuti diciotto anni, rischia addirittura di essere scagliato nel “mare magnum dei disturbi psicotici”, perché la diagnosi di persona con autismo in età adulta non è prevista dalla legge.
Bisogna per forza di cose essere pratici e pretendere questo dai nostri rappresentanti; ecco il senso della mia contestazione e non certo il voler sminuire la vostra giornata e il vostro impegno.
I nostri rappresentanti devono trattare i nostri figli come Persone e come Cittadini, perché questa è una realtà obiettiva, priva di un contorno emotivo che in una società civile va sostituito con l’impegno a una valutazione non discriminatoria di tutti i membri di essa.
In parole povere, io voglio che il presidente Mattarella sorrida a mio figlio, ma anche che chiami il presidente del Consiglio Renzi al Colle e gli dica che adottare un ISEE [Indicatore della Situazione Economica equivalente, N.d.R.] che consideri l’invalidità alla sorta di un reddito è immorale. E che glielo dica non perché mio figlio gli sta simpatico, perché gli ha donato un manufatto o perché ha assistito un mio discorso, ma perché è giusto.
Se non ci battiamo per questo, per i nostri figli tutto sarà sempre collegato a una serie di felici coincidenze annuali, a un’emozione che siamo riusciti a suscitare, qualcosa che però non avrà a che fare con quella durabilità legislativa che, sola, può garantire percorsi stabili nel tempo e, quindi, un futuro che non possa essere minacciato da un cambio di governo, o di politica sociale.
Ora che siamo entrate in contatto, cosa che mi fa molto felice, il mio augurio è che lei legga l’articolo precedente e questo mio nell’ottica di qualcuno che vuole aiutare, e non certo sminuire, il suo lavoro. E mi piacerebbe che prendesse spunto da ciò che chiedo, per poter portare anche la mia voce al di là delle pagine di «Superando.it», nel mondo dove lei, di certo per suo merito, come responsabile di una sede dell’ANGSA, può entrare e io no.
Non tutti abbiamo il carattere, ma anche la possibilità, di recarci in certi posti, ma è proprio per questo che si prende carta e penna e si scrive, sperando di non essere fraintesi nell’intento.
Non stiamo combattendo su fronti opposti, signora Stefania, e non sono io il “nemico” che lei deve combattere; io sono solo una di quelle persone che vogliono vedere le cose nero su bianco, perché quando una legge è scritta, cambiarla non è poi così facile, mentre le parole, purtroppo, rischiano di essere portate via dal vento.
Un ultimo appunto riguarda il tono «troppo colloquiale» da lei attribuito a Gianfranco Vitale, nell’intervento di quest’ultimo intitolato Il 2 Aprile dell’autismo: scrivo ai Presidenti e al Papa, pubblicato anch’esso su queste pagine.
Noi abbiamo il dovere di farci comprendere dal maggior numero di persone possibile, e quindi ben venga un tono colloquiale che possa permettere a tutti di comprendere cosa stiamo facendo e perché. I nostri figli vivranno in un mondo grande che, per rispettarli, dovrà conoscerli, e questo mondo non è solo quello del 2 Aprile, ma quello di tutti i giorni, di tutti i mesi, di tutti gli anni.
Infine, un’ultima, un po’ amara, riflessione. La conclusione del mio pezzo, cui lei fa riferimento, riguardava un ragazzo ricoverato in ospedale, nello stesso reparto dov’ero anch’io, che, come avevo raccontato, non aveva mai smesso di urlare per tre notti, senza che nessuno venisse ad aiutarlo, con le infermiere che ne parlavano con fastidio e irritazione. Ebbene, sono davvero dispiaciuta che lei non abbia fatto riferimento a quella situazione, perché credo che le rappresentanze debbano servire anche, e soprattutto, perché, in un ospedale italiano, una cosa simile non debba accadere.
Con tutta la mia stima, spero di avere chiarito i suoi dubbi.
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